15/09/10

Grazie Cindy

la copertina del disco









Poi, arriva ad un certo punto della carriera di un cantante, magari distintosi su altre sonorità, altri “generi” musicali, il momento in cui, fatalmente, direi quasi inesorabilmente, “sforna” un disco di blues.

E’ il caso, da antologia di Gary Moore, prima onesto praticante dell’Heavy metal, o quello dei tributi, come quello degli Aerosmith (anche loro, dai sentieri dell’Heavy, tributano al blues uno dei loro album più belli – sontuosa la loro The grind – traccia dello stesso album HONKIN' ON BOBO intriso di blues).

Da pochi giorni sto ascoltando una tipa che ho apprezzato, da anni, per la sua freschezza, per la pazzia di sottotraccia che la sottende, per la capacità di stupire, di misurarsi con il nuovo e che mi ha regalato momenti di autentica euforia (Girls Just Want To Have Fun). E’ arrivato il suo momento del blues. Uscito non so bene quando, ma senz’altro quest’anno, Memphis Blues è un piccolo cammeo. Accanto alla Lauper, in quasi tutti i brani, ad accompagnarla ci sono calibri del genere blues, da Jonny Lang (altra mia “fissa” particolare) a BB King, da Charlie Musselwhite a Allen Toussaint.

Il disco è un insieme di cover, tutte egregiamente riuscite e che danno modo alla cantante di mettere in mostra la sua versatilità, non sfigurando affatto accanto a mostri sacri di provata e lunga esperienza. Sembra che l’abbia sempre fatto, il blues.

Ora, al di là del sospetto si tratti di un’abilissima operazione di marketing (peraltro piuttosto in voga: come visto non è raro che escano album con tale architettura: un grande nome in duetto con altri, altrettanto grandi, nomi), quello che mi intriga (essendo praticamente un malato del genere) è perché, prima o poi, si sente questo “bisogno” di tornare (o arrivare) al blues.

Blues è uno stato d’animo, mica solo una musica. Blues è la metodica ossessiva di dodici sporche battute che si ripetono all’infinito e che consentono, su un ordito di tempo e ritmo, di innestare stacchi di voce, di chitarra solista, reinventandosi di nuovo. Un mondo a se.

Il blues, almeno in Italia, vende pochissimo. I banchi dei negozi di CD sono tristemente assortiti: qualche grande nome, poche le novità, totalmente mancanti gli artisti che pure, in tutto il mondo (il genere vanta artisti ad ogni latitudine, dai Leningrad Cowboy a gruppi, misconosciuti, nipponici).
E’ una roba da malati.
E io stesso, non mi sento molto bene.

risorse:
il sito della cantante
l'immancabile track su youtube

2 commenti:

  1. Non direi mancanti in Italia: per fare qualche nome, Tolo Marton, Paolo Bonfanti, Fabio Treves, Aida Cooper, Roberto Ciotti, Gigi Cifarielli.
    Comunque un disco di blues è un ritorno alle origini per un musicista rock, la ricerca dell'eterna giovinezza per chi sta invecchiando. Non proprio un lifting, diciamo un bagno termale.

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  2. e anche la capacità, reinterpretandoli, di donare nuova vita a "vecchi" standards...

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