14/01/10

Non ci sono italiani

Scorrono sul video le immagini del disastro di Haiti. In un'ipotetica classifica dell'orrore, credo una delle tragedie di proporzioni tali da meritarsi la pole position. Non è che l'ultima, delle sventure cui i nostri simili, e la natura, ci hanno abituato, con frequenza impressionante.


C'è un vizio, non so se solo nostrano, nel mondo dell'informazione. Quello di fare riferimento, in un impeto da appello da caserma, al numero di connazionali malcapitati, in questa come in altre sventure. C'è un uniformarsi preoccupante, nel modo di comporre i titoli di testa (che poi alla fine, credo si chiamino cosi proprio perchè è lì che mirano, che fanno più danni). Non ci sono italiani.

Ah, beh, allora tiriamo un respiro di sollievo, non ci sono nostri connazionali, possiamo passare alle brevi di cronaca, o alla lista dei trans, negli annunci economici, che ricevono in casa.

La cosa è meno ilare di quanto sembra, trattandosi di cosidetti “mass-media”, e una qualche responsabilità, con questo modo di titolare, qualche danno, di sicuro, lo producono.

Non ci sono italiani, dovrebbe essere la tipica notizia consolatoria. Cioè, si, è successo un disastro, è vero, ma non ci sono italiani. E se c'erano, erano pochi pochi. Questo modo di titolare porta con se un germe molto negativo. Quello di ritenersi “diversi” (ma in cosa ?) in quanto esseri umani dotati di un documento che ne qualifica l'identità, sul quale alla voce “nazionalità” è seguita la parola “italiana”.


Sembra come se davanti a questa discriminante, il dolore abbia l'obbligo di fermarsi, di contenere quella commozione, quel dolore per il dolore altrui che ancora ci qualifica come esseri senzienti, e in barba (o in ossequio) al mito della diversità, stabilire con esso, un rapporto del tutto speciale.


Che culo, ahò, non ci sono italiani. Come se poi degli italiani ce ne fottesse davvero qualcosa. Non sono gli stessi con i quali ti mandi amichevolmente al diavolo per questioncelle di precedenza (fossero per strada, o in coda, che so, alle casse di supermarket, come a quelle di un qualsiasi ufficio postale). Però, non ci sono Italiani, ragazzi.


Lo trovo avvilente. Il concentrato, la rappresentazione concreta del concetto di sovrastruttura. Al motivo scatenante, la scossa tellurica, gliene poteva fregare di meno del colore della pelle, del campanile all'ombra del quale abbiamo avuto i natali. E per paradosso, sono queste le tragedie che dovrebbero indurre un po' tutti a riconsiderare in maniera robusta la propria e l'altrui esistenza, in rapporto con gli altri.


Con gli altri si muore. La morte collettiva, il dramma collettivo, scoppia una bomba, non ci sono italiani, viene giù un tupolev, non ci sono italiani, esplode un vagone cisterna carico di gas, non ci sono italiani, e se c'erano erano pochi, ma pochi pochi.


A me, come essere umano, come cittadino del mondo, da fastidio una notizia cosi. A me, come essere umano non interessa stilare una competizione della commozione, legata al luogo di nascita.


A me, in ultima istanza, st'informazione cosi fa profondamente paura.

2 commenti:

  1. Non ho mai letto nulla su questo blog, ma ti posso assicurare che non posso essere più d'accordo di quanto lo sono ora su ogni cosa che dici.

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  2. Anche a me fa impressione il distinguo nazionalistico, soprattutto in questa catastrofe, attualmente la catastrofe più immane del terzo millennio

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