13/10/08

Peso leggero, di Adam Oliver


Ho preso questo libro, perchè sulla copertina c'è un guantone rosso, come quelli che uso io, per divertirmi, col sacco da 30 kg. appeso in garage. E poi perchè mi piacciono le storie che parlano di pugilato. Oliver Adam è francese, ed è giovane. Le due cose non sono necessariamente in conflitto.
E la sua scrittura odora troppo di Camus.

L'ho finito, mettendoci comunque troppo, letto nelle pause d'attesa, in auto, mentre aspettavo che aprisse un cliente, o in rari momenti di pace, sul divano.
Ho letto poi, nel frattempo, anche altro, ma la cosa che mi ha stranito di più, in merito a questo testo, è stata una recensione uscita sul supplemento del Sole24ore di qualche domenica fa, a firma Giuseppe Scaraffia, che titolava “Lo scrittore sale sul ring”.
Uno strano articolo: per tre quarti speso a rimembrare il rapporto che ha legato il mondo della noble art a scrittori eccellenti, da Heminghway a Jack London, passando per Camus e citando lavori di altri scrittori Carol Oates (sua la biografia di Mike Tyson, che lessi anni fa), e potrei continuare citando i racconti dai quali Clint Estwood ha tratto il film Million Dollar Baby, scritti in modo impeccabile (in pratica, quasi una sceneggiatura) da un semisconosciuto F.X.Toole (“Rope burns” poi malamente tradotto in “Lo sfidante”).
Grave l'assenza, da quest'elenco, degli splendidi racconti di Thom Jones (editi sempre da minimumfax, su tutti, la raccolta “Sonny Liston was friend of mine”).
Del libro di Adam, solo tre parole, verso la fine dell'articolo.

Non mi ha esaltato. Come dicevo, forse questo tipo di scrittura prim'ancora che diventare un “genere” malignamente chiamato scrittura o scrittore “da minimumfax”, ossia una prosa rappresa e scarna, vagamente cinematografica, gradevole ma non necessariamente un capolavoro. alludendo con ciò quasi ad uno stilema, subito smentito però, perchè per gli stessi tipi hanno pubblicato anche altri grandi della letteratura, penso a Carver, su tutti, ma anche Wallace e Richard Yates.
Il rimando a Camus, sicuramente non voluto, è nell'assenza di prospettive, nelle scene al cimitero, nei ricordi della morte dei genitori, si intravede nella crisi del protagonista, speso fra il ring, un lavoro presso una ditta di pompe funebri, il rapporto con l'alcool, il suo coach, e Su, la donna che vorrebbe sposare, il rapporto con la sorella, alla quale è molto legato e un fratello, defilato, col quale non è mai corso buon sangue. Scenari di periferia parigina, melting-pot d'oltralpe, nei fast food etnici, nelle solite palestre “puzzolenti di sudore”, nelle banlieue bagnate dalla pioggia. Una discesa agli inferi narrata con palesato distacco, ai limiti dell'autocompiacimento. La prosa, ai confini col diario, una narrazione come detto, spoglia, senz'enfasi. Niente di che, insomma. Non scalda !


Spero di ricredermi con i suoi racconti, che ho preso, e che sempre per lo stesso editore, sono usciti con il titolo “Passare l'inverno”.
Visto il periodo, mi sembra già solo per questo un titolo azzeccatissimo.

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