Ieri sera, al teatro Principe di Palestrina, si è tenuta la "prima" di Mumbay, uno spettacolo scritto e diretto da un mio carissimo amico, Marcello Chinca.
Caro Marcello,
ho messo qualche ora, mal dormita, fra la visione del tuo spettacolo e queste righe.
La cosa, prim’ancora che per scelta è dettata da spietate esigenze di vita: complice il bel tempo, i risvegli sono sempre prima, al mattino, e se hai idea di cosa significhi il traffico di Roma, considera che devo portare mia figlia, davanti al suo liceo, entro le otto, di stamattina.
Mumbay.
L’amicizia che ci lega, è un potente limite alla capacità di una critica onesta. Dove per critica intendi, per favore, la più benevola delle intenzioni.
Stordisce, il tuo lavoro. E lo fa sapientemente. Ricorrendo a tutto il corollario possibile delle suggestioni. Chiedi molto allo spettatore. Non lo inchiodi e basta su una poltrona, anche bene sblilenca, di un qualsiasi teatro. No, se ha un briciolo di sensibilità e attenzione, tu gli fai piovere addosso, tutto l’affresco immaginifico del tuo portato.
Hai reso, scenograficamente, benissimo i tempi della narrazione. Il ricorso al commento sonoro, mai invadente (a parte qualche piccolo bisticcio di natura tecnica fra i volumi del parlato e dei suoni, che ne limitano in alcuni momenti, la comprensione), le evoluzioni dell’unica attrice, e ancora la scenografia, “animistica”, come l’hai definita tu.
Raccontare cosi una storia, con tutto il tuo spasmodico carico, bisogno di farsi capire, finanche insistendo nell’ossessione descrittiva, mi chiedo quale scopo abbia, oltre a quello di “bloccare” la fantasia dello spettatore e, laddove possibile, fargli arrivare addirittura gli odori dei vicoli di Mumbay, dei cibi che descrivi minuziosamente.
Se un rilievo devo farti è quello di lavorare sulla leggerezza, di sganciarti da quest’overdose descrittivistica, e far giocare, una volta “libero”, il Senso. Giocandotela. Rischiando l’incomprensione, ma chiedendo allo spettatore la più preziosa delle sue risorse: quella alla quale fa appello il buon Di Giacomo, nel prologo: lavorare di fantasia, partecipare, ognuno col proprio bagaglio cognitivo, alla comprensione del testo.
Per il resto, è lo stesso limite che trapela anche dai tuoi scritti. Ma che ti salva, dall’onesto intento di darti, di concedere la tua personale e sensibile visione del mondo, delle storie fra uomini, agli altri.
Grazie per averci concesso di assaporarla.
risorse: qui il testo di Mumbay
CIAK, SI GIRA!
4 giorni fa
Grazie Cletus, anche per la bella dritta su Patrick Samson...
RispondiEliminaTed, per quanto riguarda quella, va detto grazie a Prince !
RispondiEliminaAFTER MUMBAY
RispondiEliminaCiò che tu definisci ansia descrittiva è in realtà una precisa scelta narrativa: svolgere chi legge o ascolta attorno ad una serie d'immagini, suoni, odori, sensazioni tattili (dimentichi il mare che è una costante del racconto) al punto da farlo sparire era questo il mio intento, appunto un'immersione il più a lungo possibile liberatoria dentro un mondo fatto di paesaggi, anonimi uomini, animali. L'attenzione su ciò è costante della trama personale di ciascuno anche qualora tutto ciò debba passargli davanti senza alcun effetto.
Ecco, il tentativo è quello di far emergere ciò che vede, sente, avverte nella quotidianità. Svelare dietro il sipario della noia una realtà ben vivida e reagente. Senza scovare intrighi o colpi di scena, ma lasciando trasparire dietro la narrazione una vita ricca questa sì di suggestioni, soltanto si sappia sentire.
Descrizione quasi si trattasse di un mantra, sempre uguale ma evocativo dell'unico senso di questa esistenza: la capacità di meravigliarsi ancora, dilungando lo sguardo sulle cose, vederle apprendere altre categorie oltre a quelle supposte, per essere liberi perchè congiunti a tutto ciò che respira ed esiste.
Che il testo sia effettivamente lungo e che nella serata a Palestrina mancasse l'aria condizionata hanno distolto l'attenzione finale al racconto. Ragione per cui si provvederà ad una riduzione del testo, nelle prossime repliche, forse romane. Comunque grazie per tua sentita partecipazione alla mia visione di panteista.
Marcello Chinca