28/12/09

Polemiche di fine anno

Tre domeniche fa, in prima pagina dell’inserto domenicale del Sole24 ore, appare un articolo a firma di Eli Gottlieb "Scrittori, quanta invidia!" .

Per chi avesse cinque minuti di tempo da investire, qui trova il podcast:

Fatto ? Bene. Che ve ne pare ? Se la tira ? O dice qualcosa di vero ?
Vomita i soliti luoghi comuni sulla lettura nel nostro Paese ? insomma, se l’avete letto, ascoltato, le cose che dice, fate voi, ma insomma credo che siano macigni, nelle acque dell’editoria nostrana.
Non tarda una settimana, che sul numero successivo, ecco puntuale la risposta.

A raccogliere la sfida, sono Elisabetta Rasy, con un lungo pezzo che è una difesa postuma di Rocco Carbone (*) (tirato in ballo, forse poco elegantemente proprio da Gottlieb circa l’invidia), e poi ancora Stefano Mauri (Gruppo Mauri Spagnol), Luigi Bernabò (di Bernabò Associates) agente letterario, e infine l’editore indipendente, Daniele di Gennaro (minimumfax).

Ognuno, dal suo punto di vista, replica a vario tono all’articolo incriminato. Ma quale paragone ?
I mercati sono diversi, contano i numeri, la “Mid-list” leggi la lista di coloro che non ce la fanno al primo colpo (a vendere cifre consistenti) laggiù spariscono, mentre da noi consente anche altri tentativi (sempre sicuri sia un bene ? verrebbe da chiedere). E soprattutto quanto sono fichi gli indipendenti che pur di far uscire un grosso autore, a breve daranno alle stampe anche la lista della spesa, o della sua tintoria.

Insomma, carburante per le fiamme di questa polemica di fine d’anno. Forse le cose non stanno esattamente cosi. E ciascuno, non in senso salomonico ma perché estesa e sfaccettata è la polemica, ha in parte torto e ragione insieme. Solo un umile lavoro di ascolto e introspezione potrebbe tirar fuori, se c’è, qualcosa di buono da questa discussione.

Infine ieri, domenica 27, la contro replica di Gottlieb.
Messo a posto Carbone (RIP), stringi stringi pare ci dica questo, (su cui convergono analoghe idee di tempo fa): da noi manca o è del tutto assente una editoria di letture. Le uniche carte da spendere sono il supplemento del Sole24 la domenica, il Tuttolibri de LaStampa, e da poco, sempre la domenica, un altro inserto del Corriere della Sera. Niente roba tipo Harper’s, nessun New Yorker, zero The Atlantis (e inserirei di mio un Esquire a cui dobbiamo l’emersione di Thom Jones).
Forse Stilos (che ora, come appare cliccando qui) sembra riprenda le pubblicazioni e al quale suggerisco di abbonarsi.

Spietato il giudizio su Nuovi Argomenti, che a dire di Gottlieb, conterebbe su un numero di lettori che può esser contenuto da un ascensore (anche bene, penso, tipo quelli degli ospedali, piuttosto capienti). Attacca, senza molto garbo Coelho, rea la Repubblica (che non leggo per principio) di averlo sparato in prima pagina dell’inserto Cultura. L’articolo chiude con una replica alla Rasy, “guarda che il buon Rocco Carbone era proprio invidioso” (niente paura, forse il tono, in epoca di sdoganamenti, non è da prendere nella sua accezione peggiore, e viva la faccia).

Che dire ?

Avrei aggiunto, perché è una mia fissa, anche il contributo (o mancato contributo) che può giocare un mezzo di colonizzazione di massa come la televisione. Da noi, nemmeno le spigliate satellitari che sanno cosa cazzo metterci nelle decine e decine di canali di cui dispongono, non sanno prendere in seria considerazioni le potenzialità del mezzo. Aggrappati a sentenze (Saverio Simonelli, di Rai Sat, nel corso di un convegno: “i libri e la tv non vanno d’accordo”). Evviva.

Verrebbe da chiedere, ma li avete mai presentati ?

(*) di Rocco Carbone e del suo Apparizione, è uscita in bottegadilettura, una recensione di Bartolomeo di Monaco, che consiglio di leggere (cliccando qui)

24/12/09

Qualcuno donò al cinepanettone





Oggi ero da qualche parte, confuso fra la gente che correva nei negozi, nella mattinata della vigilia di Natale. Quando cammino per strada non posso fare a meno di pensare. Mi guardo intorno, capto spezzoni di dialoghi di donne al telefonino (oggi diverse, fra i banchi di un mercato, facevano degli auguri esagerati a qualcun altro di la del telefono). Beh, non mi ricordo. Ma devo aver avuto qualche flash circa un possibile racconto. Quello che mi frega è che sul momento mi dico capace di ricordarlo quando voglio, tanto mi pare chiaro tutto il progetto. Poi, puntualmente, quando a distanza di ore provo a ricordarmene, puf ! sparito tutto. E mi incazzo con me stesso per non aver preso appunti, su un foglio, sul registratore del cellulare, insomma una qualche traccia che mi aiuti a ricordare.

Poi, sono tornato a casa. Stasera ho messo su un vecchio DVD che ho trovato da poco. Qualcuno volò sul nido del cuculo, di Milos Forman. E’ un film che ha fatto epoca. Credo sia uscito nel 76 o lì intorno. E lo ritengo uno dei pochi film capaci di condensare insieme, nella stessa storia, toni drammatici e comici. In altre parole, parla della vita come pochi altri. E penso che questo sia il suo punto di forza. Consentire l’impiego di più registri più o meno come può capitare nella vita, se non di tutti, quantomeno della mia.

E’ un risultato mica da ridere, considerato che oggi la formula “di particolare rilevanza intellettuale” è stata conferita ad un cinepanettone, da qualche signore di robusta cultura cinefila. (qui il correttore automatico di word ha cambiato una vocale, e mai come in questo caso ho provato, forte, l’impulso di non correggere) col chiaro intento di consentire a questi divulgatori di scibile umano, creatori di potenti opportunità di elevazione dello spirito critico delle masse di accedere a contributi statali (leggi: soldi dei contribuenti) per la loro fatica intellettuale.

risorse: qui e (update) qui

19/12/09

Quando è morto Charlie Mingus, spiaggiarono 56 cetacei

E c'è in giro una gran confusione. Qualcuno lamenta che si vive in un epoca in cui mancano “le grandi narrazioni”. E' probabile. Di contro fioriscono, ed è un segno dei tempi, micro-narrazioni che si intersecano, si sfanculano, suppurano da un tessuto sociale che va somigliando sempre più ad un vasetto di yogurt lasciato fuori dal frigo per un mesetto, sotto il sole giaguaro di agosto.

Non so cosa metta in relazione lo spiaggiamento di nove cetacei sulle coste del Gargano, con la sasssata (a mezzo miniatura del duomo) ricevuta sul volto del Premier. Sono notizie. Come ancora quella, gustosissima, del falso scoop ad opera di un sosia del segretario generale dell'Onu, tal Ban Ki-moon (che ha già un nome da pirata salgariano, in effetti), cosi come lo scandalo dei preti pedofili sotto il cielo d'Irlanda, e mentre tutto questo accade, cosi, inesorabilmente, come se un'attenta regia ne avesse disposto per incontestabili esigenze di copione la sincronicità, mandando nel frattempo assolto il maggiore indiziato (l'unico !) per un efferato omicidio che ha fornito materiali a iosa ai talkshow della sera, o un campione di rugby (di colore) che fa pubblica abiura delle dodici amanti attribuitegli, pur di non perdere gli sponsor (ah, la potenza del denaro, che ha sostituito l'etica, trovandosi a suo agio). E il furto della targa che sovrasta quella località, il cui nome costituirà un tag indelebile nella storia del novecento come altre poche, che sembra uscita dalle pagine di un'appendice di 2666 di Bolano. Come dire ?

E' quasi Natale. Assisteremo, anche quest'anno, alla rapida nascita e alla altrettanto rapida scomparsa dei cosidetti buoni sentimenti. Come da copione, appunto. Teleton, o la solidarietà per i tanti che in questo momento (quanti sono esattamente ? Perchè nessuno li conta ?) che stazionano difronte ai loro ex-posti di lavoro, mentre tutto questo tango va avanti. Ieri, nei dintorni della capitale, una signora racconta che una donna che gestisce un forno le ha raccontato che cresce il numero delle persone che le chiede “di segnare”, no, non nel senso di Totti. “Poi te li porto” sta ad intendere che l'insopprimibile esigenza di alimentarsi collide con la (momentanea ?) indisponibilità di denaro per soddisfarla. Non moncler, ne Suv, ma farina.

Il carico di narrazioni, quindi. Chi narra cosa ? E perchè l'assurgere a dignità di una storia, di fatti che trovi, se va bene, in cronaca, magari ospitati in trafiletto è legata solo all'intersecarsi con altre narrazioni. C'è il gelo. L'autostrada viene bloccata dagli operai che protestano per la perdita del posto di lavoro. A bordo di un Suv, riscaldato come una sauna di un centro benessere, un'esperienza biologica si imbatte in altre esperienze biologiche. Provate a levare tutto. Fate piazza pulite delle sovrastrutture. Riducete, per un momento, tutto a collisione di esperienze di vite biologicamente inchiodate alla dimensione spazio-tempo. Il primo che si incazza perchè tarda (che so, ad una prima teatrale ?) i secondi che hanno motivo di ricorrere a tale forma estrema di protesta pur di acquistare visibilità e con essa qualche probabilità di soluzione dei loro problemi. Uno scenario, d'accordo. Niente di più. Diritti che confliggono. Da questi, nasce una storia.

Che non ha voglia di raccontare nessuno.


leggende: le 56 balene e i 56 anni di vita di Charlie Mingus

16/12/09

Dilettanti

la faraonica struttura dell'auditorium di Roma ad opera di Renzo Piano

“Roma avrà finalmente un luogo deputato alla musica”.
Con questa roboante affermazione gli ultimi due sindaci in ordine di tempo salutavano la faraonica opera sorta ai piedi dei Parioli, e affidata alla matita di uno degli architetti più quotati dal set internazionale, Renzo Piano.
Un investimento che reputo consistente, che ha conosciuto, in fase di costruzione, problemi di realizzazione, appalti saltati, tempi di consegna dilatati, insomma il meglio del meglio che si possa immaginare per quel che concerne appalti pubblici..

Per pudore mi astengo dall’andare a quantificarla, oggi Roma ha si un “luogo deputato alla musica”,
ma (credo) solo quella acustica. Il concetto di polivalenza (leggi: la possibilità di ospitare concerti che non siano solo di musica acustica) è andato a farsi benedire sotto i colpi di una progettazione, vogliamo dirlo ?, quantomeno dilettantesca.

L’acustica, credo, sia scienza a sé. Costava molto chiamare, nel fiume di denaro uscito, un pool di seri professionisti per affidargli il compito di studiarla a dovere proprio per rendere tale, faraonica, struttura, fruibile veramente da tutti ?

Anni fa assistetti ad un concerto di Marianne Faithfull. Sostenuta da gran parte dei musicisti componenti della band chiamata Smashing Pumpkins, tenne un concerto di rara bellezza quanto a partecipazione, feeling, e impegno sul palco. Peccato che le sonorità della sezione ritmica, stavo in galleria, sovrastavano tutto il resto. Non ritengo di addebitare il disastro al fonico del gruppo: semplicemente la sala (una delle tre) era inadatta.

Domenica sera si è esibito a Roma, sempre lì, all’auditorium, tal Joe Bonamassa. Trattasi di uno dei chitarristi meglio dotati di tecnica strumentale in circolazione. Contravvenendo ai miei proponimenti (quelli di non rimetterci più piede) non ho saputo resistere e ho staccato il biglietto (nemmeno tantissimo, visti i prezzi che sono capaci di chiedere, me la sono cavata con 25,00 euro), confidando nella possibilità di apprezzare a pieno, uno dei maggiori virtuosi della chitarra (elettrica e non) che sono sulla scena al momento.

Una delusione: mentre risultavano appena apprezzabili quei rari brani “lenti” dove la sezione ritmica (leggi: in particolare la batteria) restava su toni soft, appena il ritmo si scaldava (e stavolta ero in platea) il frastuono copriva addirittura la voce (che assicuro possente di suo) del buon Bonamassa. Poltrone che vibrano (ma uno studio sui materiale fono assorbenti no, eh ? era chiedere troppo ?) riverberi, baccano indistinto, in breve uno strazio.

Incapacità ? Solito pressappochismo ? Sta di fatto che una delle strutture più vecchie, l’auditorium di Via della Conciliazione, anche se realizzato decenni fa, offre un’acustica del tutto diversa: in grado cioè di ospitare sia concerti rigorosamente “acustici” (ho assistito a concerti di duetti per pianoforte e contrabbasso non amplificati riuscendo a distinguere, e ad apprezzare, il suono anche da posizioni molto distanti dal palco, cosi come assistito a concerti “amplificati” di band di fiati, cori di musica classica, orchestre sinfoniche senza avvertire la minima alterazione del suono).

Risultato: un’altra occasione persa, purtroppo a spese dei contribuenti, per dotare Roma di una struttura in grado di ospitare musica che non sia quella acustica (che poi dovrei accertare: non sono mai andato ad assistere lì ad un concerto di musica sinfonica). Di certo non è il posto per eseguire concerti che prevedano l’amplificazione di strumenti a percussione. E di questo, pur non essendo un audiofilo, sfido chiunque ad accertarsene.




risorse: qui un link al concerto

11/12/09

2666 di Roberto Bolaño




















Compratelo, o fatevelo regalare,
in ogni caso: leggètelo !
(clicca sulla copertina)

10/12/09

Il fascino perverso della ricerca della normalità











Balotelli


Per parlare di lui si è smosso anche il buon Gian Antonio Stella, prospettandone con tutto un pippone dei suoi, la possibilità di convocarlo nella nazionale che si appresta a giocarsi i mondiali in quel del SudAfrica, prossimo giugno.

E’ un personaggio, suo malgrado. Ha nemmeno vent’anni, stando all’anagrafe.
Ora non mi interessa scegliere da che parte schierarsi, se fra coloro che “a prescindere” o lo amano o lo odiano. Mi interessa eventualmente indagare l’effetto che l’attenzione mediatica (e sia, mettiamoci anche gli odiosi cori razzisti negli stadi) può provocare sulla personalità del giocatore.

Ieri sera, in mancanza di meglio, ho assistito alla partita di Champions dell’Inter (in casa) contro il Rubin Kazan (spero aver scritto bene, in ogni caso una formazione non molisana, bensì russa).

L’incontro è stato piacevole (ho acceso la tv che l’Inter aveva appena segnato il primo gol).
Poi Balotelli, si proprio lui, si è esibito nell’arte che gli riesce meglio: la balistica applicata agli arti inferiori, e ha tirato da distanza, come dicono i cronisti (che ormai parlano un linguaggio in codice che li omologa un po’ tutti) “ragguardevole” (tradotto: da una cifra lontano dalla porta avversaria):

Bene, costui ha caricato la palla di un effetto cosi strano che sostanzialmente il portiere avversario, per un attimo deve aver sentito l’impulso a trasformarsi in un astronomo improvvisato provando a intuire la traiettoria della palla come se gli stessero spiegando dov’è, e da quante stelle è composta, la costellazione del gran carro, nel cielo stellato (e non so se nebbioso, come e’ di solito) di Milano.

Cosa c’è da dire davanti ad un colpo del genere ? La gioia di qualsiasi sportivo, indipendentemente dalla squadra che tifa: il riconoscimento di una bravura fuori dal normale, talento lo chiamano senza troppe perifrasi.

Ecco qui parte il discorso. Ad un giocatore cosi, fatale che il coro mediatico finisca con l’addossare responsabilità e aspettative. Lasciamo da parte qui qualsiasi rilevanza possa costituire il colorito della sua carnagione. Non è questo in parola, ripeto. Ad una tale pressione, è possibile resistere a lungo ? Mi spiego: è possibile che ad ogni piè sospinto si levino o odi sperticate o infamie da bar sport da bassa padana ? Che male ha fatto ?

Il ragazzo ne deve essere consapevole. E non so in preda a quali meccanismi, riceve impulsi che evidentemente devono comportargli scelte di volta in volta bizzarre. Appena finito un tiro di punizione che lo fionda di diritto negli annali del calcio (in un ipotetica categoria: “le migliori reti da calcio di punizione da distanza impossibile di sempre”) ritorna ad un livello più umano, regalando agli astanti (ma forse soprattutto a se stesso) la più trita delle reazioni a fronte di un confronto con l’avversario (un difensore reo di avergli rubato palla) e platealmente lo atterra da tergo come fosse non nella Scala del calcio (San Siro) ma nel più anonimo dei campetti parrocchiali (sui quali un pò tutti abbiamo sgambato nella nostra adolescenza). Giallo doveroso quanto immancabile, ovvio e di li a poco ritorno a capo chino in panchina, prevenendo altri possibili guai.

Allora scomodiamo la mancanza di maturità, il fatto che “deve crescere” tutto il ciarpame buonista col quale, qui in Italia siamo campioni nell’assolvere ben peggiori nefandezze.

Voglio solo lanciare una provocazione: e se l’alternanza di tali comportamenti fosse dettata da un disagio che per prima lui sembra vivere, stando cosi spesso sotto i riflettori ? Come a dire, guardatemi, non sono un alieno, faccio stronzate anch’io insieme a rare perle, sono uno come tanti non mi state col fiato sul collo ad ogni passo.
Sarebbe già un inizio di un percorso di consapevolezza che non potrebbe fargli altro che del bene, sottraendolo insieme dall’obbligo di una recita, agli strali della critica e a crescere una buona volta, lasciandosi alle spalle questo come altri episodi (le reazioni all’indirizzo di tifosi romanisti, presenti in una sfida a San Siro nel gennaio dello scorso anno, dopo aver procurato- e trasformato, complice una leggerezza arbitrale un rigore inesistente) e affrancandosi da quella dimensione da “fenomeno da circo” cui tutti, a vari livelli, lo stanno inconsapevolmente o meno, condannando.

07/12/09

Più libri più liberi, Eur 2009


Come ogni anno, la piccola editoria scende al Palazzo dei Congressi dell'Eur per ridare vita alla manifestazione che celebra lo stato dell'arte della editoria, specialmente quella definita “piccola”.

Poi, è davvero piccola ? A giudicare dal numero degli editori, certamente no. Dietro le majors, quelle che smuovono le classifiche, che piazzano best-seller, che strappano (a suon di soldoni) alla concorrenza, scrittori da milioni di copie, c'è un esercito, silenzioso, che continua a coltivare il gusto di pubblicare (forse anche troppo ?) coloro che credono meritevoli e che credono nel proprio lavoro, la cui definizione più sarcastica ho sentito dire proprio da uno di loro “editare ? L'arte di perdere meno soldi possibile”. (per la cronaca, il sig. Castelvecchi).


Arriva Giulio Mozzi, gli mostro l'articolo del sole24 di ieri che parla del suo Sono l'ultimo a scendere. Lo legge in una frazione di secondo, in piedi, in mezzo a signore tirate a lucido che trascinano ragazzini recalcitranti fra i corridoi affollati della fiera. Poi, entriamo nella zona gestita della biblioteche di Roma e adibita a libreria (nel senso: sembra, e anzi è, una libreria come tante, con i suoi bravi scaffali, con gli spazi dedicati stavolta agli editori che pur avendo gli stand, in giro per la fiera, ospitano lì i testi che vogliono, per la vendita diretta).


C'è un tic, fra i tanti, che tradisce un sotteso bisogno d'ordine (e che ho scoperto di condividere con Mozzi). Entrambi non sopportiamo i libri esposti male, Ossia i volumi che qualche distratto passante ha preso dalla loro bella pila ordinata, magari sfogliati, e poi rimessi giù di malagrazia. Volendo stilare un'improbabile classifica: si va dal testo appoggiato (volutamente ?) con la copertina rivolta verso il basso (segno di profondo e insoppribile disprezzo per il volume, per l'autore ?) che viene da entrambi opportunamente ricollocato nella posizione originaria (con copertina rivolta verso l'alto) a quello (per distrazione ?) del libro riposto non esattamente sulle altre sue stesse copie, ma magari spostato, che già solo alla vista, è capace di suscitare un sussulto di fastidio. Ecco, le librerie dovrebbero ringraziare gente come noi. Commessi volontari (e non retribuiti) che collaborano al decoro del templio dedicato alla loro (insana ?) passione: la lettura.


Cosi, in questa sorta di “selezione” piuttosto che del reader-digest, della creme-della-creme, ci soffermiamo su quei testi che sembrano usciti dalla penna matta di un Fringberger qualsiasi.. Ne annoto qualcuno, che per originalità già dal titolo, si attaglia alla perfezione: “Giallo omeopatico”, o e di un attuale involontario: “La mafia del culo” (per i tipi Nuova Ipsa edizioni). Continuando con “Igiene del lavoro mentale” (che prontamente il Mozzi acquista), passando a “Curare con il cinema”, per finire con il titolo che giudichiamo il più meritevole per bellezza e originalità: “L'urbana nettezza” (del quale non ricordo l'editore).


Si prosegue, sono le sedici e c'è la presentazione, curata da Terre di Mezzo, del recente volume “(non) un corso di scrittura”, in una saletta che prende il nome da un prezioso (le sale si chiamano tutte cosi: rubino, topazio, smeraldo ect...). Siedono Mozzi e il presentatore, Davide Musso. La sala è caratterizzata dalla presenza di un numero impressionante di donne. Sopratutto “anta”. Mi interrogo sul perchè, ma resistendo a stento alla stanchezza, cedo a rapidi quanto improvvisi colpi di sonno che ahimè non mi consentono di apprezzare appieno la pur agile presentazione del Mozzi. Faccio tempo ad ascoltare le immancabili domande del pubblico, alla fine. Una signora chiede “ma lei non ha paura di venire sommerso da tutte queste richieste ? (riferendosi al fatto che Mozzi usa pubblicare i suoi contatti in calce a quasi tutti i suoi libri, venendo poi subissato da richieste di pubblicazione di manoscritti che gli pervengono con metodica frequenza). “Intanto sarebbe un problema mio", chiosa candidamente Mozzi, "ma poi ho un metodo" (e spiega in tre parole la sua “policy”).


Usciamo, Mozzi si attarda a firmare delle copie, sta arrivando Ferrarotti. Deambula, poco dopo, un Valter Veltroni sorridente, e il gran mare di visitatori inghiotte noi, insieme con la voglia di continuare a girare. E' tardi. Sono stanco. Incrocio un po' di gente che non manca di deludermi, dopo di che guadagno l'uscita. E torno a casa.

01/12/09

The call


La felice soluzione di un nuovo utilizzo di elementi d'arredo urbano, l'esigenza di diffondere e sostenere il piacere della lettura, coniugate in questa immagine (cliccaci sopra per ingrandire).

Che bravi 'sti inglesi !