Giulio Mozzi, la “colpa” è sua. Pubblica sul suo Vibrisse, certi post che poi ti fanno mettere in moto da sotto le ragnatele, nei confusi corridoi neuronali che mi ritrovo, dei link ad altre cose, lette magari qualche giorno prima.
E’ successo cosi, che insieme alla lettura del suo post Profitto (vedi link in fondo)., sia poi andato a cercare in rete un articolo che avevo letto sul Sole24ore di domenica 24 maggio. Riproduzione controllata, c’era scritto sotto. Poi l’ho trovato (quasi nella sua interezza) in rete (vedi link in fondo).
Da questo articolo, un link (vedi link in fondo) rimandava ad un’altra intervista allo stesso, stavolta edita sul sito della Stampa, e in margine al Salone del libro di Torino, appena concluso.
Ora, ci sono un paio di osservazioni di Ferrari che meritano una riflessione.
La prima (si trova nell’intervista):
“E la Fiera di Torino serve?
«È come un’enorme libreria, e poi direi che tutto serve, ma in Italia non c’è una vera e profonda campagna per la lettura e in questo senso ci sono molti sprechi»”.Mi è tornata in mente una cosa detta da Giulio Mozzi ancora nel 2003, nel corso della presentazione di un libro (credo fosse uno dei primi, scritti da una nota blogger) in quel della libreria MelBooks Store, di Roma
“In Italia, contrariamente ad altre nazioni (USA) manca un magazine a tiratura nazionale che parli di libri, che editi racconti, magari di scrittori esordienti”.
Ecco, magari Gian Arturo Ferrari, vista la carica che ricopre (con estremo divertimento, ammette) potrebbe accarezzare un’idea del genere.
In altri termini, trovo buffo che uno dei responsabili di una delle maggiori case editrici italiane, convenga manchi “una vera e profonda campagna per la lettura” non si attivi intorno a questo tipo di idea.
Il modo col quale si “trattano” i libri, prendiamo la televisione, fa perno ancora su una modalità quasi carbonara, da addetti ai lavori. O rapidi inserti nei tiggi (Tg1 con il suo Benjamin e la “finestra” classica di Canale5, con conduttore in poltrona, libro in mano, e difronte a se l’ospite, lo scrittore”. Oppure Fazio, con toni più salottieri (ed efficaci: mi raccontavano amici librai che dopo ogni passaggio le vendite fioccano).
Di sicuro, sul tema, una bella e profonda riflessione non farebbe affatto male (e un briciolo di coraggio in più).
La seconda: (che si trova nel primo articolo citato):
“La debole scienza editoriale è stata travolta dai maremoti emotivi, spontanei e incomprensibili, che hanno fatto nascere i megaseller, giganti da un milione e oltre di copie. E di questi colossali ordigni - i Saviano, i Giordano, i Larsson, le Meyer, i Khaled Hosseini, le Barbery - lungi dal comprendere il funzionamento, non abbiamo neppure ancora trovato l'innesco."Ecco, un tema affascinante: una di quelle cose tipo quelle che succedono a Fringberger: gli oggetti cominciano a parlare, si dotano di vita propria. E’ l’elemento difronte al quale dottrine di marketing vanno in fumo, si dissolvono certezze: i libri che si dotano di vita propria, che sfuggono all’ansia della previsione celebrata da un marketing onnisciente. Il mercato che si autodetermina, sancendo, da solo, cosa e quanto il “pubblico” vuole leggere.
Come tutte le insubordinazioni (quanto reale o apparente ?) ha tutta la mia attenzione.
Risorse:
il post di Giulio Mozzi: ProfittoL’articolo di Gian Arturo Ferrari sul Sole24 oreL’intervista su La Stampa a Gian Arturo Ferrari
E quando riviste dedicate a recensire libri esistono, come "Letture" (ci scrivevo anch'io) capita che chiudono perchè sono in rosso. Perchè vedi, Cletus, il lettore italiano forse è il vero problema. Preferisce nasare in libreria, dar retta a Fazio o alla Bignardi, che cercare recensioni non già sponsorizzate dalle grandi case editrici (che arrivano a Fazio e Bignardi, appunto). E il cerchio si chiude.
RispondiEliminaValter Binaghi
Anche Stilos, da quanto ho capito, ha subito stessa sorte. Proprio per questo, però, mi chiedo come mai si insiste ancora sullo stesso registro, e l'approccio rimanga da "addetti ai lavori".
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