Ho preso coraggio, sostenuto dalla necessità di sorridere o di lasciarsi scappare qualche sonora risata davanti all’umorismo intelligente del grande regista.
Sono uscito dalla sala con un rimando prepotente, non ricordo ad opera di chi, della frase “fenomeni che da noi sono sopravvalutati ? Woody Allen, per esempio: snobbato in patria colleziona aficionados da noi”.
Il film ha il suo più grande difetto nella trasposizione dei tempi. Risulta pensato come quelli di una commedia teatrale, ma trasferito “di peso”, senza adattamenti, al grande schermo, perde la caratteristica che ne avrebbe fatto un prodotto gradevole.
Lento, noioso, vagamente prevedibile, e con un inedito finale “semi aperto”, cui sembrano essersi votati (con qualche decennio di ritardo) i registi dopo aver copiato gli scrittori (penso al maestro in assoluto: Raymond Carver).
L’ironia non manca, certo. Qualche sincera risata ti scappa nel seguire le peripezie di un Anthony Hopkins in forma smagliante, alle prese con una spumeggiante (e un po’ mignottta) ventenne.
Cosa vuol essere ? Forse la celebrazione dell’età adulta alle prese con l’eterno tema dell’amore.
Qui Allen riesce, il ritratto a tutto tondo della consapevolezza dei limiti del corpo, a dispetto dell’eterna giovinezza che sembra portarsi con se l’amore, e chiunque lo prova, ancora.
E’ una trama da palcoscenico, e la sua invenzione su pellicola, lascia l’amaro in bocca.
Peccato.
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