21/04/11

Signora Borman ?

Frank Borman














C’era Carver che sosteneva che l’incipit per i suoi racconti era qualcosa di inspiegabilmente legato a fattori non importanti. Famoso quello in cui citava…”c’era una donna che stava passando l’aspirapolvere quando suonò il telefono”.
Chiaro che tutto ciò si traduca, per chi scrive, in un inconsapevole miniera di spunti per lo sviluppo della narrazione.
Bene, a me è capitato mentre ero seduto nella reception di un centro benessere di ascoltare queste innocenti parole da parte di una segretaria (non importa qui quanto avvenente: non la vedevo neppure).
“Signora Borman ?”
Ora, da queste semplici scarne due parole si è scatenato l’inferno, come amava dire Russel Crowe, ne il Gladiatore. Intanto le sinapsi, come tanti topi dietro il flauto magico, si sono messe in moto per lanciare un search nel cervello malandato. Borman, ci giurerei, è classificato in qualche file della memoria nella cartella LUNA.
Sissignori, è il nome di un’astronauta. Vattelapesca cosa ne sia stato di lui, al momento.
Qui è in gioco la fascinazione, la potenza evocativa di un cognome. La capacità di attingere all’enorme patrimonio cognitivo della nostra storia recente.
Signora Borman !
Cosi potrebbe cominciare un racconto che narri, chissà, della consorte di un’astronauta. Se non ricordo male era anche il titolo di un film. Ma da solo, quel cognome, ha il potere di suscitare ricordi, fantasie, e perché no ? paure.
Destrutturiamo la frase. Intanto il tono è interrogativo. Signora Borman ? sta ad intendere che la persona che pronuncia la frase non sappia chi realmente sia. Non l’ha mai vista prima, ma chiama, sta chiamando proprio lei, non un’altra. Lei sta chiamando proprio la Signora Borman, non c’è alcun dubbio. Chiarito questo, resta da chiedersi perché la sta chiamando. Io lo posso sapere, essendomi trovato nel contesto, e lo posso anche rivelare: la signora in parola aveva evidentemente prenotato qualche trattamento estetico ed era in attesa la chiamassero per iniziarlo.
Ma quella frase, con quel tono, si presta (alla mente del narratore) per essere trasportata in ogni dove.
Certo, non è automatico, il collegamento alla professione del marito. L’omonimia, in questo caso, è la più potente dissipatrice di certezze. Ma ho pensato al mestiere del marito per connotare anche lei.
Perché la stanno chiamando ? Hanno da riferirle qualcosa intorno al di lei consorte ! E se si, cosa ?
Che ha avuto un incidente (a memoria mi pare di si, anche se non so collocare in quale delle dodici missioni dell’Apollo). Oppure che ha da ritirare la pensione ? O che gli hanno portato via la macchina, parcheggiata maldestramente fuori da qualche centro NASA, oltrechè dalle immancabili striscie blu (parcheggio a pagamento). Ed è lecito domandarsi se il rango di astronauta consente di parcheggiare senza troppa grazia al di là degli spazi consentiti (e riservati) ?
Sta di fatto che la chiamano, questa signora, la moglie di un’astronauta. Quale sia stato il motivo per il quale la stanno chiamando, di una cosa sono piuttosto certo: queste due parole, da sole, hanno avuto il potere di farmi prendere una penna, un foglio, e scrivere queste frasi seduto in una rigida mattina di primavera sotto un cielo ingombro di nubi, seduto su un cuscino che un addetto mi ha caritatevolmente elargito, per non inumidirmi le chiappe, sulle sedie bagnate dalla pioggia di stanotte.
Signora Borman, chiunque ella sia, mi scusi ancora.

1 commento:

  1. Leggo da wiki che Borman, ritiratosi a vita privata, si sta dedicando alla sua grande passione: il restauro di vecchi aerei. Forse la signora Borman vuole essere restaurata nel desiderio di volare ancora con il marito

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