23/03/14

Sabato, intorno alle tre.















Un attimo, una manciata di minuti.
Ieri, pomeriggio presto. Intorno alle tre. Tor Lupara. Uno stradone, con le case intorno. Negozi chiusi. Ho fame.
Trovo un posto dove mangiare qualcosa, una pizzeria al taglio. Entro, un gruppo di ragazzi sono seduti ai tavoli, maneggiando i rispettivi cellulari.

Una ragazza magrissima, polacca o rumena, avvolta in un grembiule dietro al banco mi chiede cosa voglio.
Le ordino un Kebap. Mentre lo prepara, esco. E’ una giornata strana: non ancora primavera piena ma nemmeno freddo. A due passi c’è una chiesa. Una grande Mercedes argentata ha il cofano alzato: hanno appena portato dentro una bara.

La ragazza si mette a “rasare” il kebap. Poi mi chiede come lo voglio: completo, dico. I ragazzi ridono, qualcuno si bacia. Ci mette un po’.
Esco, scostando una tendina a fili triste.

Per strada arriva una macchina. Scende una coppia. Lui con i pantaloni verdi. Lei con i capelli completamente bianchi, ancora giovane, indossa un grande cappotto cachi e degli stivali. Attraversano la strada, non camminano vicini. La donna ha grandi occhiali da sole. Ma è nuvoloso. Forse è come me: fotosensibile.

Il Kebap è pronto. Prendo una bottiglia d’acqua e il vassoio sul quale c’e’ il panino. Mi metto seduto fuori, su un tavolino dove c’e’ anche un altro vassoio vuoto.
Cominciano a suonare le campane a morto. Ci stanno. E’ solo un sabato pomeriggio e qualcuno festeggia la sua dipartita. Per un altro viaggio.

Sono avvolto dai fumi di qualcosa che si è bruciato nel retro del negozio e che esce, come risucchiato in un qualche gioco di correnti, verso la porta d’ingresso.
Mangio mentre la puzza di bruciato si fonde con l’aria irreale e le campane che suonano.
La coppia ritorna, sale in macchina. Se ne va.


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