29/07/12

New York 1

Non sono molto ferrato sulla biografia di Roberto Bolano. Probabilmente non ha mai messo piede negli States. O forse si. In ogni caso, sono portato a credere che nessua accezione di America (La letteratura nazista in America), egli abbia voluto fare un riferimento esteso, al continente tutto intendo, e non sbrigativamente ai singoli States.

New York in ogni caso si sarebbe ben prestata ad ospitare una qualche sua narrazione. Contrariamente a Garcia Marquez che non vi puo' mettere piede per via di un qualche suo bisticcio, Bolano avrebbe avuto titolo diciamo cosi, "d'ufficio". Non foss'altro per le pene patite ai tempi di Pinochet.

Egli in altre parole, avrebbe letto negli occhi delle persone che camminano, smarrite di prima mattina (non ricordo chi diceva...se vuoi capire una citta' percorrila all'alba) nei volti di coloro che come te hanno ritenuto di alzare il culo dal letto in orario non convenzionale.

Nei tratti, negli sguardi, nei modi di camminare capisci di piu' e molto meglio dell'architettura, dell'urbanistica, della maniera di vivere un luogo meglio che dai frontoni di un edificio, per quanto ben realizzati.

Metteteci un'aria da pioggia, di quelle "ferme", di quelle che ti impongono di camminarci dentro solo per sentire qualcosa che si muove (altrimenti sarebbe tutto statico). Dai vetri chiusi dei negozi. Dall'ansia tradita da un profluvio di informazioni, evidentemente ritenute indispensabili, da chi le ha prima pensate, poi scritte e infine apposte su ogni superficie leggibile da un passante distratto come me.

Girare a quest'ora ti accomuna ad un vojeur. Sei qui, piuttosto lontano da casa,. Stai ritagliando a fette una zona del tuo immaginario e assapori, non facendo nulla per evitarlo, quel piacevole stordimento che puo' procavocarti un sogno lucido. Qualcosa a meta' fra un affresco, composto da tante piccole tessere di un mosaico, le perle cha hai raccolto ed infilato, collegate da un filo lungo di ricordi e l'iper-realta', quella statica, come quella che ti puo' provenire dall'osservazione, insistita, di una polaroid.

Cosi, le storie. Le immagini. Una Sinagoga debitamente chiusa di domenica mattina. Oppure il cuore asettico di un grattacielo. La cavea svuotata che presiede a delle fondamenta grosse come un monolocale ed in grado di sostenere diversi materiali in verticale: acciaio, vetro, cemento esseri umani che lo abitano per qualche centinaio di metri in direzione del cielo.

Sono piu' o meno certo che Bolano avrebbe definito questo l'inevitabile frutto della versione statunitense di stabilire una relazione con Dio. Offrendogli, alla stregua dei templi degli Atzechi, un succedaneo di un ascensore, per sentirsi in qualche maniera piu' vicini a Lui ed emendarsi, gia' solo per questo dai propri peccati.


domenica mattina, sul presto. fine luglio 2012. New York.







26/07/12

A cosa andiamo incontro ?























C'e' crisi, è il ritornello che ci sentiamo ripetere, che ripetiamo a noi stessi tentando, come fosse un mantra, di esorcizzarla.

Eppure. Qualche considerazione su una tendenza che sta prendendo piede, riguardo al territorio, alla sua tutela, alla necessità di doverci intervenire non foss'altro che per manutenerlo.
La mancanza di risorse delle casse pubbliche, ritarda, annulla, dilazione e intanto l'incuria avanza. Lesti, si profilano scenari non del tutto tranquilli.
In altri termini, vedrete, sull'onda dell'urgenza si renderà necessario per tutto ciò che è stato fino ad oggi pubblico e che diventa giocoforza insostenibile alla luce del contenimento dei costi e del mancato gettito (vedrete, arriverà...questione di tempo...) la tentazione di dare in affido a terzi, leggi: privati, sarà sempre più forte.
Gli enti potranno farsi belli e muovere a loro parziale discolpa...”...non avevamo soldi...dovevamo intervenire, cosi (affidandolo a privati) a costo zero il bene rimane formalmente pubblico ma i costi per risanarlo li ripianano i privati...”. I quali ovviamente, in ossequio ad un minimo di logica commerciale debbono trarne il loro adeguato tornaconto.

Non è fantascienza. E' lo scenario prossimo venturo, il corollario triste che si porta dietro questa crisi. E qui conviene affondare lo sguardo. Piuttosto che affidarsi ad una visione fideistica del tutto, la capacità di controllo sulle effettive ricadute per la collettività potrebbe, da sola, fornire la barra dritta al timone di questo tipo di operazioni. In assenza, e qui il pericolo concreto, le logiche “mafiose”...del qualcuno che è più uguale di altri, che si aggiudica benefici in forza della mera capacità economica ecco questo diventa il rischio.
Con buonapace del bello, e regalando la solita versione trita e ritrita del malcostume imperante: il beneficio di pochi ai danni dei molti.


13/07/12

Femminicidi due














Vorrei che leggeste questo post, di Ezio Tarantino.
Subito dopo vorrei che lasciaste da fare tutto. Un attimo. Interrompere il flusso dei pensieri, per un momento. Staccarvi dagli impegni e lasciare che la lettura faccia il suo effetto.
Quando Ezio scrive cosi è impegnativo. Ma è una fatica ripagata. Invita a guardare oltre.
E io a questo post ho continuato a pensare, nel corso dei giorni successivi alla sua lettura, quasi per caso: era linkato in un suo quasi timido post su facebook. Una di quelle rare perle che si perdono nel mare magno delle cazzate...nel teatro dell’effimero.

Partiamo da Bolano. E’ vero, anche io ne la parte degli omicidi, anzi dei femminicidi ho arrancato. Mi faceva fatica il leggere pagine e pagine piene di verbali e dolore. All’epoca spontaneo, non ancora corroborato dall’informazione che erano tutti omicidi realmente avvenuti e che quelli sui quali si basava la asettica ricostruzione del ritrovamento dei cadaveri e quasi da brogliaccio da questura, erano in effetti qualcosa a metà fra un mattinale e un rapporto scritto da qualcuno dotato almeno dei fondamentali: scevro da sovrappensieri, e scarno al minimalismo. Semmai è la collocazione di questi rapporti, cosi, accostati ad alcune fra le più belle pagine di letteratura del resto di 2666, a farle brillare ancor di più per manifesta esposizione alla violenza.

C’è stato Giorgio dell’Arti che anni fa pubblicò un testo “Il coro dei morti ammazzati”. In quel caso, qualcosa di analogo, l’autore come scandendo una giornata, volendo conferire un ordine anche lì ad una cruda sequela di delitti, li iscrisse (presumo prendendo a prestito il momento effettivo della giornata nei quali si erano consumati) in una scansione misurata nel tempo di una giornata: mattino, pomeriggio, sera, notte.

Pagine di inchiostro sono state spese sulla funzione catartica dell’esposizione alla violenza. Siamo tutti Alex, si quello di Arancia meccanica, terapeutizzati a nostra insaputa. E il nostro rapporto col male, dice anche molto del modo col quale lo gestiamo.

All’apprendere dell’ennesimo dramma familiare, la dicotomia oscilla fra l’indifferenza (ma quanti sono e con quanta frequenza si ripetono questi “femminicidi”), e l’immediata archiviazione fra i fatti che accadendo ci ricordano che fra i nostri simili c’e’ gente cosi. Lasciamo alla fredda statistica il compito di questa contabilità necrologica. Prendiamo il discorso di Ezio. Ezio è come lamentasse la mancanza di un Atlante ragionato del male. Un volume che un po’ tutti faremmo bene a leggere.
L’esposizione alla violenza produce in modo immediato la sua ripulsa. Ci immunizza dall’anche solo pensare a riperpetuare gesti simili. Eppure, il rischio, volendo accettare (si passi il verbo) anche questo nel novero delle cose possibili fra una coppia di individui di sesso diverso, che quel lampo di pazzia, chissà a fronte di un momento di annebbiamento sia possibile non controllarlo e trovarsi d’amblè sulle cronache di un giornale, con la nostra brava faccia di cazzo della patente di anni fa.

Non so. L’argine è la conoscenza. Chiaro che il frettoloso archiviare, sospinto dall’ennesimo e più recente fatto di sangue, collabori a considerare “normale” che tutto questo accada, possa accadere fra un uomo e una donna che vivano un qualche disagio nel loro rapporto.

No, non è solo affare di sociologi, di terapeuti della coppia ansiosi di documentarsi meglio circa le dinamiche e divertirsi successivamente nel gioco dell’interpretazione. La scrittura, anche bene quella di un articolo di giornale, per quanto attenta possa dirsi già contiene in sé i prodromi dell’accettazione. Ed è probabilmente questo il fienile disposto a prender fuoco non appena una scintilla si incarichi di scoccare nei dintorni.
Ci siamo abituati, ma l’escalation delle ultime settimane, di adesso, di questo 2012 condito dal culo di Belem, della sua farfallina tatuata, ci dice che qualcosa non torna. Ne stanno accadendo troppi.
E allora delle due l’una: o al di là della tanto sbandierata crescita della cultura del rispetto, il rapporto con la donna discende ancora-e pesantemente- da riti arcaici che chissà da quanto ci portiamo dietro, oppure è la fragilità dell’uomo, inteso qui come maschio. Messo in ombra da una determinazione che già anche solo in chiave biologica richiederebbe il massimo del rispetto di ogni individuo senziente,  ma che rivela la paura, mai sopita, di un abbandono. L’incapacità a restare soli, prim’ancora che la perpetuazione di un dominio inconsapevole sull’altro sesso.

Rimedi ? Non ci sono. Salvo quelli di insistere, in ogni ambito sociale, sull’eliminazione della paura, sull’accettazione del se, sulla disponibilità a rimettersi in gioco, in una nuova relazione, suscettibile di diventare amore, altrettanto forte, sano e rispettoso.

Non puoi chiedere questo a chi per primo non si ama, e sceglie la soppressione come unico illusorio e risolutore strumento per tacitare (e stavolta per sempre) la propria e l’altrui ansia d’amore.



01/07/12

CLETUS PRODUCTION: Nuovo progetto estivo

CLETUS PRODUCTION: Nuovo progetto estivo: Siamo del tutto consapevoli della follia dell'operazione. Ciò detto, abbiamo in animo l'intenzione di pubblicare un nuovo, esilarante, ebo...