05/03/09

Cletus production (part one)


L’appuntamento è per le 10, di mattina.
La location, si fa per dire, è l’officina di un amico compiacente. Certo ha poco del garage notturno, ma le auto ci sono, sebbene in riparazione e non per la sosta. E ci sono anche le donnine, sui calendari, discinte e dalle tette grosse che caratterizzano questi templi del machismo.
C’è una specie di scrivania, stracolma di quotidiani sportivi. Oggi l’umore dei gestori è standard (non sono interisti, e la legnata dell’Inter a Marassi non li riguarda più di tanto). Ci sono elenchi del telefono, vassoi con tazzine, vuote, di caffè, che nessuno ha mai ancora ritirato, portacenere stracolmi di cicche. E un telefono.
Il telefono è fondamentale per la scena che dobbiamo girare.
Piazzo il cavalletto, avvito la telecamera digitale. Diamo un’occhiata alle luci. Ce ne sono poche, e per fortuna, quasi tutte artificiali: il locale, come tutti i seminterrati che si rispettano, ha pochissimi sopraluce, e nessuno di questi nell’ufficio.
Aspettiamo che arrivi John.
John, è un addetto alla sicurezza di un McDonald. Quando l’ho visto la prima volta, qualche tempo fa, gli ho chiesto subito se voleva fare l’attore per gioco. Somiglia vagamente a Whitaker. E’ enorme come lui, e vestito con il completo fa la sua porca figura, come uno di quei jazzisti che si piccano di indossare calzature di colore bianco, sotto dei completi di grisaglia impeccabili.
John, sulle prime è rimasto interdetto. “Cazzo vorrà mai questo ?” si sarà detto. E in fondo è stato anche misurato, nelle sue pretese.
Ho con me la busta con 100 euro di bigiotteria, del tipo pesante. Come è lecito che indossi, dovendo sostenere la parte di un manager di borgata che a tempo perso gestisce un garage notturno e una infima televisione privata (non che le due cose siano poi totalmente in conflitto…).

Arriva, che sembra abbia scalato l’Everest…dice in uno stentato italiano, ma con un consistente accento romanesco…”Meno male che era facile da racciunce sto posto qua, eh ?”.
Pacche sulla spalla, possiamo cominciare.
John, si toglie la cravatta e indossa le due tre collane di plastica dorata che simulano le cabeze dei coatti romani. Lascia vedere il petto gli dico. E prendi il mano il sigaro.
No, non lo devi fumare, lo so che non fumi, serve per girare la scena, John, fa parte del personaggio, lo rassicuro.
Attilio indossa la camicia bianca. Sto bene ? mi chiede. Che te frega ? rispondo, tanto ci devono riprendere di spalle. Io con la mia, ci sono uscito da casa.
Ti ricordi le battute ? aggiungo.
Tranquillo, mi fa.
John, si sistema alla meglio sulla poltrona che deve aver vissuto momenti di gloria migliori, prima che i suoi 120 kg ne facessero conoscenza. Lucia gli passa un briciolo di cerone….Sa…è per le luci.
Lucia da del lei a tutti. Anche a me, che la conosco da una vita. Ma tant’è.
Gli amici meccanici, milanisti, si dispongono alle spalle della telecamera…”Oh poco casino qui, eh ? e poi, vediamo di sbrigarci, dovemo lavorà qui dentro, noi” dice Maurizio, come se noi invece stessimo a divertirci.

Le battute John, mi raccomando !
Lui mi guarda come una bestia condotta al macello.
Cerca di essere naturale. Devi immaginarti di essere naturale. Tu non fai il bodyguard del McDonald qui, tu qui sei il vice padre eterno, sei un boss. Di borgata, d’accordo, ma sempre un boss. Hai modi sbrigativi, al telefono devi sembrare credibile, devi gesticolare (tutti i boss gesticolano) fai come i rapper, mentre parli agita nell’aria quella mano col sigaro spento, devi dare l’idea di essere superindaffarato, parli di appalti per le tintorie, di forniture di criceti per le gabbie dei pitoni al bioparco, hai molteplici affari, quasi tuti loschi, vendi spazi pubblicitari per la tua scalcinata tv come fossero treni di pneumatici per SUV. Sei, in altre parole, il boss del quartiere.
Ricordati le battute.
John fa di si con la testa, e confonde il foglio con i testi nell’oceano di carte che ingombra la scrivania.

Carlo, si piazza dietro la telecamera. Da quell’asta la muovi, gli dico (Carlo ha nozioni di riprese cinematografiche come quelle che ho io di biologia molecolare).
Poi la giriamo e la mettiamo dietro a John, ma tu devi riprenderci solo fino alle spalle, mai inquadrarci sul viso. Ci serve per rafforzare l’idea del dialogo veritiero, dico.

Si, mi risponde.
Macchina, poi, dice, nemmeno fossimo negli studios di Hollywood.
Cominciamo.

(segue)

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