10/04/24

Lunapark? No, Santiago Bernabeu...

 A cosa abbiamo assistito ieri sera?

Premettiamo una cosa: a dispetto di tutte le critiche, le polemiche, i procedimenti contro le società che ne vorrebbero l’abbandono per una non meglio precisata Superlega, il fascino, il perché, l’essenza stessa della “logica” della Champions ha trovato la sua espressione nell’andata dei quarti di finale fra Real Madrid e il Manchester City.

Chiunque ami il gioco del calcio, ovvero l’arte di insaccare quanti più palloni nel rettangolo da 7,32x2,44 metri presidiato dall’avversario, ieri sera non può non aver gioito, stropicciandosi gli occhi.

I primi 15’ con ben tre reti (prima il City, con una punizione beffarda che ha sorpreso il portiere del Real, poi il pareggio del Real con un colpo che saremmo più abituati a vedere sul tappeto verde di un biliardo, lento ed inesorabile ad infilarsi ai piedi del palo opposto della porta del City, infine il secondo gol del Real), hanno dato in maniera precisa la sensazione a chi la stava seguendo che non si sarebbe trattato di una partita “normale”. Il secondo tempo, per non smentirsi, ha visto il pareggio del City (2-2) il successivo vantaggio dello stesso (3-2) e il bellissimo pareggio finale del Real.

Tuttavia, la fredda tabellina delle marcature, le consuete statistiche a fine partita non renderebbero omaggio a qualcosa di “astrale” che si è visto in campo. Certo l’altalena di emozioni, con il conseguente, “doveroso” pareggio al fischio finale, danno bene l’impressione di qualcosa di spettacolare, quasi un lunapark, in luogo del Santiago Bernabeu, stipato all’inverosimile.

Giocata a ritmi sostenuti, con continui ribaltamenti di fronte, si sono affrontate due squadre guidate dai tecnici più acclamati sulla scena internazionale, da un lato Carletto Ancellotti, il parmiggiano con il sopracciglio più famoso dell’UEFA, dall’altro Pep Guardiola, catalano, considerato uno degli inventori del “calcio moderno”. Entrambi con un palmares di tutto rispetto.

Improprio azzardare paragoni con il calcio nostrano. A marcare la differenza la velocità, ovvero la capacità dei giocatori di sostenere dei ritmi elevatissimi, di corsa, di palleggio, anche e soprattutto in fase di non possesso (ovvero l’arte degli scacchi applicata al rettangolo in erba). E tutto questo nella serata in cui le due rispettive “stelle”, su tutti Halland per il City e Bellingham per il Real non hanno disputato una delle loro partite migliori.

Ma al di là delle analisi tecniche, dei fiumi di parole che “gente avvezza al mestiere” spenderà per commentare la partita, va soprattutto considerata la componente spettacolare. E, ancora una volta, la palese sconfessione della corrente di pensiero (ahimè piuttosto diffusa sull’italico suolo) “risultativista” (ovvero l’arte di produrre il massimo risultato con il minimo sforzo). Non è affatto detto che il bel gioco sia in antitesi con i risultati. Anzi.

Partite come quelle di ieri sera, si incaricano di smentirla, platealmente, davanti agli occhi di tutti gli sportivi del mondo.

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