18/07/10

Essere imprenditori, oggi, in Italia.

Per quel poco che seguo i giornali, limito l’aggiornamento su cosa accade nel mondo, in Italia, alla lettura di qualche sito di quotidiani online, e a qualche noioso telegiornale, è un fiorire di inchieste su un ceto di politici e imprenditori, l’un con l’altro abbracciati, nell’intento fin troppo evidente di trarne reciproco vantaggio.
Ho letto, non ricordo attribuita a chi, anche la frase, la criminalità organizzata esisterà finchè esisterà l’uomo. Credo sia di un giudice. Credo sia un messaggio molto negativo, direi rassegnato.

Ora nessuno vuole illudersi circa il profondo radicamento di questo tipo di pratiche nella psiche collettiva. Credo non sia nemmeno più, per evidente mole di interessi, circoscrivibile in determinate regioni del paese. Quello su cui mi vorrei soffermare è un tratto del carattere “tipo” che ne viene fuori. La portata devastante di simili situazioni sulle nuove generazioni.

Si avvalora il concetto che fare impresa, oggi, in Italia, sia cosa da interpretare esclusivamente alla ricerca di sostegno (spesso ai limiti della legalità). Viene meno il carattere di sfida, di capacità nei propri mezzi, non solo come tripudio dell’arte di “farcela da soli”, ma proprio come insita nel concetto impresa.

Giustamente, faceva notare un amico, a fare gli imprenditori cosi ci vuole molto poco. Chiunque, al comando di una qualsiasi attività, forte delle complicità col potere, sarebbe in grado di saper guidare un’Azienda. Non si richiedono doti da mago.

Coltivare questa convinzione è piazzare una pallottola nel cuore del futuro. Non c’è davvero scampo, se a fare argine contro questo dilagante modo di interpretare il lavoro, viene meno anche la forza della legalità. E le parole, rassegnate, del giudice suonano ancora più sinistre se proiettate nell’immediato futuro.

Svelano un sistema familistico, che quand’anche non è implicato direttamente con nulla di criminale, castra qualsiasi spinta, ambizione ad almeno provarci. Un deprofundis della capacità ci cambiamento, che pure dovrebbe essere tratto distintivo delle nuove generazioni.

Cosa stiamo dando ai nostri figli ? cosa li facciamo studiare a fare ?
Questo modo di procedere è figlio di storture, gap, leggi che hanno imprigionato e ridotto a zero, qualsiasi sussulto di dignità. Fare l’imprenditore, fa niente di quale impresa, diventa cosi l’amaro rifugio di coloro che credendo di incarnare la massima espressione di libertà, si confrontano in un mercato drogato. Dove a vincere non è la capacità di innovare, la creatività, l’originalità della propria proposta, ma il sottobosco di affari, alleanze, favori, che costituendo la stampella al proprio operare, di fatto ne limitano terribilmente la portata, condizionandola, in un valzer letale.

Sono appunti presi di corsa, questi. Sui quali non smetto di ragionare.
Credo però che a prescindere da tutto ciò, non mi rassegnerò a considerare modello chi, forte delle sue connivenze, viene addirittura additato dal sistema di potere (leggi: giornali, anche autorevoli) a punto di riferimento. Di cosa ? Forse è arrivato il tempo di liberarsi da questa jattura che è condensata nel concetto “l’arte di arrangiarsi”. Uscire dal medioevo della ragione, e proporre, con coraggio, nuovi modelli imprenditoriali.

Ma forse è già troppo tardi.

Nessun commento:

Posta un commento