Lo ammetto, le ho detestate, mi hanno convinto che la mia televisione funziona alla grande, anche senza le frastuonanti trombette africane. Ora mi mancano.
Mi mancano i bei faccioni panciuti della ciurma di opinionisti al seguito di mammarai, che si sono fatti più di un mese, a spese degli abbonati, per svolgere un lavoro che nessuno avrebbe impedito di svolgere (decorosamente) anche sull'italico suolo.
Mi manca quell'incursione nei mondi altrui. Quelle zoomate sugli spalti a caccia delle mise più curiose sfoggiate da sostenitori provenienti da tutti gli angoli della terra. Quel piacevole senso di pienezza, in queste calde serate estive, quando ancora le cicale ubriache cantano fino a tardi, e il loro suono, entrando dalle finestre aperte si fonde con quello delle vuvuzela.
Mi manca il valore di pretesto che le partite hanno costituito, per ospitare in salotto qualche amico, smangiucchiando e bevendo qualcosa, commentando, se del caso, gli errori arbitrali, i cosidetti “gesti tecnici” ad opera di atleti di
todos lo mundo.
Insomma, che che se ne dica, il polpo Paul, i commenti di Salvatore Bagni, le gesta di tutte le squadre venute a giocarsi, chi sa, insieme ai mondiali, sopratutto la loro immagine al cospetto del mondo, degli altri, ora mi sento vuoto senza tutti loro.
Facile annettere al calcio la valenza simbolica di occasione di confronto. Fair play in campo (a parte i simpatici segni dei tacchetti sul petto del giocatore spagnolo ad opera di un collega olandese, che in un evidente afflato sperimentalista, ha dato prova di essere più acconcio a tecniche da wrestler). E ancora non secondario il contesto nei quali si sono giocati. L'Africa pur non conseguendo una prestazione sul campo fortunatissima (il solo Ghana buttato fuori ai quarti) deve averci messo del suo contribuendo a quella sensazione di terzietà che deve aver favorito questo fairplay diffuso.
Ho motivo di credere che strategicamente sarà il continente del futuro, dove per tutt'altri motivi il rapporto con la natura non ha ancora assunto le criticità del resto del globo “occidentalizzato”.
Ecco, con quella specie di retrogusto agrodolce che lasciano eventi cosi, mi ritrovo già a rimpiangerli, questi mondiali.
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