Sono giornate di fuoco.
Oggi ho percorso 450 km. In auto. Sono tornato a casa in una condizione prossima a quella di un orangutango appena sceso da un un giro lungo un paio di settimane sullo shuttle, senza alcun dispositivo di protezione.
Ho acceso l'idromassaggio (cosa che un giorno mi ci lascerà secco, stecchito da una scarica elettrica visti i lunghi intervalli fra un utilizzo e l'altro: prediligo una più sbrigativa doccia).
Ho messo nello stereo un cd che ho masterizzato da Alfredo (mio caro compagno di merende) dei Frankie goes to Hollywood. Erano giorni che avevo nelle orecchie il giro di basso che sostiene la loro versione di Born to run (struggente tanto e quanto quella originale di Springsteen) e ho dato, come si dice, manetta all'amplificatore. Vivo in campagna e non rompo il cazzo a nessuno.
Mi sono immerso nell'acqua della vasca. E provato a rilassarmi (si fa per dire) sotto i colpi impetuosi dei bassi.
Mi sono immerso nell'acqua della vasca. E provato a rilassarmi (si fa per dire) sotto i colpi impetuosi dei bassi.
Questo gruppo è stato una meteora. Ho fatto in tempo a vederli qui a Roma, al Palaeur (allora si chiamava cosi, senz'altro meglio di come si chiama adesso Palalottomatica...mio dio !).
Ho assistito ad uno dei più brevi concerti della mia vita. Dubito sia durato più di 60 minuti.
In compenso, questi cinque sei ragazzi, vestiti tutti in aderenti calzamaglia nera, fisici da palestra, non sono stati fermi un minuto. Una botta di energia che se ci fosse stato, avrebbero consentito anche ad un moribondo si alzarsi e cominciare a danzare freneticamente. Travolgenti.
La musica, aiutata da un'amplificazione tanto potente quanto precisa (nonostante l'acustica non eccellente della struttura) a tenere il ritmo e questi cinque pazzi a spiccare salti da acrobati da circo, un ensamble di ballo da lasciare allibiti.
Tanto insolita la performance da lasciare basiti i pochi fortunati.
Ogni tanto sento il bisogno fisico di riascoltarli. Per uno di quei strani giochi della memoria uditiva, che ti porta a riconoscere tre note, magari sentite a caso da un jingle alla radio, e ad alambiccarsi per trovare cosa gli assomiglia, a quale canzone precedente ricondurla. Quest'estate ho letto (senza trovare il coraggio di finirlo), Musicofilia di Oliver Sacks. La memoria uditiva gioca brutti scherzi, a livelli subliminali. E comunque su Welcome to the pleasure dome, varrebbe la pena celebrare un'altra puntata del Procasma, trovo che sia l'ambiente adatto, ad un clima del genere.
Ancora: un altro paio di chicche. Aimee Mann, nella traccia tre del suo ultimo cd, riprende lo stesso giro d'accordi di una canzone di Nelly Furtado (All good things) con una sonorità diversa, dovuta alle timbriche delle due voci. Ma il giro è lo stesso, me l'ha confermato anche mia figlia, che con una testa meno devastata della mia, conserva con ancora più facilità, tracce sonore.
Fra pochi giorni è Natale.
Il regalo me lo sono già fatto: un triplo di Marianne Faithfull, che c'è da mettersi a piangere solo a sentirlo e lasciarcisi calare dentro, cullati da una delle voci più intriganti che abbia mai sentito. (Anche in questo caso, un grazie a Piero, che ha demolito le mie titubanze davanti al prezzo: ne vale la pena, credimi ! Queste le sue lapidarie parole.)
Aveva ragione.
Nessun commento:
Posta un commento