Questa frase potrebbe essere ascritta ad Icaro, o ad un comandante Alitalia, fresco d'accordo, oppure al cucciolo di un pennuto, dischiuso da pochi giorni dall'uovo nel quale ha albergato.
Invece è la frase che ha pronunciato Yang Liwei, primo astronauta cinese, quando nell'ottobre del 2003 fu lanciato nello spazio.
La frase, nella sua marziale semplicità, rende piuttosto bene l'enfasi con la quale la Cina ha vissuto il suo ingresso nel novero del ristretto gruppo di nazioni che hanno spedito un proprio connazionale aldilà dell'atmosfera.
Insieme, ci dice anche dell'orgoglio, che da tipica nazione rampante, fresca del glamour mondiale ottenuto per aver ospitato i recenti giochi olimpici, e incurante delle ricadute sulla propria immagine provocate dagli scandali dei cibi adulterati (prima ancora dal sospetto di aver scatenato l'aviaria, per via della deprecabile abitudine di ingerire furetti, e buon ultimo, in questi giorni, quello del latte adulterato alla melamina), ripone nell'avventura spaziale.
Tanto orgoglio deve aver giocato un brutto scherzo all'Agenzia Nuova Cina, se è vera la notizia che riporta il corriere qui, al punto da affermare una cosa prima che si sia avverata. A stupirmi non è tanto l'errore di sincronismo, quanto la capacità creativa di colui che ha scritto il pezzo. La sua abilità di mimesi nel calarsi nei panni, immagino non agilissimi, di una tuta d'astronauta, ed aver scritto una verosimile chiacchierata fra gli ospiti della navicella e gli emuli, locali, della Houston di turno.
Geniale, no ? Quello che inquieta non è nel aver “bucato” la notizia: il lancio, sia pure dopo poche ore, ci sarà pur stato, quanto la veridicità della quale è ammantata una notizia, stavolta pubblicata sul web, e che risulta palesemente falsa. Siamo nel campo della narrazione fantastica.
Anche chi scrive, dal momento che scrive un qualcosa che sa verrà letto da altri, nei fatti, è come se richiedesse la conseguente sospensione dell'incredulità. Ai suoi lettori, insieme alla pazienza della lettura, deve chiedere anche quella di evitare di dubitare di ciò che stanno leggendo. Per farlo, i più bravi possono ricorrere a tutta la loro creatività, contando sulla disponibilità dei lettori a “bersi” tutto ciò che stanno scrivendo. Ecco che a me fa paura una cosa cosi. Proviamo a fare un gioco. Immaginiamo che lo stesso “incidente” sia sia potuto ripetere enne volte, e per qualsiasi altro argomento.
Per esempio, potremmo dubitare che una certa cosa, un fatto cruento, un omicidio, una strage, ma anche una notizia lieta, non siano mai successe. O che se siano successe realmente, poi non siano andate esattamente cosi come ce le hanno raccontate. Un gioco di specchi. Il riflesso di una notizia che acquista vita propria, grazie al tubo catodico o ad un indirizzo IP, e si sostituisce alla “realtà”, competendo con essa. Il dibattito affascina gli storiografi e i critici letterari.
In un certo senso è pane quotidiano per la loro disciplina. Ma a noi, utenti con livelli variabili di malizia, chi ci dice che il più innocuo dei TG, non sia in effetti una grande tela, come quella che sovrasta tutto il set di un Truman show ?
CIAK, SI GIRA!
4 giorni fa
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