12/11/08

Uomo nel buio, di Paul Auster


Poi, un giorno, bisognerebbe fare un discorso sul fascino perverso di Fabio Fazio. Intendo sulla capacità subliminal-prescrittiva che il volere scrittori di fama, in studio, facendogli ad arte domande sia sulla loro personale visione della vita e “vistochecisono” anche della loro ultima fatica.Cosi ho ceduto e qualche settimana fa, proprio a seguito della visione della trasmissione ho preso questo testo. Conoscevo Auster per aver sfogliato la sua triologia su NY. L'utilizzo del verbo sfogliato non è casuale. Non l'ho mai completata. Un giorno, forse, lo farò.

Uomo nel buio, invece è un romanzo breve. Uno di quelli che, a vederli, ti dici....questo me lo sparo in un pomeriggio (è nota la mia idiosincrasia per i romanzi, di conserva, prediligo le raccolte di racconti). Cosi è stato.


Auster è un furbone. La cosa che mi resta dopo la lettura è l'ammirazione per come sa padroneggiare la trama, fottendosene di schemi imposti. Alludo alla struttura narrativa. Da subito si dispone su due piani. C'è un uomo anziano, vedovo, vagamente paralizzato, che soffre d'insonnia, in una casa abitata insieme alla figlia e alla nipote. E' un giornalista-scrittore e oltre a vedere durante il giorno film a ruota continua con la nipote, sul divano, la notte per ingannare il tempo, ipotizza una storia parallela.


Acute molte sue critiche su diversi capolavori cinematografici e insieme, molto bella questa definizione "I libri ti costringono a contraccambiarli con qualcosa, a esercitare l'intelligenza e la fantasia, mentre un film si può vedere - e anche godere - in uno stato di passività inerte". I contorni non sono definitissimi. Il lettore è indotto a credere vivano entrambe di vita propria e procede con curiosità. Il colpo di genio arriva a tre quarti dalla fine, quando alla stregua di un direttore d'orchestra fa terminare la storia parallela (una presunta guerra civile fra gli ormai ex stati uniti americani), e “ripiomba” nel quotidiano (che non ha mai abbandonato del tutto, intercalando porzioni di narrazione, anche durante la descrizione di quello che risulta un qualcosa a metà fra un incubo e un canovaccio, ricco di spunti narrativi tali da conferirgli pari dignità, che è il sogno).
Mestiere, mica è da tutti mettere in piedi una cosa cosi e pretendere di farla franca. Eppure Auster ci riesce, in virtù di una prosa scorrevole e sussurata, Fa finire il romanzo in una salsa di rimembranze, nell'ordine, sulla guerra (stavolta quella vera) dalla seconda guerra mondiale, al conflitto in Iraq con tanto di descrizione della decapitazione dell'ex fidanzato della nipote, una scena che si tiene in forza del fatto che è capace di non cadere in un banale grand-guignol, ma rimandando invece, a tutta la banalità del male) e ancora sulla ex moglie, ( degna di nota questa definizione "non voglio credere che il divorzio non sia una cosa crudele. Dolore indicibile, atroce disperazione, rabbia diabolica e nella testa una nuvola costante di tristezza, che a poco a poco si trasforma in una specie di lutto, come se stessimo piangendo una morte"), colorando di malinconia la rapida discesa verso la fine del romanzo.


Che dire ? Volendo infrangere uno dei comandamenti della lettura che recita che non va mai fatta la psicanalisi di un testo (e di conseguenza, del suo autore) è difficile non leggerci un senso di angoscia, vagamente rappreso, qui dominato, ma che sottende evidentemente l'universo creativo di molte delle opere sfornate negli Usa negli ultimi tempi. Tento questa analisi mettendo insieme la tematica de La strada, di Mc.Carthy, il film Io sono leggenda, e buon ultimo anche Wall-e. Insieme sono l'espressione di un disorientamento, preludio alla grave crisi economica che si sta vivendo, e in quanto tali, anche se involontariamente, ne rappresentano un monito presago con un tre per cento di speranza.

Einaudi,2008 trad. Massimo Bocchiola €.17
risorse: sito Paul Auster (in inglese): qui

podcast della puntata di Che tempo che fa con l'autore: qui

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