17/11/13

Venere in pelliccia, di Roman Polansky












Non ci andate. O meglio, fate come vi pare.
Da ieri sera mi interrogo sulla potenza del marketing. Ci casco sempre. Quasi che l’equazione: frequenza degli spot sottenda conseguente qualità. Non è cosi. O se lo è, lo è raramente.

Adesso datemi dell’incolto, di quello che non ne capisce niente, di uno che al cinema ci va per caso.
Va bene tutto, me le prendo tutte. Ma qualcuno mi dica, argomentando se può, perché mai registi alla frutta (in genere in la con gli anni) decidano di effettuare un’operazione che quasi mai riesce bene: trasporre una pièce nata , e pensata per il teatro in un film.

La cosa migliore (e impareggiabile ad oggi, per me) è stata The big Kahuna  di John Swanbeck , tratto da una commedia teatrale di Roger Rueff, che ne ha curato anche la sceneggiatura. In questo caso, Polansky trae da uno spettacolo di Broadway di tal David Ives, larvato omaggio a Sacher Masoch,”teorico” del masochismo.

Cosa fa la differenza?
Anche in Venere tutto il film si svolge in un unico ambiente (un teatro vuoto). Pochi gli attori (in The big kahuna, le performance stratosferiche di Danny DeVito  e, Kevin Spacey) in questo una  Emmanuelle Seigner molto brava e bella e un pressochè sconosciuto Mathieu Amalric (ma terribilmente somigliante al regista da giovane).

Allora cos’è che non va?
E’ una pizza: dialoghi nei quali si consuma una catarsi per un’ora e mezza, i protagonisti recitano a loro volta le prove di un copione (eppure l’argomento sarebbe anche hot, per saziare quel 3% di vojeurismo che consente al gossip di fatturare cifre importanti).

Non va. Non basta. Polansky è stato capace di meglio (un mio amico: “Il pianista? Lo rivedrei ogni giorno” -invero ne all’attivo anche altri non meno belli). Eppure il bisogno di fare cassa a volte ti fa scivolare su operazioni impervie, ma che contano, qui il colpevole “comparaggio” della critica militante, sulla cassa di risonanza che gli viene dal nome (e da non proprio trasparenti vicende personali).

Se vi piace il teatro, andateci. Al teatro.
Non svilite cosi un’arte (cinematografica) nata per altre cose.

Alternativa: tornare a casa e vedere Arbore fino quasi alle due di mattina, per riprendersi dalla legnata.

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