24/03/13

Perché si continua a parlare di Frank Zappa.
















Meglio: perché,  dopo 20 anni dalla sua scomparsa, si moltiplica l’interesse su di lui ?
Probabilmente perché, come certe medicine, il suo effetto è “a lento rilascio”. Zappa ha curiosamente catturato l’attenzione di persone (come mia figlia che è nata un anno dopo la sua morte) che non avendolo conosciuto in vita, ne sono rimaste attratte indipendentemente dal fatto che fosse vivo o meno.
Purtroppo non ha più composto. Eppure, anche depurando l’ansia pubblicatoria degli eredi, già basterebbe la sconfinata discografia che ci ha lasciato (e che vedi bene, proprio recentemente è stata rimasterizzata completamente in un’edizione cofanetto di ben 10 cd).

Facebook è considerata una gran perdita di tempo. E’ vero. Spesso ciò che vi si aggira serve unicamente a riempire in modo insulso, ore di tempo dedicate al tedio. Eppure, talvolta, basta un link, confuso fra le centinaia di roba pressoché inutile, per rivalutare il mezzo. Se non altro, come scambio di informazioni.
Cosi, oggi pomeriggio da un anonimo link a Youtube, è uscita questa roba qua.
Due ex membri del gruppo storico (The mothers of invention) insieme con una folta selezione di allievi musicisti di una fantomatica NTU (prima che il provvidenziale google non mi spiegasse che trattasi di universitari della North Texas University) hanno messo insieme un concerto della durata di poco più di un’ora.
Calzate le cuffie (il video, per fortuna, è in HD), mi sono disposto sul divano e ho dovutamente selezionato il volume al massimo.
Beh. Un’ora di godimento assoluto. Quando sento Zappa, anche bene suonato da terzi, mi commuovo.
La freschezza, forse, il vedere questi ragazzi dannarsi l’anima (non so quanto abbiano provato) eseguire quasi in maniera pedissequa i suoi brani, con una scaletta originale che denota ottima scelta non disdegnando anche quelli di più difficile esecuzione, è cosa che da il metro dell’universalità, e insieme della attualità della sua musica.
La cifra di Zappa è stata quella di non aver avuto modelli cui rifarsi. Forse l’esatto contrario. Pallidi tentativi di imitazione qua e là (vero Elio ?). Ma è sempre l’originale ad avere la meglio.
Ho ringraziato l’amico di facebook che ha condiviso questa meraviglia.  E insieme, mi è tornata in mente questa storia.

Tanti anni fa, estate romana. Rassegna di balletto. Io sto al balletto come Totti al “punto croce”. In una location incantevole (sede guarda caso dell’accademia di Germania) c’è uno spettacolo incentrato sulle musiche di Zappa, Fountain of love. Vado, come sbagliarsi. E’ sera, è estate, fa caldo, lo spettacolo è all’aperto. Un palco frugale, ma luci di scena fanno quello che devono e il vedere ballerini danzare sulle musiche originali (che poi, da vero pervertito, ricostruii in una audiocassetta rispettandone la scaletta). Da sballo. Il coreografo un regista catalano  Cescgelabert, e il corpo di ballo chiamato Balletto di Toscana…(“mica vero, ci sono anche siciliani” mi disse uno degli artisti quando, a spettacolo finito, mi spinsi nel backstage per i doverosi complimenti).

All’uscita mi imbatto in un collega. Dopo le consuete frasi di rito…Che ci fai qui ?  Ho un mio amico che lavora nel corpo di ballo. Tenni a mente quella informazione. Tempo dopo, rincontrandolo presso un cliente tornai a quella sera. Gli chiesi se e come potevo entrare in possesso (posto che esistesse) di un DVD di quello spettacolo. In breve, mi fornii il numero del suo amico, il quale mi diede i contatti per ordinare il DVD direttamente a Firenze, presso la sede del Balletto. La qualità non è un granchè…ma l’emozione di rivedere danzare in maniera splendida sulle sue musiche, ancora oggi, non ha eguali.
Stasera, mentre guardavo avidamente da Youtube la fatica di questi giovani universitari texani è stato inevitabile riandare a quel Balletto.
Molto bella, umoristica e dissacratoria la battuta finale del bassista-presentatore del concerto…Verso la fine, dopo le doverose presentazioni (hanno tutti l’aria di chi si è divertito come un matto): “Goodnight Frank Zappa, wherever you are”.


Per saperne di più:

20/03/13

Smau, Roma.













In forza non so bene di quale sottoscrizione a quale sito mi arriva giorni fa l’invito “VIP” per visitare l’edizione romana dello Smau (acronimo di Salone Macchine e Attrezzature per l'Ufficio).
Avevo intenzione di  seguire un paio di seminari gratuiti sull’iterazione fra web e comunicazione.

Arrivo e tanto per cambiare la segnaletica per il fantomatico “parcheggio VIP” ha la stessa precisione dei recenti exitpoll.  Dopo aver girato un bel  po’ sotto la pioggia, trovo un posto non segnalato dalle striscie, perché mi sono già stancato, e cedo per rassegnazione a trovarmi all’uscita l’immancabile contravvenzione di quel esempio di zelo che sono i vigili urbani del comune di Fiumicino (che per dimestichezza con l’arte di rimpinguare le casse comunali meriterebbero, con titoli, di poter ambire alla poltrona di Via XX Settembre).
Entro, dopo aver percorso un cinquecento metri sotto una pioggia che tuttavia ha il potere di non indispormi del tutto. Cammino lungo il corridoio centrale non mancando di osservarne l’abbandono.

Un alone di tristezza che, sarà il tempo, sarà la giornata, sta lì a ricordarti che ti trovi nell’ennesima opera dell’affarismo romano: una cattedrale nel deserto che torna a vivere, per lo spazio di pochi giorni, di volta in volta per la sagra della porchetta, per una sedicente fiera dell’edilizia e amenità varie.
Mi inoltro nell’unico padiglione che ospita la manifestazione di quest’anno. Siamo in crisi. Gli espositori liquefatti, molti gli spazi vuoti. Cerco sulla cartina le “arene” (piccoli spazi vuoti ricavati fra gli stand) nelle quali si tengono i seminari che mi interessano. Con la mia proverbiale dimestichezza, come un mister Magoo qualsiasi mi fermo all’esterno di una di queste arene. 

La pischella al banco mi bracca con una pistola laser in mano, ansiosa di leggere il codice a barre sul retro del cartellino che mi hanno messo, come ogni bravo congressista che si conviene. Dopo una manciata di minuti, verifico con la piantina che non è quella l’arena che mi interessa. Stanno parlando di windows 8, è gente Microsoft. Ho confuso le arene. 
Cosi arrivo a quella alla quale volevo assistere, che è già cominciata da un pezzo. Ovviamente in piedi, ovviamente da molto lontano, distinguendo appena quanto, da un microfono caritatevole, il conduttore sta appena dicendo.
Da li a poco termina. Mi rimetto in moto. Prima passo al bar, pago per un panino (di silicone) e una cocacola 7,50 euro,  (niente in confronto ai prezzi della Fiera di Bologna). Rifocillato, riprendo il giro fra gli stand. Solita fauna. Gente in giacca e cravatta, COCOCO; standisti, venditori che sembrano usciti (scartati) da un casting per un remake di The big Kahuna.  Volti tristi di belle figliole che compulsano i rispettivi smartphone dietro banchi di stand nei quali l’ultimo visitatore sembra essere passato mesi fa: gridano desolazione.

Quasi per sincronicità squilla il telefonino. Anzi vibra, giacchè è d’uopo metterlo in silenzioso per non disturbare il relatore (preoccupazione soverchia: come detto la distanza fra me e i vari relatori è prossima a quella fra noi e la cometa di Halley, tanti gli spettatori in piedi che affollano per altri metri gli stantii perimetri delle “arene”. Un collega che non sento da anni. Mi chiede se posso segnalargli una ditta per dei lavori di manutenzione per un lavoro fatto almeno un paio di decenni fa. Simpaticamente ha anche lui (siamo rimasti in pochi, in Italia) a disporre di un numero che inizia per 337. Scherziamo pensando che a breve verremo contattati dal WWF per sottoporci ad adeguata tutela. Parliamo, è mio coetaneo. Ne ha piene le palle anche lui. Mi dice che sono giorni che il telefono non squilla, mi svela il proposito di raggiungere un figlio (che provvidenzialmente ha sposato una ragazza australiana) per fare qualcosa in Australia. E’ tutto cosi decadente.

Vedere queste Aziende, queste persone, aggirarsi frenetici ma leggere, inconfessata, la domanda inespressa di un po’ tutti: “che cazzo ci stiamo a fare, qui ?”.
Allora non sai come interpretare, il voler essere venuto. Aggrapparsi, contro ogni ragionevole dubbio, alla speranza che la locomotiva Italia prima o poi riparta (carbone o non carbone), o adagiarsi in questo torpore malcelato da un attivismo che sa di forza di inerzia. Non so se ho reso. Restare sospesi fra queste due interpretazioni. Avendo, in ogni caso, la certezza che non dipenda da nessuno dei presenti. Ma con diverse sfumature sulla scala dell’io speriamo che me la cavo (gli ostinati) e il “basta che se magna” (i pragmatici, immarcescibili, romani).

Assisto ad un paio di altri seminari. Uno è cosi istituzionale (taccio per carità di patria il nome dell’Azienda) che persino i conduttori sembrano imbarazzati (e in questo senso fantastico circa il senso della realtà di coloro che l’hanno partorito, dai loro comodi e parassitari posti di lavoro felpati e arredati all’ultima moda).

Suona tutto falso. E nessuno ha il coraggio di ammetterlo. Metti che poi arriva davvero, ‘sta ripresa ?