03/11/13

Charles Bradley a Roma.















Ieri sera, in un locale occupato (cosi ci tengono a chiamarlo), l’Angelo Mai Altrove, in via delle Terme di Caracalla si è esibito per la prima volta a Roma, “la leggenda urlante del soul”, Mr. Charles Bradley.
Voglio bene a quest’uomo. Alla sua musica, alla generosità che ci mette quando impugna il microfono (fosse in studio come onstage) e condivide la sua personale idea di umanità.

Uno di quei pochi casi nei quali la vita dell’artista non è, non può essere discinta dal modo col quale fa spettacolo, si dona. Ieri sera a beneficio di un migliaio di persone accalcate all’inverosimile in una location davvero troppo inadeguata per i tanti che evidentemente hanno imparato a conoscerlo e desiderosi di vederlo dal vivo.

Un mio amico ha trovato bizzarro che un ensamble votato al soul (anche bene rivisitato, con venature gospel, funky, blues) non abbia, oltre a lui, altri musicisti neri (si, per via di un retaggio duro a scomparire che vuole ribadita l’equazione, ritmo, passione, dolore e verità, solo se si tratta di gente nera).

Privo delle coriste (la cui assenza si è fatta sentire), ma con i ragazzi dei fiati (una tromba e un sax) che se mai dovessero istituire un Nobel apposito non avrebbero alcun problema ad aggiudicarselo, la sezione ritmica tenuta su da un batterista che ha sudato le famose sette camicie, ma deboluccia per quanto riguarda basso e chitarra. Ma è poco più di un dettaglio. Chi ha tenuto su la serata, cambiandosi ben tre volte (chissà, sudore senz’altro, ma anche un sorta di rito…) è stato lui, questo pluri sessantenne che da una vita di stenti e difficoltà, è arrivato al successo da poco, incidendo due dischi uno più bello dell’altro.

Bradley ha una voce che non può lasciare indifferenti. Generoso, la sfrutta in tutta la sua estensione, come fosse uno strumento che si innesta perfettamente nella macchina che gli produce il sound. I testi delle sue canzoni parlano di AMORE, amore allo stato puro, l’amore che solo chi ha sofferto tanto è in grado di ammantare del suo significato più vero. E’ un vero, Bradley. Niente infingimenti né pose da superstar, per lui l’imperativo è condividere, raccontandosi senza pudore, nelle sue sofferenze, ma anche nella grande forza di volontà che lo ha portato al successo in zona cesarini.

Ha snocciolato le sue canzoni più belle. Ha esordito con Crying in the chapel

(http://youtu.be/Ge-tqOZ1no4) forse la sua più bella, andate al minuto 3:10 dove la sezione fiati si guadagna, con un crescendo bellissimo un posto nella classifica delle più belle chiusure di sempre, per poi proseguire con altri brani dei suoi ultimi dischi.

Col passare dei brani la sua voce, è andata via via trasformandosi, tenendo il palco, non potendo fare a meno di spendersi, fino ad arrivare ad una cosa a metà fra un urlo e un sussurro, grondante sudore (non credo solo a causa della pessima areazione del locale, dove fra l’altro, c’era un fumo che si tagliava a fette).
Il pubblico stordito dalla sua vitalità, da un’energia che a dispetto degli anni, riverbera in ogni sua canzone.
Poesia, in un certo senso una capacità di interpretare tanta vita e trasfonderla in musica, sound ora potente ora aggressivo, ora pregno di una passione non comune.

Ecco, la passione. E’ questa la sua marcia in più, la sua autentica forza della natura. Indomabile, generoso, in altre parole: umano. Charles Bradley, un uomo che ha lasciato agli altri il compito di farne un personaggio. Lui è cosi, e a torto o a ragione oggi è diventato una leggenda.

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