25/10/10

Burlesque al Procasma

Flamenco visto da Botero







Intanto ti becchi una bella denuncia...stronzo ! Poi lo vediamo se il tuo intento era o non era quello di tirare in ballo una Onorevole della Repubblica.

Capto questo dialogo dal viva voce dell'auto (una banale BMW x5, color aragosta) di Steve Bishop.
Sali, ti do un passaggio, mi aveva detto poco prima, scostando gli occhiali con la montatura in tinta con la carrozzeria. Immaginate un nano, da circo, al volante di un auto cosi: due cuscini ricamati all'uncinetto sotto il culo, pena il doversi far raccontare cosa c'è al di la del parabrezza.
Per quanto elettronicamente assistita da ogni sorta di diavoleria telematica, l'auto se il conducente non arriva almeno a vedere la strada di la dal cruscotto, non è un romanzo: mica te la possono raccontare. E visti i tempi di reazione di Steve, roba da scegliere di andare in taxi tutta la vita.

Sto per invitarti ad un evento straordinario. Il Procasma ospiterà il primo Festival del Burlesque della capitale. Mai, fino ad ora, si era visto qualcosa di simile. Inoltre sto preparando delle sorprese per i nostri ospiti. A breve partiranno dei corsi, ogni casalinga disamorata potrà, finalmente, appropriarsi delle sofisticate tecniche del Burlesque per riproporle all'interno del proprio bisunto menage.

Bisunto, si. Proprio cosi ha detto. Poi a casa mi sono collegato sul sito di un dizionario online e ho trovato questa definizione, testuale: Come prefisso, "bis-" o "bi-" può indicare: ripetizione, accrescimento_:vedi "bis-unto(= molto unto).

Ora, l'impiego di questo aggettivo, in faccende riguardanti il sesso per la mia limitata cultura ha dei rimandi significativi nella celebre pellicola ambientata a Parigi e che aveva a che fare, già dal titolo (e non ho mai capito bene perchè) con un celebre ballo argentino. Bisunto mi coglieva proprio impreparato, ma da Steve ci stava, perdonando il bisticcio.

Cosi, alla serata convenuta, convoco il solito taxi mediante il 3570. Una voce dal forte accento est europeo mi rassicura sul fatto che a breve, Lampedusa 51 avrebbe dovuto citofonarmi per portarmi al Proscama. Cosi è stato. Con puntualità elvetica citofona, scendo. Ad attendermi un cingalese, in la con gli anni. Ecco l'effetto delle mancate riforme sulle pensioni, mi dico, mentre prendo posto, richiudendo l'ombrello per evitare di bagnarmi.
L'autista ha una guida, a dispetto dell'età, molto speed. Con grazia consumata si dilegua fra sensi unici, corsie preferenziali e chachacha. Mentre guida, dalla sua radio, escono musiche di Bollywood, e io mi interrogo su cosa ne sarà di questa nazione fra dieci anni, Marchionne permettendo. Fuori, intanto, continua a piovere.

Arriviamo davanti al Proscama. Il frontespizio del locale ospita una scritta a caratteri cubitali che certo non farà la gioia di chi abita al primo piano e ha deboli problemi di insonnia. La scena è illuminata a giorno come nemmeno quelle di una troupe intenta a girare qualche spot, dentro la caverna di turno. Ad attendermi, in livrea, l'energumeno dalla voce flatuata, come quella di Audrey Hepburn, che per sua stessa ammissione, costituisce un faro ineliminabile, nella prospettiva della sua crescita. A tutti è dato il diritto di sognare, penso, mentre mi faccio accompagnare i pochi passi che separano il taxi, dall'ingresso Enel del Procasma.

Una buonaserata Signore, mi dice mettendo in tasca la mancia d'ordinanza che lascio discretamente scivolargli fra le mani, mentre mi chiude l'ombrello. Entro e superate la tende pesantissime (con funzioni fono assorbenti, mi ha spiegato una volta Bishop, ma sulle quali nutro pesanti dubbi circa il comportamento al fuoco) scendo i gradini che conducono alle sale. Un gran luccichio di paillettes, piume di struzzo e serpenti boa a circondare delle spalle esili o degne di qualche lanciatrice del peso ucraina. L'effetto è straniante. Mai vista tanta gente. Tutti con un flut in mano, bollicine e risate, come è nello stile del locale. Quasi sepolto da questo festival da magazzino costumi, degno di Cinecittà, facendosi largo a forza, fendendo capannelli intenti a commentare l'avvenenza dei costumi altrui, Steve riesce ad avvicinarsi per porgermi il benvenuto.
Vieni Cletus, qui starai bene stasera. Guarda quanta gnocca, mi sussurra. Steve è gay, chiaro che sottenda alla mia, di felicità. Cosi, fra matrone della media borghesia, cafonazze arricchite e mal smaltate, gente di tutte le salse, e una cospicua presenza di femmine giovani e sorridenti, mi fa strada fino al banco dei cocktail. Prendi, e mi porge una coppa con della roba che fa le bollicine. Stasera abbiamo fatto il pieno, mi dice trionfante, non pensavo il Burlesque attirasse tanto.

Sul palco un'orchestrina vestita con abiti New Orleans, fra i volti dei quali non faccio fatica a scorgere quelli di diversi post telegrafonici soliti frequentare il locale anche per altri avvenimenti. Suonerebbero neanche male, se in mezzo a tanto frastuono, bizzarria del banco mixer del DJ del locale, non uscissero in sincrono le previsioni del tempo, recitate da Paolo Sottocorona, famoso meteo-man di una rete televisiva nazionale, di due settimane fa. Il pubblico non ascolta ne l'une ne l'altre. Il tasso etilico è elevato, le risate, ora isteriche e di circostanza, ora sentite e fragorose riempiono la sala. La temperatura sta salendo.

Bishop sbuca sul palco con la grazia della prima neve, ad ottobre, sul tratto dell'A1 fra Roncobilaccio e Barberino del Mugello. Deve fare ricorso a tutta la sua energia per ottenere l'attenzione del grazioso pubblico. Senza successo. Ad un cenno, imperioso, della sua mano, che non evita di mettere in mostra dei polsini probabilmente comprati su Ebay, le luci si spengono, le voci si ammutoliscono, e un'occhio di bue lo illimina in tutto il fulgore del suo metro e cinquantatre.
Signori benvenuti, dice commosso. Lo conosco, quando è cosi raggiante prefigura quel senso di intima soddisfazione che accompagna il pagamento di pesanti rate di mutuo che continua ad accollarsi con graziosa eleganza, a dispetto dei suoi noti problemi finanziari.
Non avete mai visto nulla del genere, credetemi. E giù applausi, a questo punto, dati sulla fiducia.
Abbiamo veramente chiamato qui sul palco, stasera, prima tappa del loro tour mondiale, le splendide ballerine della Scuola di Madam Genet, direttamente da New Orleans, reduci da uno dei festival più importanti al mondo, ecco a voi le Danseur de La Vi. (ignoro a tutt'oggi cosa diavolo sia).

Entrano una dozzina di donnine, il cui grado di avvenenza è variabile fra Vanna Marchi e Rosy Bindi. Di colpo capisco a chi era riferito il senso della frase iniziale. Tant'è che Bishop evita accuratamente di pronunziarlo, quel nome. Iniziano le danze. L'orchestra fa il suo onesto lavoro, gran sfavillio di piatti, suoni irripetibili di tromba. Sembra di stare in un circo, piuttosto che al Procasma. Mancano gli elefanti, ma i boa ci sono eccome: piumati al collo di queste povere guitte, alcune con le calze smagliate, e in carne ed ossa, come di prammatica, dentro enormi teche in plexiglass, illuminate e riscaldate, nel salone principale del locale.

Il pubblico applaude ad ogni accenno di streap-tease. Bishop rincara la dose, scegliendo dal pubblico due signore neanche male, adeguatamente vestite e che in preda ai fumi dell'alcool pensano bene di ingaggiare una gara di seduzione con le professioniste sul palco. La stessa pretesa differenza che passa fra un filmatino amatoriale su Youporn di due bancari, e Linda Lovelace se mai esistesse ancora, penso. L'effetto è grottesco. Uomini in tight presi a nolo, che probabili consorti delle stesse, sbavano sotto il palco, sgomitando con i fiati dell'orchestra, in una sorta di revival delle emozioni di qualche mezzo secolo fa. L'aria è elettrica. Tutti ridono, applaudono, volano busti, reggicalze, piume di struzzo. Una pacchia per la Protezione Animali, penso. I microchip dei microfoni governano alla perfezione enormi display luminosi che riprendono una passeggiata in carrozza fra i viali del quartiere a luci rosse di New Orleans. Sembra il filmino del viaggio di una coppia di sposi, in viaggio di nozze, nella capitale del peccato, prima di espiarlo a vita in qualche bilocale di Torre Maura. Insomma, la cosa va avanti per un po'.

Ad un certo punto esce Bishop sul palco, intima il silenzio nello stesso modo fatto prima. L'occhio di bue lo riprende, raggiante mentre fende il palco, avvolto nel suo doppiopetto bianco, e annuncia non senza la dovuta enfasi, il numero clou della serata.
Signori ecco a voi lo streap della donna cannone... Subito riparte la musica (fra le più ruffiane del repertorio) e uscito lui, l'occhio di bue immortala, a beneficio dei presenti, un donnone di stazza significativa, nella quale non faccio fatica a riscontrare tratti somatici coincidenti con quelli di Ada, titolare di un banco frutta, nel limitrofo mercatino rionale. Ada, cazzo, ma come ti sei conciata ?

La donna cannone non è priva di un suo fascino. Sa muoversi molto meglio del gruppo starnazzante di galline che ha ospitato il palco poco prima. E' sensuale, a dispetto della mole, e cattura senza difficoltà, l'attenzione generale. L'hanno truccata benissimo, ammetto. Lei sembra essere nata per il palco. Si libera con eleganza di tutto ciò che la ricopre, fino a restare in una guaperie che le guadagnerebbe, a vita, la presenza su qualche tela importante di Botero.

La sala esulta, volano sul palco fiori di plastica fatti a Taiwan, si stappano altre bottiglie. I boa continuano, indisturbati a dormire, dietro lo spessore delle teche. Un successo, finalmente.

Mi avvio, pensoso, verso l'uscita.
Ha smesso di piovere. Vuole le chiami un taxi, mi chiede premuroso Audrey il buttadentro.
No, grazie, faccio due passi a piedi.

New Orleans.
Perchè non ci sono mai andato ?

6 commenti:

  1. Beati voi, a Roma, che avete un locale così sfavillante come il Procasma. Non foss'altro per fare due chiacchiere con Audrey, o lasciarsi catturare dalle teche dei boa, o per vedere Bishop in tutta la sua altezza. New Orleans? Se hai bisogno di un accompagnatore, fammi un fischio

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  2. Mai pensato di aprirne uno tu dalle tue parti ? Procasma è un franchising, esportabile, riproducibile. Alberga, semplicemente, ovunque lo si voglia identificare.

    Volo lowcost solo andata, però, per N.O. ok ?

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  3. A questo punto vorrei assistere ai casting nei quali Bishop sceglie le sue future starlettes.

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  4. Bandini, glieli cura un'agenzia. Lui glieli delega.
    Ho provato a chiedergli il nome. Mi ha saputo dire solo il nome del titolare, un certo Mora.
    Lele, Mora.

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  5. Hahaha. Pensavo fosse uno che di giorno faceva il grattacheccaro a via della Bufalotta. Invece è un professionista. Chi l'avrebbe mai detto.

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  6. Scherzi ? Bishop ha una competenza nell'attrezzar casini che ha del professionale.

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