17/09/10

Somewhere, di Sofia Coppola & Quenquin Tarantino


















Grazie ai buoni ricordi di Lost in Traslation, e vittima del gran battage dovuto al Leone d’Oro che la pellicola si è aggiudicata a Venezia, ho staccato il biglietto e assistito al film ieri sera, in una sala semideserta, e anacronisticamente ghiacciata sebbene non sia più agosto.

Non mi è piaciuto. Ho trovato ridondanti e pretenziose le lunghe pause a macchina fissa, quasi a voler sottolineare, riempire a forza di senso, lo statico osservare la scena, da parte dello spettatore, pretendendo quasi di accettare questa come una “cifra” del regista.

La storia in sé può anche esser degna di una narrazione diversa. Dove, in luogo di un montaggio apparentemente casuale, i dettagli finiscono col sostituirsi al centro della storia, lasciando forte il sospetto che si tratti di una di quelle battute di una coppia qualsiasi alla frutta: non abbiamo un cazzo da dirci, ma ce lo sappiamo dire ancora bene.

Lo so, la Coppola gode di un consenso quasi incondizionato. Ma il suo cinema, depurato da effetti speciali (si salvano le sequenze dedicate a due gemelle specializzate in lap-dance a domicilio) e il rombo (in presa diretta) di una Ferrari da sballo, non decolla. Strano, perché l’indovinata maniera di raccontare una mancata storia d’amore in Lost of translation, qui diventa evanescente, lavorando per addizione, e concedendosi appunto vezzi da gran regia (quelle pause insistite) che nella migliore delle ipotesi hanno il potere di irritarmi.

Piccola chiosa finale: ci fa fare una generosa figura di merda, parlo come italiani.
Mai vista la scorta con le sirene spiegate per accompagnare in albergo una star, prego vedere ad altre latitudini, mentre ahimè ci coglie in pieno, nella sequenza della premiazione del protagonista (una star hollywoodiana) nella trasmissione dei telegatti (ospiti, recitando se stessi, nell’ordine l’immancabile Ventura, il frizzante Frassica, lo spaesato Nichetti una naftalinata Marini) il festival del provincialismo coniugato alla somministrazione continuata e quotidiana di paccottiglia televisiva.

Che dire ? Troppo forte la tentazione di dare credito alle (numerose) critiche levate da più parti intorno all’incensamento della pellicola, ad opera di un presidente della giuria di Venezia di quest’anno, che, stando alle cronache, pare abbia avuto una consistente storia d’amore con la regista.

E questo, si, forse proprio in forza del cognome di entrambi, e stando alle tristi cronache di questi tempi, rende il film, ma in generale un po’ tutta la storia, molto, molto italiana.

Per carità.

2 commenti:

  1. forse sarà a causa dei miei gusti cinematografici poco raffinati, ma al solo nominare il festival del cinema di venezia...
    già mi annoio. L.

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