18/06/19

Dopo le dimissioni di Totti, qualche riflessione.


Dopo le dimissioni di Totti, qualche riflessione.
Ieri, 17 giugno si è consumato in circa 80 minuti di conferenza stampa l’addio di Francesco Totti dalla AS Roma. 

A caldo, c’è qualcosa che non torna. 
Diamo per acclarato l’intento di business del Presidente James Pallotta. In una logica aziendale, se le cose che ha affermato Totti ieri sono vere, qualsiasi responsabile di una società (non dico quotata in borsa ma appena appena capace di galleggiare senza voler “portare i libri in tribunale”) due domande dovrebbe farsele.
Analizziamo i risultati, mettendo da parte un momento quanto detto ieri da Totti. La Roma ha combattuto per anni in posizioni di vertice sia nel campionato “domestico” che nelle coppe, arrivando a lambire la finale nella scorsa stagione. Il management (immagino scelto dalla Presidenza) ha toppato la campagna acquisti-cessioni svilendo la squadra e prendendo giocatori non indicati dal tecnico (l’ex CT Di Francesco). Il giorno dopo l’eliminazione dalla Champions “sono volati gli stracci”. Via Di Francesco (colpevole di cosa?) e via Monchi (qualche responsabilità dovrebbe averla…) si è pensato che “stavamo bene cosi”. Tutti gli altri al loro posto. Se esiste un criterio di responsabilità, andava visto anche il ruolo di chi ha avallato e chiamato queste figure (soprattutto quella di Monchi) a gestire un giochino che è andato male.

Prima anomalia: si “sacrificano” queste due figure e ci si illude che tutto torni a posto. Strano no? Chi ha avallato la campagna acquisti-cessioni? Chi ha deciso che andasse cosi?
Torniamo a Totti. Ieri ha detto che il tecnico (Di Francesco) aveva indicato 5 giocatori. Ne sono arrivati altri, non richiesti. Anche qui, chi ha “deciso”?
In una logica puramente economica. Alla luce di quanto sopra, qualsiasi altra società avrebbe preso delle decisioni importanti, azzeramento dei vertici e rinforzo immediato della squadra per continuare a mantenere un “ranking” e un prestigio anche in vista dell’affaire-Stadio.

Lo Stadio. Da notizie di stampa, se mai si facesse, questo sarebbe comunque di proprietà del presidente James Pallotta e la società AS ROMA, “costretta” a pagare l’affitto ogni volta che dovrebbe utilizzarlo. Una questione non da poco. Il che vuol dire che forse, non ho idea di quanto “chieda” il CONI per l’affitto dell’Olimpico, ma sarebbe carino valutarne la reale convenienza (tenuto conto degli annessi e connessi: centro commerciale, centro direzionale ecc.). Citando solo di striscio che le inevitabili polemiche (e inchieste giudiziarie, inchiesta “Parnasi & Co” hanno portato alla luce: dialoghi surreali fra tecnici che si interrogavano sull’ampiezza degli svincoli dai quali accedere all’area dello Stadio e taglio drastico delle opere “a beneficio della collettività” volute in forza di un malinteso senso di convenienza…ossessionati solo dal contenimento delle volumetrie…ma questa è un’altra storia.

La domanda è: ma Pallotta ci fa o ci è? Tenere al loro posto coloro che ieri Totti ha amabilmente descritto come incapaci è segno di un sostanziale menefreghismo sulle sorti sportive della Società o frutto di una lungimiranza cosi acuta che ai più tuttora sfugge? L’unica modalità scelta da costui è stata una lettera all’indomani del recente “addio” di DDR (del quale stiamo ancora aspettando la querela promessa al giornalista di Repubblica che ha pubblicato indiscrezioni non proprio esaltanti nei suoi confronti).

Il comunicato di poche righe emesso ieri sera, non sappiamo se a firma sua o ispirato dal “board” è ancora più surreale se possibile. Arrivando a definire “fantasiose” le affermazioni di Totti circa un suo possibile ritorno in caso la proprietà del club passasse di mano, e usando  (strumentalmente) l’aggettivo “delicato” per l’argomento citando “fuori tempo massimo” la quotazione in borsa.
Si è detto che questo è il calcio moderno. Una torta che muove una quantità stratosferica di soldi. Difficile stornare la logica del tornaconto economico dalle sorti sportive (risultati) di una squadra.
Detta ancora più semplice, quando Ranieri portò allo scudetto il Leicester la parola più abusata fu “favola”. Ecco, nel calcio europeo questa parola assume tutto il suo significato semantico. Riuscire con pochi mezzi, con una squadra di provincia a “sbancare” un campionato come quello inglese dove ci sono squadre i cui presidenti dispongono di risorse finanziarie “illimitate” (emiri) è davvero una Favola.

Su tutto il resto conta l’assetto che queste grandi squadre si sono date, negli anni. Vere e proprie macchine da soldi. Attorno alla compra-vendita dei diritti tv, al giro delle scommesse, al merchandising girano cifre imponderabili.
La AS Roma, e qui un altro “metro” della statura del suo management, fino ad un paio di anni fa era 17esima nella classifica delle squadre italiane per introiti dal merchandising. Anche la definizione di uno sponsor ufficiale ha avuto un travaglio difficile. E’ lecito aspettarsi che da ieri l’appeal del  “brand” AS ROMA, avendo perso (e in che modo) un’altra sua “bandiera” sarà ancora più drammaticamente legato a risultati sul campo che, oggettivamente, non sono come si dice “alle viste”.

Una squadra da rifondare, un monte ingaggi da rivedere (alla luce dei mancati introiti derivati dall’eliminazione della Champions) qualche altra “dolorosa ma inevitabile” cessione in ossequio al “fair play finanziario” (e patetico averlo citato da parte di Pallotta come argomento a sua discolpa nella prima lettera ai tifosi inviata dopo l’addio di DDR).
Cosa ne sarà adesso? Purtroppo, anche a voler interpretare il comunicato di ieri sera in risposta alla conferenza stampa di Totti, non c’è molto da aspettarsi.

Un arroccarsi sulle proprie posizioni, una mancata presa di coscienza della realtà che anche alla luce del conto economico (posto sia questo l’unico argomento “sensibile” a Boston) non torna. Incapace come è di interpretare i sentimenti di una piazza (di una tifoseria) mai cosi apertamente ostile da quando ne hanno assunto la direzione.

E’ questo il punto da chiarire, se prevale la logica ostinata del tornaconto economico, qualsiasi Presidente da ieri ne avrebbe dovuto prendere atto e cominciarsi a preoccupare seriamente dei “disastri” combinati dalla dirigenza, o (ed è lecito sospettarlo) ha garanzie che a noi non è dato sapere, circa la realizzazione dello stadio, che travalicano qualsiasi “deleteria” conseguenza delle parole di Totti. In ogni caso un quadro a tinte fosche dove anche le parole in libertà di Totti ieri, per tacer dell’affaire DDR, di certo non contribuiscono a smuovere niente. Con buona pace di noi tifosi rassegnati a vederci spogliare, uno ad uno, le figure più rappresentative della società. Soldi ed affetti. Ragione e sentimento.
A Boston, evidentemente, non stanno a cuore né l’una né l’altro.

#dimissioniTotti #ASROMA