07/08/12

Memorial (Down Zero, NY)













Undici, un numero che difficilmente i newyorkesi dimenticheranno. Domenica mattina, c'è un cielo adatto a questa visita. Quelle bianche giornate estive, velate da uno strato di nuvole, che contribuiscono a dare alla luce un colore surreale. Il tempo. Quello meteo e quello scandito dal passare degli anni.

Sono passati 11 anni da quella ferita. Non so quanto ci vorrà a rimarginarla. Jonathan Franzen, chiedendosi come raccontare ad un bimbo che nel 2001 ancora non era nato questa tragedia, suggerisce di prendere a paradigma la storia del cuoco di uno dei ristoranti situati nella vetta di una delle due torri, la seconda.

Avendo assistito all'impatto dell'aereo sulla prima, prese il telefono e telefonò a casa. A casa la moglie non c'era. Era in lavanderia, si quelle a gettone. Provò più volte, senza successo. All'ultima telefonata lasciò detto alla figlia, ditele che la amo.
Ditele che la amo. Hai la consapevolezza che di li a breve non ci sei più. Non hai ancora ben recepito cosa diavolo è successo. Ma conservi la tenerezza di fare una telefonata a casa, per poter dire ancora una volta, forse l'ultima, a tua moglie “ti amo”. Ecco, questa struggente scheggia raccontata da Franzen, sintetizza bene il modo di prenderla, da parte della gente di questa città.

Anche il memoriale, non ha nulla, o poco, della retorica dei monumenti. Minimalista all'ossessione. Lì dove sorgevano le torri, al posto delle loro immense fondamenta, due mega vasche. E l'acqua. L'acqua che scivola da pareti di marmo nero inclinate verso il fondo, dove ancora, al centro, un'altra piccola vasca si incarica di raccorglierla e di risospingerla, attraverso i condotti, dall'alto, per lasciarla scivolare di nuovo dalle pareti, in un moto continuo. L'acqua. Un elemento positivo, la vita. L'acqua che si muove, che non sta ferma per definizione. L'acqua il cui rumore è l'unico che si percepisce, nonostante la gente, gran parte turisti, che affolla quest'angolo di New York che è una sceneggiatura venuta male. La città sutura la ferita. Ai margini un grattacielo, stavolta uno solo, si staglia verso il cielo. Ancora in fase di costruzione. Mancano gli ultimi piani. Come dicevo in uno dei primi post da questo viaggio, una maniera camuffata di stabilire una relazione con Dio.

I nomi, ancora. I nomi di tutte le vittime, uno per uno, incisi sugli spessi parapetti di metallo (sembra ottone, lavorato al laser). I caratteri sono dei vuoti sulla superficie della lamiera. Anche questo, a volerlo leggere, un modo attraverso le parole, per ricordare chi, da quella maledetta mattina, non c'è più. Ma rimane l'amore. Quello si. L'amore della gente che vive in questo angolo di mondo, verso la propria città. La voglia di ricostruire, e insieme, di non dimenticare. Poi, poi, per una volta, si lascia da parte la retorica e si bada, anche solo muovendo i propri passi in quest'area immensa che ha ancora l'aspetto di un mega-cantiere, a capire. Capire quello che è successo. E da lì, ricominciare.


il sito ufficiale del Memorial: qui
Se volete potete scaricare una visualizzazione (rendering) dell'intera area quando sarà ultimata: qui

1 commento: