01/06/12

Soprannaturale














Il Terremoto.

E’ l’impatto con qualcosa che potrebbe essere definito “sopranaturale”.
Se non fosse che come termine è uno dei meno adatti.
Ma nella mente razionale, quella abituata ad allinearsi al comune sentire, quella assuefatta da anni in modo impercettibile ad una rigida schematizzazione della vita, andrebbe indagato il perché lo si vuol ritenere qualcosa di non naturale.

Che la terra possa tremare, forse è cosa che appare normale, solo a poche menti elette. A coloro che ne hanno fatto materia di studio e di lavoro. Non sono poi molti.
Il resto, forse, prende atto ed elabora in ragione direttamente proporzionale ai chilometri di distanza dal luogo dell’ennesimo evento, o se trattasi di persona dall’animo sensibile, ne compartecipa il disagio mediante l’assorbimento passivo di immagini e voci che provengono dalla televisione, quando va bene, dalla carta stampata.

Ecco, è questo a rendere labile il nostro rapporto con la terra. Altrove hanno imparato a conviverci, e forse sono un pezzo avanti, se non altro nell’aver serenamente accettato l’idea che questo tipo di eventi sono “nelle cose”, nel novero delle possibilità. A partire da questa (serena ?) accettazione hanno messo in moto, presumo, anche quelle difese psicologiche che mai come in queste occasioni risultano preziose per non “andare via di testa”.

La relazione fra la naturale evoluzione della vita, scandita dal tempo (sarà banale, ma tutti con il passare di questo “invecchiamo”, e aggiungiamo cementificandole ulteriori certezze, che ci sono necessarie, sono le nostre ancore) e i luoghi.
La casa è uno dei totem che chissà da quanto ci portiamo dietro.
Vederla distrutta, in un attimo, produce effetti nell’immediato e a “lento rilascio” difficili da quantificare.

Quello che un evento del genere si incarica di insegnarci è che a poco vale la dissimulazione delle incertezze, procedendo per ancoraggi. E’ vero, i rapporti, gli affetti, le motivazione economiche ci legano ai luoghi. Ma la “catena” con questi si spezza, indipendentemente da quanto grossi ne abbiamo fatto gli anelli, nel nostro immaginario.

Non avere più niente, e rimettersi in gioco, prim’ancora che essere il sussurrato suggerimento di qualche santone zen, deve fare i conti con questo “bagaglio” psicologico.
E di impazzire, rimanendo vittima del perfido gioco dell’immedesimazione, consentire che il nostro orizzonte esistenziale coincida con il mero possesso di un bene (la casa) fa ancora capire quanto ci sia da lavorare, nelle coscienze, per dirsene liberati.

Gli americani convivono con i tornado, da anni. Cosi i giapponesi con i terremoti.
Forse per questo la loro società non riesce comunque, pur con tutti i guasti che si porta dietro, a fronteggiare la paura, opponendovi una “sana” maniera di reagire e prevenire ?

Qual è il danno quindi che si portano dietro questi eventi?  Il danno è nelle teste. E’ il farsi largo dello scoramento, il disorientamento. Ma se anche dalle parole (argomento al quale ultimamente hanno addirittura dedicato una trasmissione) non cominciamo a modificare il nome delle cose, le paure resteranno tali, e il soprannaturale (che ci rifiutiamo di smascherare) anche.


1 commento:

  1. Tu sai bene che la cosa più facile da dire, non si fosse d'accordo, è appunto che si fa presto a parlare quando sono gli altri a rimetterci.
    Ma non è quello che dirò io, che sono molto più vicino a quello che dici. Ogni evento, per quanto doloroso, può diventare l'occasione per ricominciare. Bisogna pur morire, per rinascere.

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