25/09/08

"Sono pronto per il volo"

Questa frase potrebbe essere ascritta ad Icaro, o ad un comandante Alitalia, fresco d'accordo, oppure al cucciolo di un pennuto, dischiuso da pochi giorni dall'uovo nel quale ha albergato.
Invece è la frase che ha pronunciato Yang Liwei, primo astronauta cinese, quando nell'ottobre del 2003 fu lanciato nello spazio.
La frase, nella sua marziale semplicità, rende piuttosto bene l'enfasi con la quale la Cina ha vissuto il suo ingresso nel novero del ristretto gruppo di nazioni che hanno spedito un proprio connazionale aldilà dell'atmosfera.

Insieme, ci dice anche dell'orgoglio, che da tipica nazione rampante, fresca del glamour mondiale ottenuto per aver ospitato i recenti giochi olimpici, e incurante delle ricadute sulla propria immagine provocate dagli scandali dei cibi adulterati (prima ancora dal sospetto di aver scatenato l'aviaria, per via della deprecabile abitudine di ingerire furetti, e buon ultimo, in questi giorni, quello del latte adulterato alla melamina), ripone nell'avventura spaziale.

Tanto orgoglio deve aver giocato un brutto scherzo all'Agenzia Nuova Cina, se è vera la notizia che riporta il corriere qui, al punto da affermare una cosa prima che si sia avverata. A stupirmi non è tanto l'errore di sincronismo, quanto la capacità creativa di colui che ha scritto il pezzo. La sua abilità di mimesi nel calarsi nei panni, immagino non agilissimi, di una tuta d'astronauta, ed aver scritto una verosimile chiacchierata fra gli ospiti della navicella e gli emuli, locali, della Houston di turno.

Geniale, no ? Quello che inquieta non è nel aver “bucato” la notizia: il lancio, sia pure dopo poche ore, ci sarà pur stato, quanto la veridicità della quale è ammantata una notizia, stavolta pubblicata sul web, e che risulta palesemente falsa. Siamo nel campo della narrazione fantastica.

Anche chi scrive, dal momento che scrive un qualcosa che sa verrà letto da altri, nei fatti, è come se richiedesse la conseguente sospensione dell'incredulità. Ai suoi lettori, insieme alla pazienza della lettura, deve chiedere anche quella di evitare di dubitare di ciò che stanno leggendo. Per farlo, i più bravi possono ricorrere a tutta la loro creatività, contando sulla disponibilità dei lettori a “bersi” tutto ciò che stanno scrivendo. Ecco che a me fa paura una cosa cosi. Proviamo a fare un gioco. Immaginiamo che lo stesso “incidente” sia sia potuto ripetere enne volte, e per qualsiasi altro argomento.

Per esempio, potremmo dubitare che una certa cosa, un fatto cruento, un omicidio, una strage, ma anche una notizia lieta, non siano mai successe. O che se siano successe realmente, poi non siano andate esattamente cosi come ce le hanno raccontate. Un gioco di specchi. Il riflesso di una notizia che acquista vita propria, grazie al tubo catodico o ad un indirizzo IP, e si sostituisce alla “realtà”, competendo con essa. Il dibattito affascina gli storiografi e i critici letterari.
In un certo senso è pane quotidiano per la loro disciplina. Ma a noi, utenti con livelli variabili di malizia, chi ci dice che il più innocuo dei TG, non sia in effetti una grande tela, come quella che sovrasta tutto il set di un Truman show ?

19/09/08

Lost in a supermarket

Ho un rapporto che definirei irrisolto con la televisione.
Elemento d’arredo (le finanze, al momento non mi permettono il gran passo verso lo “schermo-piatto”) spesso accesa rigorosamente senza audio, si dota di vita in occasione dei tg che hanno, nel mio malandato immaginario, il compito di connettermi al mondo.

Cosi, mentre trovo ionesco l’applauso liberatorio dei lavoratori (o ex ?) Alitalia ripresi mentre apprendono del fallimento (momentaneo ?) delle trattavie, mentre trovo sydbarrettiano il servizio sull’ennesima strage familiare nella “quieta e produttiva provincia italiana”, sono semplicemente sobbalzato alla notizia che in Inghilterra è partita l’iniziativa di aprire degli studi dentistici proprio dentro alcuni supermercati.

Liquidarla come squallida operazione di marketing, come condizione “alla canna del gas” per qualche dentista la cui saletta d’attesa vanta le stesse presenze della curva sud del San Paolo di Napoli, in occasione delle partite interne dell’omonima squadra, sarebbe ingeneroso.

In realtà, il colpo di genio che presiede all’operazione muove dalla consapevolezza che il timore atavico verso la poltrona (una delle poche cui l’essere umano non ambisce ad occupare) può esser ragionevolmente battuto da un’immagine più “user-friendly” per dirla alla loro maniera.

Cos’è che ci fa capire tutto ciò ? Mentre qui da noi fa notizia la multa da 200 euro ad un povero cristo beccato ad espletare la “plin-plin” (come la chiama l’odiosa madre superiora dello spot), altrove su una cosa del genere ci studiano tanto di strizzacervelli.

Gli anziani (target potentissimo dell’iniziativa) sembrano plaudere alla cosa. Alla stregua di un controllo dal distributore di carburante che ci riserva l’immancabile domanda…”acqua e olio a posto ?” si sentiranno in diritto di fare una capatina presso il corner del dentista per un veloce checkup alla dentiera, o per uno sbianchettamento ultrarapido con costi abbordabili e tempi d’attesa umani, sfogliando magari il solito tabloid con le foto della top model beccata a sniffare coca.

Cosi va il mondo.
Sono io che ho semplicemente dimenticato a quale fermata volevo scendere.

12/09/08

Il cane nero del venerdi pomeriggio

Farsi gli affari propri, è una massima troppo disattesa. C’è sempre il sospetto possa rivelarsi come quelle innocenti proibizioni infantili circa la marmellata: hai sempre voglia di provare che non è cosi.
In ogni caso, oggi pomeriggio. Fine settimana, torno da una giornata da dimenticare e per non trovare traffico prendo per una stradina secondaria (anche se ha il fondo stradale come le strade della periferia di kabul, che si intravedono nei servizi alla tele, piene di buche).
Mentre faccio il mio personale camel-trophy per tornare a casa, andando a due a l’ora scorgo una signora anziana che porta a spasso un bell’ esemplare di boxer.
Rallento, per vederlo meglio, il mio è morto quest’estate lasciando un gran vuoto e come tutte le cose che impari ad apprezzare solo quando non ce le hai più, gli effetti della sua assenza si stanno cominciando a far sentire adesso, come dire, a “lento rilascio”, come certe medicine.

Bello signora, gli fa mica fare dei cuccioli ?
Scherza ? E’ anzianotto.
Quasi dieci.
In effetti i peli sul muso sono bianchi, indice, anche per loro che il tempo passa.
Ma che bello.
L’ho preso al canile. Faccio la volontaria.
Io ne avevo due. Entrambi morti grazie alla lesmaniosi, micidiale.
Anche questo ce l’ha, dice la signora che stavolta guardo in faccia, finestrino abbassato,
ha un anacronistico rimmel azzurro intorno agli occhi. Anche per lei la pelle del viso si incarica di dire l’età.
Hanno una femmina fulva di cica tre anni. Perché non la prende ?
Ci penserò, le dico reinserendo la marcia.
Nel mentre, la signora scorge un cane, anzi a dire il vero lo scorge il suo boxer, che incurante dei nostri discorsi lo sta puntando già da un pezzo.
Alzo lo sguardo e a 100 metri da noi, un altro cane, tutto nero, qualcosa che somiglia ad un pastore tedesco cui hanno dimenticato di spruzzare sul pelo
Delle macchie castane.
Faccia un favore, lo vede quel cancello ?
Quale signora ? Qui sono tutti cancelli (e’ una strada densa di villette)
Quello nero, dice lei, citofoni per favore, quel cane e’ scappato da li.
Va bene, la saluto
Arrivederci
Arrivederci.
Ingrano la marcia percorro i pochi metri che mi separano dal cancello davanti al quale il cane, più spaurito che mai sta stazionando.
Scendo lasciando il motore acceso. Citofono.
Dopo qualche attimo il cancello si apre, al citofono non mi ha risposto nessuno.
Provo a scostarlo per dare un’occhiata dentro e nel farlo il cane nero si infila nell’esiguo spazio e si precipita in un giardino curato senza troppe pretese.
Escono due uomini, anziani anche loro. Indossano quelle camicie di flanella (fa ancora caldo) da pensionati. Sono distanti il cane si mette a giocare con un altro cane più piccolo. Fanno baccano.
Distinguo appena le parole. Convinto di aver fatto la mia buona azione da boyscout quotidiana, dico una cosa tipo…”il vostro cane era fuori, ve l’ho riportato”.
I due si guardano interrogativi e dopo qualche attimo, riuscendo a coprire con la voce il baccano che stanno facendo i cani, mi dicono che non e’ il loro cane,
che lo devo richiamare via, farlo riuscire fuori.
Attimi di panico, tengo d’occhio i cani per scongiurare si attacchino. Il cane nero, che e’ entrato, ha tutta l’aria di essere un cucciolone, sebbene la cromia del pelo gli doni un inappropriata aria minacciosa.
L’altro cane, uno di quei cani da salotto, molto più piccolo, forse una variante generosa dello Yorkshire, continua imperterrito a scorrazzare con quest’inaspettato compagno di giochi. Un delitto separarli.
Uno dei due tipi, dopo aver recepito le mie scuse….”me l’ha detto una signora che era vostro”, si precipita in una sorta di garage e ne esce poco dopo con un bastone in mano.
Il cane nero, incurante fino a quel momento dei miei concitati richiami, stavolta comprende che le cose stanno volgendo al peggio e con molta classe ripercorre a ritroso la strada verso il cancelletto dal quale è entrato poc’anzi. Mi scusi ancora,
fa niente, non si preoccupi, glielo ridia alla signora, trova il tempo di dirmi.
Esco, il cane mi ciondola intorno, evidentemente si è smarrito. La signora col boxer anch’essa, anzi direi proprio dileguata. Mi guardo intorno. L’auto ha il motore ancora acceso.
Mi sento una merda.
Ingrano la marcia, lo troveranno, mi dico.

07/09/08

Shining nel Salento

Sono le tre meno cinque. Del mattino.
Fra poco avrà inizio la consueta riunione del comitato editoriale della Cletus Production, convocata, come nello stile di lavoro del team, perché a quest’ora del giorno (come ama ripetere il suo titolare) le idee mantengono ancora un briciolo di lucidità.
In realtà, perché alle sei col primo sole del giorno, il capo adora salire sul caddy elettrico che lo attende sotto la sede per dirigersi alla volta del green, dove sostiene la prima (e unica) partita a golf della giornata. “E’ che adoro l’odore dell’erba tagliata di fresco, all’alba”, ama ripetere citando una famosa battuta di un altrettanto famoso film di guerra.
Arrivano alla spicciolata i redattori. Piccoli convenevoli, considerazioni gentili sul reciproco grado di abbronzatura e sulla qualità del fringe della Tromberry. Prendono tutti posto intorno al tavolo da riunione, ingombro di volumi, e il Sig. Cantarella, direttore di collana, prende la parola.
Signori buongiorno e bentornati dalle ferie, che mi auguro siano trascorse bene.
Tutti ringraziano con intensità variabile. Qualcuno annuisce e basta, sorseggiando il pessimo caffè preparato dalla segretaria Giulia Liscandrelli.
Cosa abbiamo di nuovo ? chiede Cletus.
Beh, dottore, è arrivato questo manoscritto che ho trovato interessante.
Di cosa si tratta ?
E’ la storia del progressivo delirio di un uomo chiamato a fare, spinto dai debiti e da una moglie cacacazzi, il guardiano d’inverno all’interno di una grande masseria del Salento adibita a resort di extralusso.
E cosa c’è di strano ?
Nulla, se non fosse che è la smaccata trasposizione di un celebre film, di un altrettanto celebre regista, tratto da un ancora celebre romanzo di un famoso scrittore.
Chi ? Il cottimista dell’horror ?
Si, proprio lui, capo.
Ebbene ? (il capo adora questa interiezione…)
Ebbene, credo valga la pena prenderlo in considerazione, perché, per chiunque conosca appena il Salento la poesia della sua terra rossa, degli ulivi secolari dai tronchi contorti dal tempo, dei profumi della sua campagna, si tratta di un’opera molto ben contestualizzata. Sono esilaranti i dialoghi con i gechi, e con il barman immaginario che si ostina a volergli offrire del Primitivo, o del Negramaro, vini dalla gradazione alcolica significativa, capo !

Ma fa ridere almeno ?
Ne più ne meno di una puntata di Porta a porta Estate, capo.
Perché dovremmo pubblicarla allora ?
Perché è scritta in modo impeccabile, capo.
Chi è l’autore ?
Uno sconosciuto, capo, con un sorriso british.
In che senso ?
Nel senso che sorride a denti stretti
Problemi ortodontici ?
Pressappoco…
In ogni caso la lettera che ha inviato, allegata al plico, è degna di nota.
E’ un j’accuse nei confronti del mondo dell’editoria. L’autore sostiene di aver già presentato almeno un centinaio di volte questo manoscritto, senza aver ricevuto altro che rare, sporadiche risposte prestampate.
Perché dovremo pubblicarlo noi ?
SILENZIO
Poi, Cantarella, con un filo di voce…..”è l’unico che è arrivato in sede, durante questo mese”.
Mi sembra un motivo più che valido allora, come dire, un segno straevidente del destino.
Bene, si pubblichi, chi avesse qualcosa dire, parli ora o taccia per sempre.

Capo….
E se lo facessimo recensire a Vincenzo Mollica ?
Chi è un mediano della Sampdoria ? [la Liscandrelli non guarda mai la tv]
Nulla in contrario, anzi, per lui è sempre tutto stratosferico, inarrivabile, procedete pure…

04/09/08

Una playlist di 4,6 km.

Corro.

Almeno, cerco di farlo appena posso. Alterno periodi nei quali osservo il criterio della quotidianità, ad altri nei quali faccio jazz e ci vado quando ne ho voglia.

Durante la corsa, come fosse un lontano omaggio alla fatica dei neri sui campi di cotone (qui intorno coltivano prato pronto ma con un po' di fantasia fa lo stesso), ascolto essenzialmente musica blues da un vecchio antesignano ipod che ospita 256 kb di musica. Cioè a dire, una manciata di canzoni.

Trovo che l'operazione di inserire l'arnese, nella presa USB del pc e scegliersi i pezzi da ascoltare sia un'attività degna di nota. La stessa che un certo Don Rigoberto, personaggio di un celebre, omonimo, romanzo di Vargas Llosa, compiva con i testi della sua biblioteca, che non dovevano superare, s'era imposto, il numero di mille volumi. La cosa gli procurava non poco cruccio. A fronte dell'inserimento di un nuovo libro doveva decidere quale sacrificare, visto com'era vicino al troppopieno della sua libreria-lavandino.


Insomma, ogni volta è un film. Cambio questo brano o quest'altro ? E con questo avrò voglia di sentirmi più speed o più mood ? Il tempo è tutto. E il tempo, se ben speso, fa fare un sacco di cose. Molte di queste ho deciso di eliminarle: sono inutili e non portano a niente. Correre, invece, sebbene su un anello di due chilometri e tre, anche bene per due o tre volte, può rasentare porzioni consistenti di felicità (dolori articolari alle ginocchia permettendo).


In ogni caso, la play list è questa: