22/08/09

Tre testi

dettaglio ornamento frontale basilica S.Croce a Lecce







Il lato positivo della vacanza è interrompere. Fermare il ciclo infernale di giornate scandite dall'affannosa produzione di reddito che piega al suo dispotico volere ogni singola attività del quotidiano.
Contrariamente a quanto facevo da giovane, in vacanza i risvegli arrivano sempre prima. Andando a letto prima evidentemente l'organismo ha bisogno di meno ore di riposo, oppure, le stesse sono sufficienti e ti consentono di svegliarti, come si dice, “al levare del sole”.
Sono gli attimi più belli della giornata. Seduto fuori, in fronte alla direzione di quella palla arancione che lentamente sale senza ancora scottare, debitamente munito di Autan (di cui a breve diverrò titolare di quote, visti i robusti consumi), ho dato fondo a tre testi, dei tanti che mi sono portato dietro.




L'ultimo scapolo, di Jay McInerney.
Sono racconti. Per chi avesse letto, a fine anni '80, l'altro suo “Le mille luci di NewYork”, lo spaesamento, appena finito di leggere il primo racconto, è grande. “Che cazzo fa ? Ripete il finale del primo romanzo ?”. McInerney ha una mano felice, e insieme, deve nutrire una qualche ossessione per il pane. All'uscita del tunnel da una notte colorata, al solito, da droghe, pompini esigiti, pin up e drag-queen, immortalati (ancora oggi) nelle notti senza fine spese fra un locale e un altro, fra restroom dove la cocaina scorre a fiumi, il nostro arriva nei paraggi di un forno. Ha le tasche vuote, e trova congruo scambiare la propria giacca griffata, per un pezzo di pane appena caldo.
Il resto dei racconti sono un caleidoscopio dell'umanità (quasi sempre dell'Upperclass) che informa l'America. Scritti in maniera impeccabile, cosi altrettanto tradotti e resi dall'abile lavoro di Paolo Bianchi, i racconti si sorreggono di fulminanti dialoghi, aventi di volta in volta per oggetto, rapporti di coppia alla frutta, beghe familiari e tutto il corollario cui ci ha abituato fino a poco tempo fa un altro grande “fotografo” della società america, Truman Capote.
Letto d'un soffio. Consigliabile a chi volesse capire come si confeziona un racconto.



Poi ho approcciato una raccolta di racconti di Paolo Cognetti (Una cosa piccola che sta per esplodere). Edita da minimumfax, la raccolta contiene una manciata di racconti. Mi ha colpito la cura con la quale sono scritti. L'attenzione al dettaglio che non risulta mai stucchevole, il passo, l'incedere della narrazione, dalla quale arriva la voce dell'autore: mai perentoria, non affrettata, quasi sussurrata. Un insieme di ritratti che colgono gli aspetti magari meno vistosi, ma degni del lavoro di ricerca di chi, come l'autore, dotato di occhi incisivi, esplora derive sociali come l'anoressia (splendido il finale del racconto di un gruppo di ragazzine della buona borghesia internate in apposita clinica svizzera), cosi come della degradazione delle periferie, viste con gli occhi di due adolescenti. Stilisticamente perfetto.



Infine, superando l'invidia per aver visto come il filone Fringberger è stato trattato, come si dice, “molte leghe più avanti” ho attaccato da dove avevo interrotto (pag.50 circa) il tomo uno di 2666 di Bolaño. Beh, ne è valsa la pena. Non avevo mai letto nulla di suo, prima (sebbene, in paziente attesa alberghino sugli scaffali in giro per casa gli altri suoi testi editi da Sellerio). Merita. Mi ha colpito, una volta finito, e tornando alla disponibilità di una connessione internet (ah, la salutare astinenza per qualche giorno....) aver letto da qualche parte che il lavoro (che consta di due volumi) sia stato scritto da Bolaño, consapevole della gravità della sua malattia (era in attesa di un trapianto di fegato) per lasciare alla famiglia (evidentemente in non floride condizioni economiche) una sorta di eredità, in termini di diritti d'autore. Bolaño è un maestro del montaggio. Se avesse fatto il regista se la sarebbe battuta con Fellini. Leggerlo è un'esperienza che consiglio a chi vuole capire come si padroneggiano i tempi di una narrazione. Sovrapposizioni, rimandi, digressioni, un torrente che ti investe e nel quale non hai paura di perderti, essendo appunto grande la capacità di gestire più livelli narrativi. In altre parole, ti fa fare ginnastica, mentre lo leggi, ma la fatica è ampiamente ripagata. Su tutte, la parte dei critici (le prime 200 pagine del volume) meritano la lettura per l'ironia che è bravo Bolaño a far trasparire, senza ricorrere ad alcuna “strizzatina d'occhio” al lettore.
Va da se, che compatibilmente ai tempi della ripresa (ahimè per problemi familiari ho dovuto anticipare il rientro) tenterò di dar fondo anche al tomo due dell'opera, confidando nella comprensione di una trama tanto complessa.

Ed è tutto, per ora.

6 commenti:

  1. Bentornato e complimenti per le recensioni! I ritmi vacanzieri già mi mancano e credo sia lo stesso per te, vero?
    Una cosa: McInerney è stato tradotto da Paolo Bianchi, che hai anche conosciuto, e non dall'omonimo... Annarita

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  2. ops...altra medaglietta nel palmares delle gaffes...Ho corretto...e mi scuso con gli interessati.

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  3. Grazie, ma quanto siamo efficienti anche ad agosto! a presto Annarita

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  4. Per evitare la tristezza che prende a fine vacanza quest'anno ho trovato un rimedio geniale, continuare a lavorare.
    Mi sono goduto la Roma spopolata e i mezzi pubblici quasi vuoti, mi sono goduto un po' meno il caldo e i negozi serrati che per prendere un caffé bisognava fare una spedizione.

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  5. Ombra, sono a Roma dal 18. Non accadeva da anni. Annataccia, coraggio ! Confido in tempi migliori !

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  6. Per me, Il vecchio Jay è sempre il migliore.

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