31/07/09

I love you babe











C’è una scena che mi perseguita da qualche giorno.
Mi capita spesso di viaggiare in autostrada. Talvolta incrocio, superandoli non senza un pensiero, dei carri funebri full-accessoried, fa niente se pieni o vuoti. Sono una sorta di segnalibro, un post-it frettoloso appiccicato nella memoria che ti impone di dialettizzarti, almeno per il tempo di un sorpasso, con il concetto della morte.

Succede, che per un insopprimibile desiderio di esorcizzazione, se accade che in quegli attimi la radio sia accesa, mi soffermo sullo stridore apparente fra il mondo che quella canzone si tira dietro, e il film che si cela dentro quell’auto.
E' da un po' di tempo che ho in testa una scena come questa.


C'è un carro funebre, c'è un'autostrada, ci sono due uomini a bordo, vivi, ce n'è un terzo, di cui non sappiamo nulla, se uomo o donna, sappiamo solo che riposa all'interno di una bara in mogano, alloggiata nel vano alle spalle dei due uomini.
L'altra cosa che connota la scena è che dallo stereo (ce ne sarà pure uno, nonostante il tipo di vettura) sta uscendo la canzone I love you babe, di Gloria Gaynor. L'auto procede veloce, è una mattina estiva, di pieno sole, fa caldo ma c'è l'aria condizionata.
Gloria Gaynor, canta cosi bene che sembra si trovi anche lei nell'abitacolo. Probabilmente ad entrambi, ricorda qualcosa, forse la loro giovinezza, magari erano adolescenti negli anni '70. L'apparente incongruenza fra la vitalità che esprime questo brano, con ciò che è in grado di evocare, e la non proprio allegra circostanza di un tragitto, probabilmente verso un cimitero, verso altri parenti in lacrime, verso tutt'altro che non sia la promessa di amore eterno cantata dalla signora Gaynor, non deve ingannare. Si gioca tutta sul filo di un rasoio. Il dialogo fra questi uomini, la musica che gli fa da sottofondo, e la bara, silenziosa, trasportata nel retro.

Ecco. Ho in mente una scena cosi.

Poi, dal "mondo reale" arrivano scene come queste

qui, da youtube, il brano in parola.

28/07/09

Quel giorno sulla luna, di Oriana Fallaci


Ammetto: si tratta di una mania. Come tale, merita tutta l’auto indulgenza che si deve a tali tic.
Troppo suadente il piccolo banner, non ricordo più letto dove, probabilmente in calce a qualche articolo sulla versione online del corriere.it.
Questo libro ha fornito ampi stralci per il numero dell’EUROPEO di luglio che celebra il quarantesimo anniversario della prima passeggiata sulla luna, come si conviene.
Ho trovato il tempo di leggerlo in un fine settimana. Ed è stato come rimmergersi nel passato: quarant’anni fa. Un dietro le quinte di grandissima classe. Ignoravo che il testo fosse stato redatto ad uso e consumo delle scuole già dai primi anni ’70. E la mia stima verso la scrittrice Orianna Fallaci, è sbocciata come un fiore a primavera.
Parlo di scrittura, perché se è di un esempio che c’è bisogno, per classificare il giornalismo d’inchiesta, l’arte del reportage, signori: questo è un testo da incorniciare.
La più grande dote della Fallaci è quella di sparire. Ma con garbo. Lei, semplicemente, agli occhi del lettore avido di info sull’argomento, non c’è, eppure informa ogni singola riga dei suoi articoli.
Un gioco a nascondino, dove quello che tu credi sia frutto di paziente lavoro di editing, spesso è addirittura fedele trascrizione di dialoghi telefonici (con linee pessime) fra Houston e la redazione del Corriere della sera, in quel di via Solferino, in Milano, Italy.


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17/07/09

Quaranta anni e non dimostrarli

la copertina del numero dell'Europe in edicola


A giorni, cade (si dice cosi…) l’anniversario dei 40 anni dell’impresa lunare di Apollo 11.
Con l’enfasi dovuta ai compleanni “rotondi”, assisteremo, in varie salse, ad un fiorire di dejavù,
tale da rendere edotto anche chi (e sono tanti) non ha potuto vivere tale evento, in quanto ancora non nato.

L’impatto, invece, sulla psiche individuale e collettiva, che tale evento provocò, all’epoca, meriterebbe una trattazione più approfondita. Pressappoco, la sera del 20 luglio di quaranta anni fa, ero un adolescente, afflitto dal complesso di volersi liberare dei calzoni corti (vissuti come un’onta, a quell’età, ed inutile zavorra dalla quale liberarsi per lanciarsi nel mare aperto della vita).
Ero in vacanza, una masnada di cugini, zie, tutti orbitanti intorno, piuttosto che alla luna, nella grande, vecchia, casa di famiglia, che si riapriva d’estate consentendo, come in ogni grande famiglia che si rispetti, di dare una giusta cornice a conflitti che duravano un’estate, salvo poi riproporsi la stagione successiva.
In questo clima cosi frizzante, la trepidazione dell’attesa, il Tito Stagno che dallo schermo dettava, preso nella parte, tempi e modi della discesa sul satellite, entravo ed uscivo, completamente esente dal sonno, dal giardino e con il naso in su, osservavo, chi sa, forse illudendomi di scorgere un puntino, la grande sfera luminosa, che per una bizzarra coincidenza, era in plenilunio proprio in quei giorni.

Vorrei ritornarci su (non sulla luna: sull’argomento). Perché, per quanto relegato in qualche angolo buio della memoria, credo che abbia svolto il suo sporco lavoro, nel rendermi quello che sono, oggi.

Attratto da qualsiasi cosa ruoti intorno all’argomento, non ho potuto fare a meno di prendere, obbedendo ad una curiosità mai domata, l’ultimo numero dell’Europeo.

Come recita la copertina, è un bel carnet di pezzi di ottimo giornalismo. Lo sto leggendo, fra una pausa e l’altra, in questi giorni. In modo particolare, e fa un certo effetto, i servizi di Oriana Fallaci.
Lo stile della sua scrittura, la vividezza delle descrizioni, l’acume delle sue domande, rivolte di volta in volta ai vari protagonisti di quell’avventura, mi confermano, pur non essendo mai stato un suo fervido ammiratore, che si tratta di una donna dotata di dosi cospicue di intelligenza, e assistita da una grazia unica.

Non ho potuto fare a meno di esplodere in una sonora risata leggendo questo breve passaggio di un’intervista ad un uomo del back-stage, intorno alla fede di Neil Armstrong,

“ ….riempiendo il modulo per la sua biografia, rispose alla domanda “A quale religione appartieni ?” con la parola “Nessuna”. Qualcuno che lo conosce bene mi ha detto “Più che ateo lo definirei agnostico. Prendere posizione su tale argomento è una fatica superflua per Neil. Io credo che Neil non creda a Dio per una ragione assai semplice: Dio non è un aeroplano”.


Tempo fa, mentre eravamo seduti nei tavoli all’aperto di un bar del centro di Padova, parlavo a Giulio Mozzi di un libro che stavo leggendo [vedi nota infondo] proprio sull’argomento. Mozzi mi regalò un dejavù, affermando che il suo babbo possedeva i filmini in superotto (non è il nome di un nuovo concorso della Sisal: ma lo standard imperante prima dell’avvento dei VHS e dell’attuale DVD, tanto meno del blueray) usciti in bundle con il mai dimenticato settimanale EPOCA.
Ecco mi domando se poi qualcuno si prenderà la briga, in questo festival della memoria, anche solo per soddisfare la curiosità malandata di altri come me, di riversarli su un supporto meno desueto.

E in ogni caso, questa mia, a valere quale candidatura, nemmeno tanto larvata, di offrirmi a farlo.
Buona lettura !

risorse:
recensioni su Polvere di luna di Andrew Smith
qui, qui e qui.
Questa invece una serata al Procasma, dedicata al tema: qui

09/07/09

Istantenee cattive

Sparizioni.
Giornate di fuoco, in tutti i sensi.
A sera, totalmente rincoglionito, accendo la tele. Capto, non so come, facendo zapping in uno stato pre-catatonico, un servizio di un tg, credo il tg1. Vedo operai che irridono alla protesta di attivisti di Greenpeace e di qualche altro gruppo contro il G8, in un paio di luoghi. Uno, credo di aver capito è il petrolchimico di Brindisi. Resto allibito vedendo la scritta “GO HOME”, composta da corpi umani, di operai (“sicuramente prezzolati” ci giurerei verranno definiti), , al loro indirizzo. L’altro luogo non me lo ricordo, forse nel centro di Roma, dove si sono incazzati contro l'imbrattamento di un neonato dentro un negozio, doviziosamente devastato. Mi chiedo se sto già dormendo e si tratti di un sogno, cosi stamattina compulso le edizioni online del gotha dei quotidiani online (corrsera, la stampa, repubblica). Credo sia una notizia: i contestatori che vengono contestati, no ?
Niente, è stato un sogno.

Polemiche della Madonna.
Walesa non vuole il concerto della discussa popstar proprio il 15 agosto (festività dedicata alla Madonna dell’Assunzione), programmato all’aereoporto di Bemowo in quel di Varsavia.
Qui il gustoso servizio.

Tafazzi.
E’ il personaggio famoso che, munito di “conchiglia” si sommistrava potenti bottigliate sulle “parti basse”. La ola della stampa italiana, alle notizie della stampa estera, che tanto per cambiare ci discredita, in quanto Italia, in quanto paese sede de sto benedetto giotto.

Vado a lavorare, i buffi mi chiamano.


Update: uniche conferme al delirio di stanotte queste foto su Kataweb

08/07/09

Il tempo materiale, di Giorgio Vasta

la copertina del libro, fra l'altro, premiata


Ho finito stamattina all’alba la lettura di questo romanzo. E’ stata una lettura faticosa, sofferta.
Vasta ha una prosa ricca, ricercata, ti impone di apprezzarne ogni piccolo aspetto.
C’è molto lavoro dietro, si percepisce. Se invece l’autore smentisce e spergiura che gli è venuto giù cosi, di getto, allora taccio e mi inchino ad uno dei “mostri” in circolazione. Bravissimo.

Quando leggo un romanzo del quale si parla tanto in giro, evito accuratamente di leggere alcunché.
Mi convinco, in questo modo, di affrontarlo senza preconcetti di sorta, disponendomi davanti al testo con i terreni strumenti di lettura di cui dispongo.

E’ un testo scomodo, questo di Vasta. A tratti verrebbe di inserirgli un accento sull’ultima vocale del cognome. E se cosi fosse, se all’occhio sprovveduto di un ignaro lettore, arrivasse con quest’accento, in copertina, non ci troverebbe nulla da ridire:. Vastà scrive come Houellebecq,
In tanti, troppi passaggi, riecheggia quel sottile piacere nella descrizione del dolore, animato da ansia, e la deriva dei suoi pensieri concentrici dona, a tratti, il piacere della vertigine.

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03/07/09

Il resto mancia

La notizia è transitata in quelle che vengono definite “brevi di cronaca”. Ovvero è scivolata nei nostri padiglioni uditivi, o bulbi oculari, con la stessa incisività e attenzione che si dedica ad una mosca, entrata per sbaglio in auto, e che fa jazz sul parabrezza.

Una coppia di giovani turisti giapponesi, innamorati ci dicono i cronisti, ma è un dettaglio, decide di pranzare a due passi da Piazza Navona, in un noto ristorante romano.
L’affabile cameriere, che credo abbia la stessa padronanza che ho io con la lingua, tergiversa evitando di portare uno straccio di menù e conquistando la loro fiducia con l’abilità di un mago Silvan in pensione, gli serve un pasto composto da portate a base di pesce, accompagnato da vino (Sauvignon) e dessert (per i dettagli del pasto cliccare qui)

Arriva il momento del conto e sulla carta di credito dei due malcapitati viene addebitata una cifra di circa 600 euro (comprensiva di 115 euro di mancia, credo inserite a titolo di rimborso per le prestazioni da cabarettista in pensione del simpatico cameriere. In breve, dopo un inutile richiesta di spiegazioni i due decidono di rivolgersi alla polizia. Il resto è cronaca: irruzione nel locale delle forze dell’ordine, mancanza di spiegazioni valide, proclami di guerra del sindaco, ispezione degli organi competenti (non ho capito se Nas o Asl), riscontro di gravi carenze igienico sanitarie. Punto.

La storia è emblematica. Pur evitando di generalizzare c’è tutta intera la misura di un paese che non vuole crescere, la quintessenza del provincialismo arruffone che tanto ci penalizza, prim’ancora che agli occhi del mondo, a quelli, sbadati e superficiali, di noi stessi.

Truffare turisti, per un malinteso corrente che muove dalle mitiche imprese immortalate da Totò (intento a cercare di vendere il Colosseo a degli sprovveduti turisti), dev’essere considerato peccato veniale. Tanta severità (minacciata la chisura del locale, revoca della licenza, divieto di riaprire per i titolari anche sotto altro nome o ragione sociale) si spiega solo come il classico tentativo di chiudere la stalla, come si dice, quando i buoi sono ormai scappati.

La domanda è: che cazzo facevano la Asl (o i Nas) dormivano ? C’è voluta la denuncia dell’episodio per indurli a gettare il loro occhio amorevole, nei locali del ristorante ? Eppure stiamo parlando del centro di Roma, che non è proprio una locanda in qualche landa desolata di qualche provincia sperduta. I controlli. Chi controlla i controllori ?
Allora, il furore del sindaco, i proclami minacciosi, valgono come quei tormentoni estivi: ballano per una stagione sola. Passato il clamore, tutto come prima.

Piuttosto, volendo essere conseguenti, e dotarsi di un minimo di coscienza civile, perché non rendere permanente, anche bene per legge, visto che si primeggia anche nella promulgazione delle stesse, il divieto di occuparsi di cibi (a qualsiasi titolo, foss’anche quello di condurre, in qualità di autisti, dei furgoni frigoriferi preposti allo smistamento degli alimenti) a coloro che vengono “beccati” in frodi, adulterazioni, rei di “gravi carenze igienico sanitarie”, e che attentano (non trovo altro verbo più adatto) alla cosiddetta salute pubblica ?

C’è tutta la miopia, in questa che sembra appunto, la classica notizia di colore, di un pachidermico e burocratico sistema, che fa fatica a crescere. Interessi, chisura di un occhio, quando non di tutti e due, a fronte del “tengo famiglia” che ci relega, inevitabilmente, e con buonapace dei miliardi profusi in roboanti quanto inconsistenti campagne di marketing del preposto ministero brambilliano, fra le macchiette, degni della stessa considerazione di un paese da terzo mondo.