Poi, appoggio la sigaretta nel portacenere colmo di cicche. Tolgo gli occhiali e allungo la schiena sulla spalliera del divano. Scrivere piegati non è bello. Infatti ognitanto devo staccare.
In tv c'è il festival di Sanremo, ma faccio zapping. Ho preso un canale sul digitale terrestre, di Jazz Channel c'era scritto. C'era una cantante nera con un fiocco giallo in testa, in carne, che cantava mentre suonava, su un palco, uno Steinway con tutta la grazia del mondo. Poi hanno tagliato il pezzo e messo su una cosa in bianco e nero con Ornette Coleman. Me ne sono fatto una ragione.
Dovrei “riversare” su un DVD dal VHS sul quale a loro volta sono stati maldestramente riversati, vecchi filmini in super-otto, di quando ero bambino, in Africa.
Oggi consideravo, mentre parlavo con mio padre, che mi è impossibile poter tornare giù. Se lo facessi, avrei concrete possibilità di perdere la vita. Perdo un sacco di roba, per questo evito di andarci. E pòsto che la visione continuata e ripetuta del dvd che intendo ottenere, magari amplificato da un video proiettore che “spara” le immagini di quei luoghi, vecchi di quasi cinquantanni, a grandezza impossibile sulla parete, non mi immalinconisca più del dovuto, insomma, dicevo, stasera non c'è niente in tv per cui valga davvero la pena di togliersi rabbiosamente le scarpe, immetterle in un catino con acqua cosi bollente da consentire di scuoiare agevolmente un cinghiale, e annegarle nei benefici influssi del bicarbonato, mentre destreggio il telecomando con le mani.
Poi ad un certo punto, mentre Bonolis intervistava Hugh Hefner, il Patron di quel lunapark per grandi che è Playboy, è apparsa una donna statuaria, tatuata come un vietcong, coperta unicamente da un perizoma interdentale. Ho deciso di smettere di bere, per stasera, e ho ripreso a scrivere.
Entro nella fase ansioso depressiva. Cerco di indovinare dove può aver messo, la donna che viene a pulire una volta a settimana, Davide, di Carlo Coccioli, che stasera, in una serata cosi, mi sarebbe proprio andato di leggere. Ripiego su un vecchio Panta (n°26) "Visioni tra letteratura e cinema", lo apro a caso, Edoardo Nesi cita a suo modo (speciale) un vecchio film di Rob Zombie, La casa del diavolo, soffermandosi su un brano, nella colonna sonora, di un gruppo che amo, i Lynard Skynard, poi viviseziona American Beauty e infine regala un frammento su un piccione (ah, Fringberger...) che appare, magicamente - ed immagino fuori contratto - in un'inquadratura di un film con Ed Wood.
La donna di servizio mi ha dato il benservito. Forse, cosi, cesseranno anche le imprecazioni che amorevolmente le rivolgo, quando, solo in casa, cerco disperatamente qualcosa che nel mio caos non ho alcun timore di non ritrovare, ma che la sua ansia di far bene rende cosi difficile, da doverla chiamare al cellulare per chiederle dove l'abbia nascosto.
Una battaglia non scritta. Mai dichiarata, ma che offre significativi spunti di riflessione circa la difficoltà della condivisione degli spazi. Foss'anche con una governante la cui logica ispiratrice mi risulta assai difficile mappare.
Sono le ventitrè e quindici. Non è più ora di telefonare alla gente.
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