27/02/09

Tornano gli U2.


La sovraesposizione è una brutta bestia. Siamo stati abituati a vedere Bono in tutte le salse.
Presenzialista come pochi, in forza del suo lodevole impegno a favore delle popolazioni sottosviluppate, capofila d’eccezione di quella folta schiera di buonisti che affolla il media-world a tutte le latitudini, deve essersi ricordato di essere anche il leader di un gruppo che sa suonare musica come poche altre al mondo.

Cosi, oggi sono entrato in un centro commerciale, dovevo prendere dei cavi in uno di quei negozi di elettronica per collegare un affare wi-fi all’amplificatore (in modo da poter sentire musica senza dover incidere nulla, ne cd, ne md, niente). Mentre cercavo questi benedetti cavi, nel brusio indistinto dei pochi presenti, sentivo distrattamente la musica mandata dall’impianto del negozio.
Ho riconosciuto la voce, ma forse prim’ancora di quella, il sound. Sono gli U2, cazzo !
E questo che pezzo è ? Mai sentito prima, ma che è uscito un nuovo cd ? Dove vivo ?
(per usare un termine trovato in rete: in questa fase mi sento molto disbanded).

Ho chiesto al ragazzo che armeggiava intorno al reparto musica chi fossero, ho avuta conferma: si, sono proprio loro. No line on the horizon, il titolo del cd..

Sarà stata la pulizia del suono, (va detto che è inciso splendidamente) ho percepito che forse valeva la pena spenderli quei 17 euro per assaporare al meglio questo nuovo lavoro. Si chiama “acquisto d’impulso”…
La sequenza delle tracce che giudico (in senso buono) “sopra le righe” è la 2, 3, 4 e la 5, mentre il singolo sul quale, ho letto dopo, si sono scatenate le critiche, mi ha lasciato, concorde ed indifferente.
E adesso sparo un’eresia: riecheggiano i migliori Pink Floyd, il mio orecchio distrutto va automaticamente a caccia di assonanze. Il sound di questi tre pezzi, li ricorda molto, per ampiezza, per le voci, per la base martellante ed ipnotica della sezione ritmica, con un basso delizioso nel brano 3, “Moment of surrender”. E si che di momento di abbandono si tratta, quasi sinfonico.

Davvero notevoli, e cosi bravi da cancellare tutte le possibili resistenze dovute all’iper attivismo della loro leadstar.

Merita l’ascolto.
Diffuso.

update: una delle migliori recensioni (un pò elegiaca, d'accordo, come questo pezzo) ma ne vale la pena: qui

Cercasi booktrailer


L’idea ha un suo perché. E sembra meno bislacca di quanto appaia.
Mi piacerebbe “inventariare” un elenco di questi supporti, per autore (del testo), per regista, per titolo del testo, per casa editrice ed infine per anno di realizzazione.
Nulla a che vedere con qualche insana smania di catalogazione.
Semplicemente, per quanto mi sia sforzato, non c’è nulla del genere, in giro.
Vogliamo cominciare ?

Per segnalazioni: cletus19[at]gmail.com
Enjoy.

22/02/09

Sul "carverismo", voci.

Ha cominciato Giulio Mozzi . Poi l'ha ripreso Giorgio Fontana, infine c'ha messo del suo Orgone5 .

La questione non è cosi banale come sembra, e stimola la rilettura di molti tic e del modo in cui si legge, ma sopratutto di come si scrive.

[queste sono, due note scritte da me, intorno al tema]


Frenzen ripose con grazia gli occhiali sul piccolo tavolino laccato, accanto alla poltrona.Copriti, stamattina fa più freddo del solito, disse.Se per questo, rispose Lisa, guardandolo dal riflesso della sua immagine nella grande specchiera davanti all’ingresso, anche stanotte ho avuto bisogno di prendere un’altra coperta.E’ finita anche questa estate, disse Frenzen.Ma ormai Lisa era già oltre la porta di casa, che si chiuse sul suo ciao bisbigliato.

Fuori pioveva.Il rumore dell’auto di Lisa, arrivava attenuato insieme al fruscio indistinto delle fronde degli alberi e a quello delle foglie dì magnolia, secche, che ingombravano il viale.

Frenzen tornò alla lettura del giornale. Riprese gli occhiali dal tavolino e insieme, la tazza del caffè ancora fumante.

Diede una rapida occhiata solo ai titoli. Poi, facendo appello a tutte le sue forze, si levò dalla poltrona, scostò appena le tende della grande vetrata che affacciava sul retro del giardino, e rimase a fissare, immobile, un grande uccello dalla chioma grigia, con striature di nero, che passeggiava sul prato.

Rimase a guardarlo per un po’. L’uccello procedeva a scatti. La sua mole non gli impediva una certa grazia dei movimenti. Avanzava per piccoli saltellì per poi arrestarsi di colpo e, velocissimo, beccare qualcosa fra i fili dell’erba del prato.
Mentre si chiedeva cosa diavolo avesse da beccare, l’uccello, come fosse dotato di un sesto senso, si girò verso la casa, e i due rimasero per un po’ a guardarsi, ognuno nella direzione dell’altro.Frenzen era convinto di non aver mai visto un uccello cosi grande, prima di allora, prendersi la libertà di scorrazzare nel suo giardino. Le gocce di pioggia sul vetro della finestra, contribuivano a rendere l’immagine sfocata.

Un tempo sospeso, rotto solo dalla lenta discesa dell’acqua in mille fili disordinati,Frenzen andò in bagno, il rumore dello scarico riempì la casa, coprendo il suo passo stanco e strascicato verso la poltrona.. Si sedette, e con un certo sforzo, aiutandosi con le gambe, la orientò verso la finestra.

Guardò di nuovo verso il prato. L’uccello non c’era più.

Bene, cosa abbiamo da capire da un brano cosi ?
Che chi l’ha scritto è piuttosto depresso, prof.
Una risata generale riempì la sala.
A parte questo, cosa c’è che non va ?
Avanti, qualcun’altro ?
Che si perde troppo nelle descrizioni.
Non bisogna essere contrari alle descrizioni, in senso generale, spiega meglio, cos’è che non funziona ?
Che non c’è ritmo, prof. Sembra come una telecamera, ma poi anche le considerazioni dell’autore che alterano la percezione spontanea del lettore.
Ah, ci siamo, spiega meglio.
Forse intende dire che è meglio se il racconto fosse ancora più asciutto, prof.
Si, che non si senta che c’è un autore che ci mette del suo quando invece vuole sembrare il più asettico possibile.

Ragazzi siete fantastici.

20/02/09

Venerdi sera, sul tardi



Poi, appoggio la sigaretta nel portacenere colmo di cicche. Tolgo gli occhiali e allungo la schiena sulla spalliera del divano. Scrivere piegati non è bello. Infatti ognitanto devo staccare.
In tv c'è il festival di Sanremo, ma faccio zapping. Ho preso un canale sul digitale terrestre, di Jazz Channel c'era scritto. C'era una cantante nera con un fiocco giallo in testa, in carne, che cantava mentre suonava, su un palco, uno Steinway con tutta la grazia del mondo. Poi hanno tagliato il pezzo e messo su una cosa in bianco e nero con Ornette Coleman. Me ne sono fatto una ragione.

Dovrei “riversare” su un DVD dal VHS sul quale a loro volta sono stati maldestramente riversati, vecchi filmini in super-otto, di quando ero bambino, in Africa.


Oggi consideravo, mentre parlavo con mio padre, che mi è impossibile poter tornare giù. Se lo facessi, avrei concrete possibilità di perdere la vita. Perdo un sacco di roba, per questo evito di andarci. E pòsto che la visione continuata e ripetuta del dvd che intendo ottenere, magari amplificato da un video proiettore che “spara” le immagini di quei luoghi, vecchi di quasi cinquantanni, a grandezza impossibile sulla parete, non mi immalinconisca più del dovuto, insomma, dicevo, stasera non c'è niente in tv per cui valga davvero la pena di togliersi rabbiosamente le scarpe, immetterle in un catino con acqua cosi bollente da consentire di scuoiare agevolmente un cinghiale, e annegarle nei benefici influssi del bicarbonato, mentre destreggio il telecomando con le mani.

Poi ad un certo punto, mentre Bonolis intervistava Hugh Hefner, il Patron di quel lunapark per grandi che è Playboy, è apparsa una donna statuaria, tatuata come un vietcong, coperta unicamente da un perizoma interdentale. Ho deciso di smettere di bere, per stasera, e ho ripreso a scrivere.



Entro nella fase ansioso depressiva. Cerco di indovinare dove può aver messo, la donna che viene a pulire una volta a settimana, Davide, di Carlo Coccioli, che stasera, in una serata cosi, mi sarebbe proprio andato di leggere. Ripiego su un vecchio Panta (n°26) "Visioni tra letteratura e cinema", lo apro a caso, Edoardo Nesi cita a suo modo (speciale) un vecchio film di Rob Zombie, La casa del diavolo, soffermandosi su un brano, nella colonna sonora, di un gruppo che amo, i Lynard Skynard, poi viviseziona American Beauty e infine regala un frammento su un piccione (ah, Fringberger...) che appare, magicamente - ed immagino fuori contratto - in un'inquadratura di un film con Ed Wood.

La donna di servizio mi ha dato il benservito. Forse, cosi, cesseranno anche le imprecazioni che amorevolmente le rivolgo, quando, solo in casa, cerco disperatamente qualcosa che nel mio caos non ho alcun timore di non ritrovare, ma che la sua ansia di far bene rende cosi difficile, da doverla chiamare al cellulare per chiederle dove l'abbia nascosto.
Una battaglia non scritta. Mai dichiarata, ma che offre significativi spunti di riflessione circa la difficoltà della condivisione degli spazi. Foss'anche con una governante la cui logica ispiratrice mi risulta assai difficile mappare.

Sono le ventitrè e quindici. Non è più ora di telefonare alla gente.

17/02/09

Lo stupro ai tempi di google latitude


A me interessa poco.
Anzi, di fare dietrologie non ne ho alcuna voglia.
Prendo atto che oggi, febbraio 2009 nella capitale d’Italia avere 14 anni, essere di sesso femminile rappresenta un pericolo concreto di essere fatti oggetto (mai termine più appropriato) di violenza a sfondo sessuale.

Tornare a casa illesi, sta diventando affascinante come giocare alla roulette russa.
A me interessa poco il frastuono che fanno i giornali, il giorno dopo.
Cosi come mi interessa poco del circostanziato resoconto delle voci esasperate che chiedono di farsi giustizia da soli.

Prendo semplicemente atto di come stanno le cose.
La frequenza di questi episodi (vado a braccio, ormai uno a settimana) che vedono protagonisti uomini genericamente definibili “est-europei”, sta a lamentare che qualsiasi ipotesi di integrazione civile sia sostanzialmente demolita da tutto questo..

Oramai è un teatrino. Avviene il fattaccio (può essere il tipo che guida ubriaco e ti ammazza in un frontale poi va graziosamente a prendersi una birra al bar come niente fosse, o la violenza consumata su donne con l’unica apparente discriminante della facoltà respiratoria…a rischio, fra un po’ anche scuole materne e case di riposo). (*) vedi update, in basso
Il giorno dopo, il festival delle polemiche. Poi, silenzio, fino al prossimo episodio, che purtroppo, puntuale arriva, questione di giorni.
E’ allarme ? L’allarme è già una parola grossa, sottende un carattere straordinario, casuale. Qui a Roma, siamo alla conta, in perenne attesa “del prossimo”.

Intanto, in forza di qualche improvvido regolamento che li codifica come cittadini europei, esseri che di umano hanno ben poco (meditate, gente, meditate da quali regimi escono, da che tipo di educazione sono stati forgiati) si aggirano per la città santa, in cerca di un eldorado probabilmente percepito da una frettolosa visione della nostra tv.
Gente che deve essersi fatta un concetto sbagliato della nostra società, magari osservando, da qualche tv satellitare in un qualche bar di periferia del loro paese, la pubblicità del cibo per animali: se questi danno dei bocconi di salmone ai gatti chissà che cosa sono capaci di mangiare loro…. Dopo anni di lassismo, dell’ipocrita e italico (e oltretevere hanno delle belle responsabilità al riguardo) “accettiamo tutti” (magari trovando pure il modo di guadagnarci: lavoro sottopagato e affitti, in nero, da grand hotel a cinque stelle per stanze generosamente definibili stamberghe) abbiamo finito con l’ingenerare, fra questa gente, la sensazione che non sono gli USA il paese “dove tutto è possibile”, ma il nostro.

Intanto, per stupido che possa sembrare saluto l’avvento di google-latitude, come uno strumento capace di rincuorarmi che mia figlia, 14 anni, dall’uscita da scuola, sia arrivata a casa.
Sana e salva.
update: LEGGI QUI
secondo update: PRESI

09/02/09

Un’altra Vermicino

Ovvero, Fare informazione oggi in Italia.

Le tv hanno appena dato la notizia della morte di Eluana Englaro.
Non ho volutamente detto niente, in proposito, nei vari lit.blog nei quali in questi giorni ci sono stati numerosi post. Trovo la materia troppo seria per poter essere liquidata, ancor più incalzata da un’emotività che certo non aiuta a prendere decisioni ponderate, con qualche sapido commento in giro.
Resto in silenzio sul fatto in se, per una forma di rispetto verso i familiari, al loro dolore privato.

Ma quello che è accaduto in questi giorni, e ancor di più stasera, ha da solo il merito di sollevare qualche domanda. Fresco della lettura di un testo (recensito alla bell’e meglio qui), vorrei chiedermi qualcosa sullo stato di salute dell’informazione italiana.

In questi giorni abbiamo letto, ascoltato, visto di tutto. La memoria mi ha rimandato alla famosa diretta di Vermicino. Anche allora, c’è chi ci ha scritto delle tesi di laurea, l’apparato mediatico fece qualcosa che nella storia del nostro paese non aveva precedenti.

Stavolta, depurata dai fattori contingenti, non mi sembra ci sia molto di diverso.
Ovvero, facendo leva su un tema che per la sua natura interessa tutti (allora era un bambino che poteva essere nostro figlio, caduto per errore in un pozzo mal ricoperto e profondissimo, stavolta una ragazza di trentanove anni che da mesi ci siamo allenati a vedere nel fulgore dei suoi diciotto, bella come possono esserlo tutte le giovani donne a quell’età). La vita e la morte. L'occhio di bue che si posa, sul palcoscenico di un'esistenza privata, denundandola, rendendola di tutti.

Subito (voglio pensare preparati con cura) sono partiti i professionisti dell’informazione coi loro "coccodrilli!. L’irruzione della notizia deve aver sconvolto nemmeno tanto i palinsesti. Solo Mentana, da un lancio che appare sul sito del Corriere, ha minacciato le dimissioni perché in luogo di un’edizione speciale di Matrix hanno comunque deciso di mandare in onda ugualmente come previsto dal palinsesto, il Grande Fratello.
Singolare il suo rammarico “…non si vive di solo auditel”.

Da questa gara che si sforza di cavalcare l'onda emotiva, con l’aggravante dell’effetto “scenico” dell’avvenuta morte, non si salva nessuno. L’immancabile Fede, cosi come il suo collega Vespa, Lerner su La7. Forse è solo la forte contrapposizione dei sentimenti, appunto, ad aver impedito un’azzardata (ma lecitissima vista la risonanza) trasmissione a reti unificate.

E la cosa che mi lascia sgomento è la grande capacità di costoro di saltare a piè pari nelle più intime convinzioni di ognuno di noi, tentando di manipolarle come meglio possono. Non c’è un’etica, non esiste uno stile. Non ne faccio un calderone, ma davvero in questo coro cacofonico di voci (le suorine che l’hanno amorevolmente accudita, i politici che con espressioni impostate si battono il petto, finanche all’ultimo dei carabinieri che sostano davanti alla clinica comicamente chiamata La quiete) qualcosa si perde.
Si dirà, che vuoi ? E’ stata una vicenda che ha commosso, che ha visto divise le opinioni di tutti, in senso trasversale, volevi che non ne parlassero ?

No, è che mi spaventa questo concorso al necrologio più fico, questo ricorso alla lacrima tanto facile quanto poco sincera perché esibita, insistita. Vorrei che chi si occupa di informare tenesse più a cuore un concetto, semplice quanto impopolare in questo momento, quello del RISPETTO del dolore altrui.

La morte di un uomo è cosa che ci riguarda tutti, diceva qualcuno. Imparare a tacerne, prima ancora che costituire un venir meno al dovere di informare, è qualcosa alla quale non si ispira più nessuno.

E stasera, davanti a questo spettacolo indistinto, per assurdo, lo share vorrei premiasse il Grande Fratello. Con una non trascurabile differenza. Penso che nella “casa”, stavolta, siamo tutti noi.

06/02/09

La terribile saga del Procasma


Per puro vaniloquio, impazzendo con la formattazione (il cui risultato...), ho raccolto in un pdf (abbastanza "leggero": circa 336 kb), tutte le "puntate" dedicate al mitico locale (che qualcuno ha creduto davvero esistesse, chiedendomi l'indirizzo esatto, nemmeno fossi un tomtom).


Per chi non volesse privarsi di questa perla della letteratura d'intrattenimento (senza che ciò gli turbi il sonno) e alla stregua di quanto appena fatto da Bandini, per le puntate sui suoi ascensori, potete richiederne una copia semplicemente mandando un mail a: cletus19 [at] gmail.com.


Enjoy (...almeno, spero)

02/02/09

Revolutionary Road, il film.



Di Richard Yates ho letto, anni fa, Undici solitudini. Una raccolta di racconti, uno più bello dell'altro. Non avevo mai letto nulla, di lui. E Revolutionary Road, dev’essere qui a casa, in giro da qualche parte, ma mai ancora letto.

Ieri ho visto il film. Probabile, che in un momento migliore di questo tenterò di leggere il romanzo, insieme al recentissimo Easter parade. Yates è uno di quegli autori per cui devi essere grato a Minimumfax. Nel senso che rappresenta “il colpo” nel catalogo della casa editrice romana.
Undici solitudini andrebbe consigliato nelle scuole, e a breve usciranno altri suoi lavori, sempre per gli stessi tipi.

Ora, il film. In corsa non si sa per quante nomination, con Leonardo di Caprio nella parte del protagonista, e un’eterea Cate Winslet nella parte della di lui consorte, ci spara apparentemente nei primi anni ’60 (ero quasi in fasce), nel pieno del boom economico, del dilagante imperare dell’american-way of life. E’ la radiografia della tempesta di una coppia, che si fa beffe del coreografismo delle villette “per bene” in periferia, dei convenevoli, del conformismo eletto a condizione principale, che informa tutte le relazioni di carattere sociale: fra vicini, coi colleghi sul posto di lavoro. .Apparentemente, sembra. In realtà la storia è di un’attualità disarmante.

Il film si presta ad una seconda lettura. L’irruzione del sociale nella coppia. Dove ad un certo punto credo l’intento dell’autore sia stato non tanto renderci il disfacimento di “questa” coppia, quanto la denuncia, in filigrana, della corruzione della spontaneità negli ingranaggi perversi della logica dell’accumulazione. La parte dell’Aedo, nella storia, è sostenuta dal figlio dell’agente immobiliare di una coppia (la cui lei è l’attrice rimasta celebre per Misery non deve morire, di Stephen King, l’ottima Kathy Bates) che, reduce da un ricovero in ospedale psichiatrico, dimostra, a dispetto della selva di rapporti formali, una lucidità impressionante nel mettere a nudo il dramma della coppia, spesa fra il desiderio di chiamarsi fuori, vagheggiando un trasloco a Parigi, e l’avanzamento in carriera dello spento trentenne Leonardo di Caprio.

Il ruolo degli amanti, immancabile il vicino di casa, quasi fosse un istituzione, “da contratto”, chiamato a dissipare le ansie del rapporto, cosi come della giovanissima segretaria di lui, infatuata dal rapido carrierismo e dai modi vuoti e recitati con i quali riesce a portarsela a letto.

Una radiografia, spietata, corredata da una splendida fotografia (bellissimo, l’effetto di solarizzazione che pervade tutta la pellicola, conferendole quella luce delle vecchie fotografie, la preistoria del full HD).

L’eterna lotta fra l’amore immaginato, pensato, e il suo progressivo disfacimento, a fronte delle regole non scritte della società del benessere.

Tutto il lavoro acquista ancora più meriti se contestualizzato ai primi anni sessanta. E la bravura di Yates, riposa nella capacità di aver intuito, con largo anticipo, i guasti che si porta appresso la borghesia inurbata, tutta casa famiglia e chiesa,
alle prese con la ridefinizione di se stessa, fra la conquista (e il mantenimento) di un benessere insperato (la guerra era finita da non molto) e il difficile tentativo di mantenere “puri” dei sentimenti, che sembra dirci l’autore, sono poi, alla fine, la cosa più importante che viene sacrificata, Ecco, il punto di confine sul quale fa perno la storia. E che rivela, in maniera impietosa, tutta la sua drammatica attualità.