16/02/24

 


E’ nei particolari che riposa la differenza.

Non ricordo a chi appartiene questa massima, ma non ha importanza l’attribuzione. Quello che marca la differenza, nel mestiere del giornalista (meglio, del cronista di nera) è il delicato equilibrio fra il sacrosanto diritto di cronaca e l’autocompiacimento dello splatter conclamato.

Che la stampa in Italia (ma anche altrove) non stia passando un buon momento lo attesta la modalità con la quale vengono riportati i fatti.

Ho trovato disgustoso il modo col quale, in merito ad un recente (l’ennesimo) episodio di femminicidio, il cronista abbia ritenuto di pubblicare i dettagli delle frasi attribuite all’omicida. Pressappoco “l’ha finita con un colpo di grazia” e di seguito, come a riportare le sue parole “non volevo farla soffrire”.

Ora, detto che continuando ad esporre i fatti in questa maniera si alimenta il malinteso che possa trattarsi di un macabro videogioco (e chissà che in fondo in fondo non sia proprio questo il teatro mentale nel quale prendono vita questi progetti nella testa dei protagonisti di questi, ripetuti, atti di violenza), ma davvero, nell’ottica di voler fornire un servizio di informazione a una platea sempre più distratta da centinaia di banner, le testate online devono garantirsi la sopravvivenza andando a stimolare la curiosità morbosa dei lettori?

Detto che è tutto da dimostrare il criterio secondo il quale la ripetuta esposizione di fatti violenti, la loro enfatizzazione, contribuiscano ad esorcizzare il loro ripetersi, quasi funzionassero da monito, è viceversa molto concreta la possibilità che continuando a “raccontarla” in questo modo finiscano per banalizzarla, amplificandone i perversi effetti emulativi.

In altri termini, poco mi importa della tua necessità oh articolista a gettone del grande giornalone nazionale online, che tu debba generare quanti più “click-bait” per giustificare la tua immagino non lautissima retribuzione, quello che si è del tutto smarrito è il senso della misura.

Da qui, non da altro, dipende anche la necessità di porre un freno al ripetersi di tali efferati delitti. Cominciando a trattarli per quello che sono, smettendola una volta per tutte di utilizzarli con un’inutile esibizione di dettagli sensazionalistici. Solo per la vostra maledetta sete di guadagno, andando infine a stimolare gli istinti più biechi, quella curiosità morbosa che finisce con il diventare facile benzina per il loro tristo e drammatico ripetersi.

Andate, sinceramente, affanculo!

14/02/24

Sanremo? No, Hunger games.

 Sanremo? No, Hunger games.


E’ finita, è finita, è finita. Anche quest’edizione è andata. Record di ascolti a consacrare la scelta di “scalettare” su cinque serate, affidandole una ciascuna ad un presentatore diverso. Nel dubbio tu metti che a levà se fa sempre in tempo.

Il Sanremo dell’incertezza, come fosse un termometro del Paese. Il grande disordine internazionale, con tensioni a due passi, la salute dell’economia, finita la “sbornia” del 110%, il festival dei tassi, debellata la pandemia, si scandiscono i mesi avvolti nel dubbio. Nel frattempo, ci si scopre più inclini a rimuginare preoccupazioni che a progettare radiosi futuri. E in questo il Festival non ha mancato, regalando un testa a testa che, potevano mancare? Ha dato luogo a strascichi di polemiche. Una sorta di riunione di condominio andata a male.

Se solo si accenna ad un messaggio di pace (concedete la dietrologia, ma perché perdonarla, all’epoca, alla coppia Lennon-Ono, con il loro appello-megaposter affisso nelle piazze delle più grandi città di tutto il mondo “The war is over” seguito da un prudente “if you want it”) mentre se lo pronuncia un ragazzo si smuovono ambasciatori? Piuttosto, sarebbe stato più bello se qualche canzone avesse affrontato il tema in modo più incisivo, invece di sfiorarlo appena nell’intervallo fra un concorrente e l’altro, no? Si dirà, altri tempi, le ragazze si vogliono divertire (cit.) cosi una sequela di canzoni pensate, strutturate per propendere verso la leggerezza…

Ma è davvero così? Salvo qualche testo, quello di Mahmood, quello lisergico di Bunker quarantaquattro, il “sociale” è rimasto sullo sfondo, più reggaeton che impegno (la marcetta “Un ragazzo incontra una ragazza”), figurarsi la denuncia. Ad altri (e già è un fiorire di articoli-servizi in merito) il compito dell’analisi dei testi (c’è chi si è divertito a contare quante volte ricorrono alcune parole nei brani presentati sul palco, vedi a volte la comodità degli algoritmi...?) quanto alle melodie, salvo rare eccezioni, “roba triste” come dice un mio amico, rare le “botte di vita” (posto che fra queste non si vogliano annotare i Ricchi e Poveri…). La dove la riproposizione di scansioni musicali tipiche del rap o hiphop (quello vero, made in USA) lascia spazio a qualcos’altro, in soccorso arrivano le tipiche melodie latino-america. Buone per ballare.

Ecco, si forse è di ballare che in questo momento c’è bisogno, perbacco non sono in fondo gli anni 20? Come il ragtime prese il via dalle tastiere poste nei bordelli, finita da poco la Prima guerra mondiale, mentre in Europa ci si industriava al bis, anche quella musica d’evasione, e quale miglior tappeto musicale per incontri anche bene mercenari, che rimandino ad un mai sopito desiderio di gioire?

Così, questi Hunger game di noaltri, hanno visto le solite comparsate di ospiti internazionali, Travolti da un insolito destino, quello più chiacchierato, del qua-qua. Vecchie glorie per lisciare il pelo al pubblico d’antan, metti mai si annoiasse fra un autotune e l’altro. Ma ad oggi, a palco ancora caldo, prematura qualsiasi previsione. Di solito i verdetti sono fatti per essere smentiti. E in questo il mondo delle radio, c’è da scommettere, giocherà un ruolo non secondario per “bombardarci” con motivi che vedranno così decretato il premio di consolazione (si fa per dire) del “gradimento del pubblico” (posto si voglia ancora credere all’aggettivo “libere” che le caratterizzava agli albori della radiofonia in “effeemme”, oggi saldamente dominata dalle scalette imposte da questa o da quella casa discografica).

La Noia, nome-omen, canzone vincitrice di questa edizione venti ventiquattro, vedi bene è pubblicata da una etichetta indipendente. Se si è disposti a perdonare il ricorso al ritmo della Cumbia, non propriamente tipico di Lagonegro, un piccolo segnale positivo.