L’altro giorno, credo fosse il 31, sono passato davanti ad un’edicola e ho chiesto la Stampa.
L’avevano terminata, cosi ho ripiegato sul Corriere. Non ho fatto male, perché nelle pagine centrali della Cultura, c’era questo articolo qui, a firma Paolo Giordano.
Poi ho raggiunto casa di un amico, poco distante da Roma, e lì, la mattina del primo gennaio, mentre ancora tutti dormivano, e fuori veniva giù che era uno spettacolo, ho letto l’articolo.
Ora, al di là della recensione, al di là del libro (che comunque, non foss’altro che per curiosità, mi riprometto di leggere, prima o poi), a me il nome “Buzz Aldrin” provoca emozioni molto forti. Basta già solo questo, sebbene nel libro in parola venga scomodato per il fatto di essere stato il secondo a calpestare il suolo lunare (ma, in compenso, il più fotografato, almeno mentre erano lassù).
Non so come spiegare. E’ qualcosa che attiene alla mia adolescenza, a quella magica notte di giusto 40 anni fa, è assistere con tutto il bagaglio di conoscenza che può avere un ragazzino di tredici anni a qualcosa di strano, inimmaginabile, assolutamente inedito e che ti può, in modo irrimediabile, aiutare a formare dentro di te un disastroso senso del mito.
Il termine disastroso non è esagerato. Fa riferimento alle scarse difese che può opporre alla fascinazione di una cosa del genere, la testa di un ragazzino, ancora presa dalle tipiche cose che facevano i ragazzini in quegli anni (il cosiddetto sessantotto è stata sostanzialmente roba d’altri).
Giusto un paio d’anni fa, aggirandomi in una libreria salentina, in cerca di qualcosa che potesse solleticare la fantasia, mi sono caduti gli occhi (pessima espressione…concordo) sulla copertina di un libro “Polvere di luna: la storia degli uomini che sfidarono lo spazio” a firma Andrew Smith, Cairo Editore. Ho ritenuto congruo l’importo di diciassette euro, e devo dire che non me ne sono pentito. Si tratta di un lavoro, steso da un giornalista, forse quasi mio coetaneo, che partendo dalla mia stessa curiosità (e sicuramente con ben altri mezzi) ha saputo riannodare le fila delle esistenze di quella dozzina di nostri simili che hanno, ad oggi, compiuto qualcosa di decisamente straordinario. Cosi, se li è andati a cercare uno ad uno. E il libro è la storia di questi incontri, e anche di più: storicizza, ricolloca fatti, tensioni, film, gruppi musicali, che hanno condiviso quell’epoca che oggi appare cosi lontana, tanto da essere quasi legittimati a pensare che non sia mai esistita, e che ci si rapporti ad essa in termini di leggenda.
La rete ha fatto il resto. Basta lanciare un search su google, per rendersi conto della quantità di siti che, a vario titolo, annoverano detrattori o fanatici dell’evento. Ricordo una soleggiata mattina all’Eur. Nel riflesso bellissimo che hanno i travertini dei palazzi, baciati dal sole della mattina, c’erano, custodite dentro un teca in vetro blindato, delle pietre. Sassi che provenivano dalla luna.
Rimasi a guardarli come se non ne avessi mai visti altri, nella mia, fino ad allora, giovane vita.
Ed è una cosa che è fortemente legata all’emozione, come detto, e quindi quanto di più lontano dalla capacità di un discernimento obiettivo.
In sintesi: l’aura che avvolge, ai miei occhi, tutto ciò che a che fare con quest’impresa, e che in modo non troppo complicato si intravede addirittura dall’immagine che campeggia su questo blog, mi autorizza a credere che di questa storia è bene che se ne parli. Che non finisca nel dimenticatoio delle nostre esistenze attualizzate, al meglio, dai freddi resoconti di viaggi interstellari di macchine, baccello inanimato cui abbiamo delegato, per evidenti limiti di tempo, il compito di continuare ad esplorare.
L’avevano terminata, cosi ho ripiegato sul Corriere. Non ho fatto male, perché nelle pagine centrali della Cultura, c’era questo articolo qui, a firma Paolo Giordano.
Poi ho raggiunto casa di un amico, poco distante da Roma, e lì, la mattina del primo gennaio, mentre ancora tutti dormivano, e fuori veniva giù che era uno spettacolo, ho letto l’articolo.
Ora, al di là della recensione, al di là del libro (che comunque, non foss’altro che per curiosità, mi riprometto di leggere, prima o poi), a me il nome “Buzz Aldrin” provoca emozioni molto forti. Basta già solo questo, sebbene nel libro in parola venga scomodato per il fatto di essere stato il secondo a calpestare il suolo lunare (ma, in compenso, il più fotografato, almeno mentre erano lassù).
Non so come spiegare. E’ qualcosa che attiene alla mia adolescenza, a quella magica notte di giusto 40 anni fa, è assistere con tutto il bagaglio di conoscenza che può avere un ragazzino di tredici anni a qualcosa di strano, inimmaginabile, assolutamente inedito e che ti può, in modo irrimediabile, aiutare a formare dentro di te un disastroso senso del mito.
Il termine disastroso non è esagerato. Fa riferimento alle scarse difese che può opporre alla fascinazione di una cosa del genere, la testa di un ragazzino, ancora presa dalle tipiche cose che facevano i ragazzini in quegli anni (il cosiddetto sessantotto è stata sostanzialmente roba d’altri).
Giusto un paio d’anni fa, aggirandomi in una libreria salentina, in cerca di qualcosa che potesse solleticare la fantasia, mi sono caduti gli occhi (pessima espressione…concordo) sulla copertina di un libro “Polvere di luna: la storia degli uomini che sfidarono lo spazio” a firma Andrew Smith, Cairo Editore. Ho ritenuto congruo l’importo di diciassette euro, e devo dire che non me ne sono pentito. Si tratta di un lavoro, steso da un giornalista, forse quasi mio coetaneo, che partendo dalla mia stessa curiosità (e sicuramente con ben altri mezzi) ha saputo riannodare le fila delle esistenze di quella dozzina di nostri simili che hanno, ad oggi, compiuto qualcosa di decisamente straordinario. Cosi, se li è andati a cercare uno ad uno. E il libro è la storia di questi incontri, e anche di più: storicizza, ricolloca fatti, tensioni, film, gruppi musicali, che hanno condiviso quell’epoca che oggi appare cosi lontana, tanto da essere quasi legittimati a pensare che non sia mai esistita, e che ci si rapporti ad essa in termini di leggenda.
La rete ha fatto il resto. Basta lanciare un search su google, per rendersi conto della quantità di siti che, a vario titolo, annoverano detrattori o fanatici dell’evento. Ricordo una soleggiata mattina all’Eur. Nel riflesso bellissimo che hanno i travertini dei palazzi, baciati dal sole della mattina, c’erano, custodite dentro un teca in vetro blindato, delle pietre. Sassi che provenivano dalla luna.
Rimasi a guardarli come se non ne avessi mai visti altri, nella mia, fino ad allora, giovane vita.
Ed è una cosa che è fortemente legata all’emozione, come detto, e quindi quanto di più lontano dalla capacità di un discernimento obiettivo.
In sintesi: l’aura che avvolge, ai miei occhi, tutto ciò che a che fare con quest’impresa, e che in modo non troppo complicato si intravede addirittura dall’immagine che campeggia su questo blog, mi autorizza a credere che di questa storia è bene che se ne parli. Che non finisca nel dimenticatoio delle nostre esistenze attualizzate, al meglio, dai freddi resoconti di viaggi interstellari di macchine, baccello inanimato cui abbiamo delegato, per evidenti limiti di tempo, il compito di continuare ad esplorare.
La sonda Cassini, la gippetta su Marte, sono i moderni surrogati dell’ansia di capire che doveva aver mosso anche un distinto signore, tanti, tanti anni fa. Che aveva un cane di nome Argo, e una donna chiamata Penelope.
E la nostra sete di conoscenza che non conosce fontana capace di placarla.
Scena davvero memorabile, osservare in vetrina le pietre lunari in una giornata di sole all'Eur...
RispondiEliminasi, è un'immagine che mi è rimasta, a dispetto del tempo. Inossidabile.
RispondiEliminaEcco un sito che offre anche citazioni letterarie che oggi regala una citazione dal libro di Harstad. www.alexcafe.it
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