14/04/09

La fiducia, questione d'INTESA

Preceduti da congruo battage pubblicitario (lanci su quotidiani) hanno cominciato a transitare sugli schermi televisivi, nei cinema (nella sequela di spot che precedono le proiezioni vere e proprie) i filmati commissionati da Banca Intesa a tre registi italiani: Salvatores, Sorrentino ed Olmi.

L’oggetto della campagna, è la fiducia. Corrado Passera definisce il proprio lavoro come quello di “intermediario di fiducia”, e l’intento dichiarato è quello, attraverso questo linguaggio cinematografico, di sollecitarla, stanarla, promuoverla, indurre semplicemente a pensarci su.
Thinking about, direbbero a Gallarate.

L’intento è lodevole, l’utilizzo del mezzo anche. Cosi come gli istogrammi per capire i trend, le immagini di un film possono, a mio avviso, più e meglio di fiumi di parole (lette, ascoltate).
Ho qualcosa che non mi torna sulle modalità, in chiave di capacità narrative.

Mentre Stella di Salvatores, risulta quello più azzeccato per immediatezza, comprensione del messaggio, costruzione narrativa con colpo di scena finale, mi lascia perplesso quello di Olmi e del tutto incomprensibile quello di Sorrentino.
Tare del mio sistema neuronale, ovviamente.

Il filmato di Olmi ripropone, al di là delle intenzioni, un modo di fare che non mi sento di approvare del tutto come edificante. Nel raccontare dell’incontro fortuito in treno fra un gruppo di ragazzi (autodefiniti “giovani” con involontario umorismo) e un non meglio precisato personaggio politico, al quale i ragazzi, premiati per una rivoluzionaria idea nel campo della diagnosi infantile del diabete, si rivolgono per sottoporre la loro “invenzione” e cercare di ottenere dei fondi. Ecco, è questo rendere esplicito il rito della sottomissione al potente di turno (il quale, bada bene, si limiterà a vergargli su un bigliettino un nome con un numero di telefono di un suo conoscente che FORSE potrebbe aiutarli) a svilire, al di là delle intenzioni, il messaggio di ottimismo. In altri termini, sembra dirci, vedete ? E’ cosi che funziona (tant’è vero che mutuando dal miglior stile della cinematografia americana – ma proprio lei, Olmi ? il pittore della iconografia bergamasca immortalata in tanti suoi lavori – che il film si basa su UNA STORIA VERA). Svòlti se hai culo, in questo che ricordiamolo, è (purtroppo) "un paese per vecchi". Ed è una pessima morale quella che il filmato ci consegna, nel quale l’unica cosa di ottimistico è, non tanto che il treno arrivi in orario, quanto quella di incrociare un dispensatore di contatti telefonici importanti
(esagero a chiamarla l’anticamera della raccomandazione, vero ?).

Fare le pulci, tuttavia, a questa iniziativa non intende svilirla con argomenti da tavola calda. Vuole soltanto interrogarsi su i limiti della stessa, in chiave di chiarezza dei significati che “passano” attraverso la loro visione. Come dire, un lavoro riuscito, si, ma a metà.

risorse: (qui tutti e tre i filmati, anche in versione integrale)

13/04/09

La vita interiore di Martin Frost, di Paul Auster

la copertina del libro


Auster mi incuriosisce. Ho trovato, fresco di stampa per Einaudi, questo testo, agile, che si legge in un paio d’ore. E l’ho trovato interessante, per un insieme di motivi che tenterò di spiegare.

E’ una scrittura da film. Nel senso che il testo sembra, anzi è, la sceneggiatura. Con tanto di indicazioni per i movimenti della macchina da presa, testi sia dei protagonisti che della voce fuori campo (sulla quale poi sarà bene spendere due parole), le descrizioni dei luoghi, dell’abbigliamento degli attori.

E’ un tipo di scrittura che mi affascina. Al di là dell’utilizzo (forzatamente, in questo caso, per realizzare un film). Il film non ho ben capito se in Italia sia già uscito. Su Youtube se ne trovano dei trailers, e dovrebbe aver visto la luce nel 2007.

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09/04/09

Metabolizzare

Sono giorni, esattamente dalle tre e trentatrè di lunedi mattina che tento di elaborare e interpretare l’insieme delle sensazioni che questa catastrofe ha provocato.
Vissuta di striscio, la scossa al letto nel pieno di un incubo, è niente in confronto a quanto stanno patendo da quelle parti, conscio dell’effetto amplificante della tv (ah, questa capacità di delegare la vista a macchine impugnate altrove, da altri uomini), la tragedia del terremoto tento di metabolizzarla come posso, con risultati alterni.

La prima paura. Quella di “normalizzazione”. E’ in sé una cosa ambigua. Può rappresentare la capacità di sopravvivenza, il guardare oltre, il continuare la solita vita, immerso alla meno peggio nelle solite, identiche, cose di tutti i giorni. Dall’altra, l’indifferenza. Il chiamarsi fuori, fra poco, per dichiararsi arreso difronte al dolore, incapace di sopportare oltre, la vista di tanta devastazione.
La rassegnazione. Quel sentimento che rasenta l’impotenza davanti all’imprevedibilità. Tutto sembra procedere come al solito, poi, una notte, in una manciata di secondi, l’imponderabile, la rovina totale, la perdita di persone care, del totem casa, la propria tana, alla quale si attribuisce, in questo paese, un valore ineguagliabile.

Sospeso, ascolto le litanie dei rappresentanti del governo, le parole dei sopravvissuti. I loro sguardi, quegli occhi che dicono del baratro al quale hanno assistito, in diretta, spettatori favoriti dalla sorte della manifestazione della forza bruta della natura. E’ accaduto solo a pochi chilometri da qui. Potrebbe riaccadere altrove, con gli stessi effetti, forse meno forse più devastanti.
Non sono i danni materiali che mi incuriosiscono. Sono le migliaia di reset che questa gente dovrà, suo malgrado, fare. Ognuno con i suoi strumenti, ciascuno con il proprio spessore, la propria forza.
L’impeto a vivere. Le dottrine orientali leggono nell’incessante gioco delle cellule, nel loro sapiente ed inarrestabile gioco, la spinta della vita. Difficile attribuirgli una natura volontaristica, sembrano dirci che è cosi perché non c’è altro modo. Ma ancora, già solo il trovarsi a respirare, in piedi, nel silenzio assordante di un vicolo un tempo animato dalle voci che compongono la colonna sonora delle nostre giornate, osservare davanti ai propri occhi la rappresentazione concreta della devastazione, misurarsi con essa, e immagino, fare fatica a trovare un perché.
C’è resa, dentro, per non impazzire. Accogliere i frutti di un mistero, di un destino che si è abbattuto, indifferenziato, su ceti sociali, età, sesso, riducendo il tutto, d’incanto, nella porzione di un attimo, ad un brutale confronto con la fisica. Giù le sovrastrutture, solo il deserto.
Un deserto evidenziato dal silenzio, dal riverbero del vuoto dopo il tuono minaccioso che ha accompagnato la scossa. Il dolore muto. La difficoltà a capire. Il rinunciarci, infondo.

Attendere l’alba, forse un altro giorno di sole, fuori da una tenda. E leggere in questo valzer dettato dal sole, una maestosa replica infinita, insieme un bene enorme e una indifferenza, che ci fa più piccoli, stupidi attori sul palcoscenico di un’epoca. Questa, dettata dal più feroce zampata che la terra sia in grado di dare. E’ vita, e morte. Inestricabile.

08/04/09

Aprile è il più crudele dei mesi

La terra desolata di Thomas Stearns Eliot.
I. La sepoltura dei morti

Aprile è il più crudele dei mesi, genera
Lillà da terra morta, confondendo
Memoria e desiderio, risvegliando
Le radici sopite con la pioggia della primavera.
L'inverno ci mantenne al caldo, ottuse
Con immemore neve la terra, nutrì
Con secchi tuberi una vita misera.
L'estate ci sorprese, giungendo sullo Starnbergersee
Con uno scroscio di pioggia: noi ci fermammo sotto il colonnato,
E proseguimmo alla luce del sole, nel Hofgarten,
E bevemmo caffè, e parlammo un'ora intera.
Bin gar keine Russin, stamm' aus Litauen, echt deutsch.
E quando eravamo bambini stavamo presso l'arciduca,
Mio cugino, che mi condusse in slitta,
E ne fui spaventata. Mi disse, Marie,
Marie, tieniti forte. E ci lanciammo giù.
Fra le montagne, là ci si sente liberi.
Per la gran parte della notte leggo, d'inverno vado nel sud.

Quali sono le radici che s'afferrano, quali i rami che crescono
Da queste macerie di pietra? Figlio dell'uomo,
Tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto
Un cumulo d'immagini infrante, dove batte il sole,
E l'albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo,
L'arida pietra nessun suono d'acque.
C'è solo ombra sotto questa roccia rossa,
(Venite all'ombra di questa roccia rossa),
E io vi mostrerò qualcosa di diverso
Dall'ombra vostra che al mattino vi segue a lunghi passi, o dall'ombra
Vostra che a sera incontro a voi si leva;
In una manciata di polvere vi mostrerò la paura.

Frisch weht der Wind
Der Heimat zu
Mein Iriscb Kind,
Wo weilest du?

< Mi chiamarono la ragazza dei giacinti. >>
- Eppure quando tornammo, a ora tarda, dal giardino dei giacinti,
Tu con le braccia cariche, con i capelli madidi, io non potevo
Parlare, mi si annebbiavano gli occhi, non ero
Né vivo né morto, e non sapevo nulla, mentre guardavo il silenzio,
Il cuore della luce.
Oed' und leer das Meer.

Madame Sosostris, chiaroveggente famosa,
Aveva preso un brutto raffreddore, ciononostante
E' nota come la donna più saggia d'Europa,
Con un diabolico mazzo di carte. Ecco qui, disse,
La vostra carta, il Marinaio Fenicio Annegato
(Quelle sono le perle che furono i suoi occhi. Guardate!)
E qui è la Belladonna, la Dama delle Rocce,
La Dama delle situazioni.
Ecco qui l'uomo con le tre aste, ecco la Ruota,
E qui il mercante con un occhio solo, e questa carta,
Che non ha figura, è qualcosa che porta sul dorso,
E che a me non è dato vedere. Non trovo
L'Impiccato. Temete la morte per acqua.
Vedo turbe di gente che cammina in cerchio.
Grazie. Se vedete la cara Mrs. Equitone,
Ditele che le porterò l'oroscopo io stessa:
Bisogna essere così prudenti in questi giorni.

Città irreale,
Sotto la nebbia bruna di un'alba d'inverno,
Una gran folla fluiva sopra il London Bridge, così tanta,
Ch'io non avrei mai creduto che morte tanta n'avesse disfatta.
Sospiri, brevi e infrequenti, se ne esalavano,
E ognuno procedeva con gli occhi fissi ai piedi. Affluivano
Su per il colle e giù per la King William Street,
Fino a dove Saint Mary Woolnoth segnava le ore
Con morto suono sull'ultimo tocco delle nove.
Là vidi uno ch e conoscevo, e lo fermai, gridando: « Stetson!
Tu che eri con me , sulle navi a Milazzo!
Quel cadavere che l'anno scorso piantasti nel giardino,
Ha cominciato a germogliare? Fiorirà quest'anno?
Oppure il gelo improvviso ne ha danneggiato l'aiola?
Oh, tieni il Cane a distanza, che è amico dell'uomo,
Se non vuoi che con l'unghie, di nuovo, lo metta allo scoperto!
Tu, hypocrite lecteur! - mon semblable, - mon frère!

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dal mare della rete, due link


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update: singolare che due su due delle banche online con le quali lavoro, a 72 ore dal sisma non ci sia l'ombra di un banner che solleciti donazioni online pro terremotati

06/04/09

Il mio terremoto

In America lo chiamano Hearthquake. A me un nome del genere mette paura solo a pronunciarlo. Anche se quak, o squaraquak, onomatopeicamente mi rimanda ai versi dei tre nipotini di Paperino. Ma stanotte, mentre l'ennesimo incubo mi vedeva intento, mio malgrado, a calpestare delle persone (sconosciute) con le gomme della mia macchina, illudendomi di lasciarli illesi, mi sono svegliato di scatto, avvertendo, insieme al terrore per l'incubo, il mio letto muoversi. Ho afferrato al buio il cellulare dal comodino, disinserito l'allarme, e sceso alla velocità del suono i gradini che mi separano dal giardino.

Insolitamente caldo, un coro di cani che abbaiavano e un concerto d'antifurti. Sono rimasto cosi, scalzo, in pigiama, a guardare la luna, offuscata da un leggero strato di nuvole (e umidità). Guardato l'ora, sul display del telefonino, le 3,33.
Mi sono chiesto se mia figlia, che vive con la mamma a Roma, stesse bene. Che fare ? Se telefono e magari non hanno sentito niente le faccio prendere uno spavento. Le mando un sms. Digito, senza occhiali, un “tutto bene ?” innocuo. Schiaccio INVIA e il messaggio non parte: il telefono era impallato. Riprovo, una, due, tre volte. E' stato a quel punto che ho percepito che qualcosa di grosso poteva essere accaduto. Rientro cautamente in casa, provo ad accendere la tv. Niente, i soliti programmi, faccio un rapido giro sui canali, vedo la faccia, rassicurante, di Obama dalla Cnn che di notte “rimbalza” su La 7. A quel punto, telefono. Erano sveglie, vagamente terrorizzate (abitano in un quarto piano) ma stavano bene e si, la scossa l'avevano distinta molto bene.

Ho atteso ancora, fumato non so quante sigarette, poi, vinto dal sonno, sono tornato a letto.

Oggi, mentre ero in giro per lavoro, la radio in macchina, accesa di continuo. Gli aggiornamenti, la conta delle vittime che cresce di ora in ora, le testimonzianze, le voci. La voglia di prendere una confezione di guanti da lavoro ed andare. La consapevolezza che sarei d'intralcio. La resa.
A sera, dal teatrino di Vespa, la percezione completa del disastro.

Sento un tecnico, forse Barberi, affermare “se questa scossa fosse avvenuta in Giappone o in California, non avrebbe prodotto nemmeno una vittima”. Allora mi chiedo, senza alcuna polemica, ma di cosa ha bisogno questo paese per lasciarsi alle spalle queste tragedie ?

Perchè lo Stato, per prima, non abolisce quell'assurdo meccanismo del ribasso della base d'asta che comporta, nella logica imperante del sub appalto, di dover vedere crollare edifici adibiti a strutture pubbliche, costruiti dopo tanti altri sismi, altre solenni promesse, poi puntualmente disattese. Allora dietro a certe scelte c'è l'uomo, la sua dignità. Rubare su un appalto, oltrechè criminale è indice di una idea della sicurezza degli utenti vicina allo zero. E' la logica del profitto, dirà qualcuno, no, forse è la sua degenerazione. Allora non accettiamo da uno Stato, che poi siamo, saremmo, noi, che conceda l'affidamento dei lavori con queste normative, con questi strumenti medioevali. Non devono esistere, in una nazione che si dice civile, leggi che legalizzano la ruberia, l'arte di arrangiarsi. Ribassi in base d'asta, significa dosare il cemento a 200 kg al metro cubo laddove è prescritto (e pagato) per essere a 350 kg. Stessa cosa per il diametro dei ferri. Ecco allora che dove non è l'età, vetusta, degli edifici dei centri storici dei piccoli paesini, costruiti in conci di pietra, anche edifici cosidetti “moderni”, roba costruita pochi decenni fa, si sbricioli, col suo carico di morte, per l'amara felicità di qualcuno, “costretto” a lucrare sulla bontà (e quantità) dei materiali a scapito della vita dei suoi simili.

Per non dover piangere ancora, storie come questa.

04/04/09

Bluebird.

Rosanna Lambertucci


John Lee Hocker ha scritto (e suonato) un pezzo che si chiama cosi.
Lo sento quando vado a correre, sul simil ipod. E' ben scandito, con una sua organizzazione. E' un crescendo sostenuto dai fiati e dalla sua chitarra mai banale. E poi il vocione, con un giro ipnotico del basso.
Bluebird. E' un nome bellissimo.
Cosi, la mattina ti alzi e ti chiedi cosa sta facendo Melvin Taylor (che è anch'egli un ammiratore di John Lee Hocker), in quel di Chicago (che prima o poi dovrò andarci). La conoscenza del suo inizio di giornata, con cosa fa colazione, se la fa, come occupa il suo tempo appena sveglio, sottende il criterio che infondo è un essere umano (vivente) e in quanto tale farà le cose (oltre a sapere suonare molto, molto bene la chitarra elettrica) che fanno un po' tutti, quando si alzano al mattino.
Ecco, mi aspetto un libro sui risvegli di gente famosa.
Ad esempio, Giulio Mozzi. Che cosa fa quando si alza ? In che relazione è la qualità di un suo inizio di giornata con quella del resto della giornata ? E' una domanda lecita o vìola, in qualche modo, la privacy ?
Siamo disposti a credere che dal come si scende dal letto, in quella fantastica successione di attimi in cui ad esempio io, “riconnetto”, ovvero mi lascio piovere addosso cappotti di aggettivazioni, chi sono ? che cazzo devo fare oggi, e sopratutto perchè ? Sono interrogativi che partono da soli, come se guidati da un pilota automatico che se ne strafotte della notte mal dormita, della pessima qualità di ciò che hai ingerito la sera prima (vuoi esso solido o liquido, non ha importanza, qui).
Allora un testo cosi sono sicuro, potrebbe scriverlo una persona cosi, che ieri sera in una trasmissione sui libri (qualcuno sa spiegare perchè le trasmissioni sui libri sono orribilmente confinate in orari da metronotte ?) ha tenuto a precisare e rendere pubblico il modo nel quale ha perso cinque chili e ha deciso di farne un libro e questo libro ieri sera è stato inevitabilmente sottoposto all'attenzione di quei quattro gatti insonni, fra i quali il sottoscritto, che ad un certo punto, nauseato, ho spento.
Ma quando spera di crescere questo paese se a parlare di libri, in tv, è gente cosi ?
Se mai farò, con la Cletus Production, un programma sui libri lo chiamerò Bluebird.
Perchè mi piace. Come suona, E come blues.