02/03/09

La televisione genera infelicità

Giorni fa, Giulio Mozzi, in questo post, ha definito la televisione (questa televisione, che abbiamo oggi, in questo paese) come dispensatrice di ansia e di infelicità.

cit. [La televisione italiana fa stare male, ma questo star male non è un sottoprodotto irrilevante o casuale: è la mission aziendale. Perché solo un popolo di ansiosi insoddisfatti e depressi imbottiti di desiderio di autorealizzazione magica può credere di salvarsi aderendo a proposte commerciali esclusive alla portata di tutti.]

Oggi, ho lasciata la macchina dal carrozziere e sono tornato a piedi a casa. Una passeggiata di diversi chilometri. Ho fatto le strade che percorro in genere quasi sempre in macchina.
Quando le fai a piedi hai più tempo per pensare, per osservare, per sentire gli odori di una primavera prossima a scoppiare, e che dispensa dai tanti alberi che sono qui intorno, sopravvissuti al cemento, un odore interessante. Andando a piedi, hai modo di transitare vicino alle persone. Superarle, se del caso, o farci insieme un pezzo di strada, giusto qualche passo dietro di loro. Ti capita cosi di ascoltare, anche inavvertitamente, le cose che si dicono, in una mattina cosi, dei primi di marzo sotto un cielo biricchino che minaccia altra acqua da un momento all'altro ma che regala, indeciso, anche deboli porzioni di sole.

Due donne, intorno ai sessanta, forse. Parlano fra di loro. Dal tono potrebbe essere una conversazione sugli acciacchi fisici dei reciproci parenti. Dopo un po' capisco che l'oggetto della loro chiacchierata è la puntata di Ballando sotto le stelle. Si aggiornano sulla prova di ballo di questo o di quello. Danno valutazioni. Come potrebbero farlo, per degli amici al circolo del comitato di quartiere (pòsto che esista e che organizzi a cadenze regolari degli analoghi concorsi di ballo).
Subito ho rifatto il link mentale al post di Mozzi. Qui siamo in presenza di una colonizzazione tale da richiedere l'intervento dell'ONU. Non è il fatto che due signore possano discutere di ciò che hanno visto in televisione. Mi ha colpito la loro arrendevolezza al concetto di fiction. In altri termini, e sono pronto a giurarlo, per loro l'operazione di identificazione dev'essere andata talmente a buon fine, cosi estesa, che è difficile tracciare un confine fra la loro realtà (affettiva, di relazione reale) e quella virtuale (dalla quale non sembrano avere più ne le forze ne il coraggio di desistere dall'assistere). Quante signore cosi, ci sono oggi in Italia ? Temo molte. Non so se esistono degli studi mirati, ma ho la sensazione che è questo quello che spaventa. La totale confusione dei ruoli. E laddove la compartecipazione tende a rafforzare, attraverso il subdolo strumento del televoto, la presunzione di libertà, nell'immaginario di queste signore, ecco che lo sfacelo è totale.

Per anni ho inaugurato le mie giornate, in una casa già vuota di moglie e figlia, che grazie al traffico creato dai regali delle giunte rosse al ceto dei palazzinari, non adeguando le strade, imponeva (e impone tuttora) orari da minatori, accendendo la tele per irretire l'attesa del primo caffè della giornata.
Per anni, ritenendomi forte, ho fatto si che la violenza del notiziario di canale cinque, quella scimmiottatura delle headline americane, che ti rimanda a ciclo, ogni 15 minuti lo stesso notiziario (qualora non avessi capito bene) fino alle 8, ora della prima edizione, potesse condizionare fortemente il mio stato d'animo. Il pathos tradito dalle voci, immancabilmente sopra le righe, quasi urlato, dettato dalla fretta di concludere prima possibile e lasciare adeguato spazio alla raffica di consigli per gli acquisti (vedi bene anche questi, quasi per legge, trasmessi a svariati decibel di differenza, in più).
Ho smesso da poco. Ho ritenuto più congruo un approccio alla giornata meno ansioso. Ho poca voglia di patire per i tonfi della borsa nel sud est asiatico, cosi come per l'ennesimo fatto di sangue, che ti coglie ancora semi rincoglionito, in pigiama, mentre ti aggiri come un'automa in cerca di sigarette, caffè, telefonino, ma sostanzialmente di te stesso. Non compro più quotidiani, se non raramente, il bisogno di aggiornarmi lo soddisfo con una rapida consultazione dei siti online degli stessi.

La mattina adesso apro la porta, lascio entrare il gatto, annuso l'aria carica di umidità della notte, ma mi guardo bene dall'assumere ulteriori dosi di infelicità.
Mi basta quella che sono in grado di generare da solo.

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