05/11/08

Il manager ed il netturbino

N.Y. 11 sett.2001
Obama è il Presidente. Si, con la P maiuscola, come si conviene per l’importanza del rango.
L’America. Anzi gli States, come sbrigativamente, e affettando dimestichezza con l’altra sponda dell’oceano qualcuno li chiama, sono gli stati Uniti d’America.

Oggi a Roma fa caldo. E’ un sole irreale, dopo il nubifragio di ieri. Le solite cose, strade allagate, ieri sera la A.S. Roma ha strapazzato il Chelsea, stamattina un est europeo in stato alterato ha investito una dozzina di persone ferme in attesa di un bus, guidando una BMW. Tutto come al solito ?

No, oggi è una giornata speciale. E’ come il 12 settembre, di tanti anni fa. Anche allora, allibito, ero rimasto in casa, c’era il sole, ho stampato la copertina in pdf del corriere della sera (che ora campeggia sulla scrivania) con le foto irreali, da fumetto di fantascienza, delle torri in fumo.
Stamattina ho sentito non so quante volte il discorso di Obama, nello stadio di Chicago.

L’America sono gli occhi spaesati di quel netturbino, in divisa, che si gira, di scatto, appena si ode lo schianto del primo aereo sulle twin towers. L’America sono le smorfie di Obama alla fine di ogni sua frase, nel discorso che ha tenuto stanotte.
L’America è un modo di sentire. L’America è il cimitero di Anzio, con le sue lapidi bianche su un prato all’inglese curatissimo. L’America sono i ragazzi morti ad ogni latitudine, per consentirmi di uscire, la mattina, compiere una serie enne di gesti abituali. L’America, da stanotte, ha ripreso, nell’immaginario collettivo quel ruolo che da tempo le era sfuggito di mano.
Non la voglio far troppo rosa. Dal manager fotografato con la faccia triste, cartone in mano, che esce dando le spalle, in una grigia giornata, all’ufficio della finanziaria nella quale ha lavorato, all’ultimo dei netturbini di Detroit (e fra questi anche stimati bluesman, in privato), una storia per fotografie.

Non so cosa rappresenti agli occhi di entrambi. Ma anche nel gesto col quale John braccinecorte McCain ha zittito i suoi fan, nel paludato albergo nel quale ha celebrato, prim’ancora che la propria sconfitta, la consapevolezza che il suo rivale gli ha offerto un’occasione unica.
Quella di ribadire che dietro all’affermazione “questo è il paese dove tutto è possibile”, c’è un comune sentire, la disponibilità a lavorare insieme.

Adesso aspettiamoci il desolante teatrino dei nostri opinionisti, meglio ancora, dei nostri politici.
Che abbiano un rigurgito di coscienza, almeno. Tacciano, e riflettano su cosa manca davvero in questo paese. Nel paese delle caste, dell’io mi faccio i cazzi miei, della corruzione dilagante.
E’ una lezione, che già solo per il fatto di essere accaduta, potrebbe rappresentare, se interpretata nel giusto modo, un esempio.

Di qualcuno che sappia interpretare questa lezione, anche da noi, di questo c’e’ bisogno.
Ma in silenzio, per favore.
Che di proclami vuoti ed inutili ne abbiamo già piene le palle.

Buon lavoro, Presidente. E, di nuovo, buongiorno America !

3 commenti:

  1. grande disamina, Cletus. In effetti sono rimasto impressionato dalla grande lezione di stile che gli sconfitti americani - i repubblicani - hanno dato al mondo, in primis ai nostri politicanti. Hai previsto ed anticipato di poche ore una battuta infelice del nostro presidente del consiglio. Sigh!
    Toni

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  2. Grazie Toni, mai come in questo caso il silenzio sarebbe stato d'oro.

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  3. E' proprio la disponibilità a lavorare insieme che fa, come sempre, la differenza...

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