26/12/08

La solitudine dei numeri primi (in classifica ?).

Di questo testo si è detto di tutto. Dalla fortunata scelta del titolo definitivo (vanto dell’editor Mondadori, l'autore avrebbe voluto un diafano "dentro e fuori dell'acqua") , della professione dell’autore (la favola dell’outsider: un milione di copie vendute da uno che con bonomia può esser definito “un non addetto ai lavori”). Facile ne esca anche un film, (visto il feeling, tutto commerciale, che impera fra best-seller e l’industria cinematografica).

Non ho letto il libro. In compenso lo sta leggendo mia figlia, come compito per la scuola: a fine lettura dovrà redigere una scaletta, immagino ideata dalla sua insegnante d’italiano (una donna degnissima) per saggiare e stimolare la capacità critica dei suoi alunni.

Ma è il dibattito che si è acceso intorno a questo “fenomeno” editoriale che svela impietoso l’attuale combinato disposto degli addetti ai lavori (parlo della critica letteraria.e degli scrittori, o presunti tali) e il mercato.

E mi pongo una serie di interrogativi. E’ lecito stroncare un testo per il solo fatto che venda un milione di copie pur non ravvisandone particolari pregi qualitativi ?
La decisione che non ne abbia, mi pare evidente, poggia su caratteristiche soggettive molto forti.
A me può piacere gustare il caffè senza zucchero, a qualcun altro no. Me ne faccio una ragione.
Ma pretendere di avere il verbo (cristianamente parlando) e tacciare di usurpazione un titolo quando questo arriva alle vette delle classifiche (ritenendo) che non ne abbia i numeri, a me pare frutto del più contrito provincialismo culturale in cui versa la situazione italiana.

A me non interessa se Giordano abbia i numeri o no. Se appartenga o meno al gotha della stantia intellighenzia nostrana. So che, forte del battage mediatico (ma sicuri si tratti solo di questo ? voglio credere che anche per altri testi in casa editrice si siano spesi con egual forza), la storia ha funzionato. Ed è scattato il passaparola.

Dall’alto del loro Aventino, coloro che storcono il naso, svelando tutt’intera la loro incapacità a dialettizzarsi con questi fenomeni, forti del loro birignao, sparano a zero. Fanno il paio con lo sfogo di Uto Ughi, in questi giorni sui quotidiani, contro Allevi. Ci sono, non ce ne eravamo accorti, dei depositari della verità assoluta, che stanati dal pifferaio magico delle classifiche, vengono allo scoperto per stigmatizzare gli immeritati numeri dei successi altrui.

Ora sgombrando il campo dalla tentazione di dare valore all’equazione: successo di vendita=qualità assoluta, vorrei sapere cosa, come, chi e quando, sancisce che se un libro ha successo deve necessariamente trattarsi di robaccia. La massa, diciamo meglio, coloro che hanno ritenuto corretto aprire il portafoglio e portarsi a casa, dai banchi di una libreria, o da un supermarket, questo libro,
sono o non sono gli stessi cui vorremmo far arrivare le nostre fatiche ?

Giulio Mozzi ha scritto, agli esordi, una raccolta di racconti (“Questo è il giardino”) che non so quanto abbia venduto, nelle due edizioni (mi pare una per Oscar Mondadori e l’altra per Sironi).
Sono certo, però, che non sia arrivato al milione di copie. Facciamo un gioco. Ipotizzando che in questo paese i racconti godano dello stesso allure che hanno i romanzi, in specie quelli alla Giordano, ci sarebbe comunque qualcuno che si sentirebbe in dovere di stroncarlo ?

Da dove nasce l’acredine ? Credo da una malcelata sfiducia nel senso critico collettivo, che è tipico dello snobismo delle auto proclamate avanguardie. Se è piaciuto cosi tanto è una cagata, sembrano dirci, distillando le loro argomentazioni.

Francamente, di contro, non so quali categorie, diciamo meglio, ingredienti, una storia dovrebbe avere per ambire a questi livelli di vendita. Deve commuovere ? Devono esserci enne scene di sesso ? Deve dare modo al lettore di potersi facilmente immedesimare nelle sventure del protagonista ?
Esiste un manuale del “perfetto scrittore di best-seller” ? Se c’è, posto che coltivi quest’ambizione, giuro, lo compro.
Ma non credo, visti i livelli delle critiche, che questi fenomeni editoriali, cesseranno di esistere.

Qualcuno mi faceva notare, che non essendo le case editrici degli Istituti di beneficenza, il fatto che “sculino” con un testo che vende cosi tanto, gli consente di poter dare alle stampe anche altri testi, destinati (sembrano dirci) a ben altri volumi di vendita.

Vista cosi, e con l’animo il più possibile sgombro da qualsiasi invidia, potrebbero serenamente definirsi, operazioni d’auto-finanziamento.

Lo so, lo metto in conto, e non me ne stupisco affatto.
Con buona pace dei Soloni, che hanno capito tutto.

1 commento:

  1. Appertengo a quella categoria di persone che "spesso" giudica in modo pesantemente negativo molti fenomeni di "classifica" mi sta bene così,penso che sia giusto sposare questo ruolo, tanto viceversa ci sarà sempre una schiera di "opinionisti benpensanti" televisivi pronti a sparare a zero su qualsiasi giudizio fortemente critico che non rispecchi secondo loro i canoni di apertura mentale che sono indispensabili nel momento in cui appunto ci si appresta a giudicare un opera qualsiasi essa sia, un mio caro amico mi soprannomina il criticatutt!
    Io dico solo che non riesco a stare fermo, inerme, impassibile di fronte all'immondizia quotidiana che oggi si vuol far passare per arte,(ma forse anche ieri era così) di certo però parlo con cognizione di causa,non giudico se prima non mi sono documentato, però ti dico che l'attuale situazione in Italia dal punto di vista culturale non è affatto buona,parafrasando una frase del tuo odiato (credo?) Celentano! Ma questo del resto lo sai bene anche tu.
    Per esempio se tu dovessi dare un giudizio sull'attuale classifica dei cd più venduti in questo mese di dicembre come te la caveresti?

    RispondiElimina