04/06/12

Brevi cenni intorno alla teoria dei covoni.














La depressione è il mal sottile. Il demone oscuro, che sta rivivendo, in quest’epoca governata dalle incertezze, dalla precarietà, una rinnovata primavera.
Non so se esistano strumenti di misurazione della felicità sociale. Certo mi piacerebbe approfondire quest’aspetto, che pure rappresenta una costitutiva importante per il carattere dell’homo-erecto, in relazione alla qualità della vita cui è inchiodato.

Auspico studi più esaustivi, in materia. Nell’intanto, volendo divertirsi a tracciarne delle linee guida, ed in forza al solo sviluppo concentrico del pensiero (quindi, non corroborato da alcuna legge o teorema), vorrei qui evidenziare tratti distintivi di quella che potrebbe chiamarsi teoria, in nuce, dei covoni.

Come ogni anno, in ciò che resta delle nostre campagne (posso assicurare: esistono, basta allontanarsi per qualche chilometro dagli immensi alveolari di cemento che ci ospitano), in questa stagione si raccoglie il fieno. La generosa messe, favorita dalle pioggie e dalle giornate di sole, viene raccolta mediante appositi macchinari in enormi balle a forma per lo più circolare, aventi un diametro variabile dal metro e mezzo ai due metri. L’aspetto della gran parte dei campi, subito dopo quest’operazione, è quello di vaste distese gialle sulle quali, in modo random, sono disposti questi enormi cilindri di fieno. La loro semplice presenza, sui campi, ha favorito in molti bambini metropolitani, complice l’irrorazione del loro cervello da parte dei cartoons giapponesi, l’insorgenza della suggestione che a depositarli qua e la, in giro per le campagne, se ne possa esser occupato qualche volenteroso equipaggio d’alieni, sbarcati ad hoc, da qualche astronave (molto forte, al proposito, il rimando ai misteriosi circoli falciati nella campagna scozzese, attribuiti dalla fantasia popolare proprio alla laboriosità di altri esseri viventi, generati al di la del nostro sistema solare). Per inciso, fra coloro che sono disposti a sospendere la propria incredulità, ed aderire in toto a tale fantasia, va annoverato anche l’autore di queste note.

Quand’anche, per evidenti motivi di mancanza del dono dell’ubiquità degli alieni (impossibile trattarsi di tali soggetti, essendo gli stessi troppo presi con gli scranni comunali e regionali), non si volesse cedere a tali, facili, suggestioni, la risposta più aderente alla realtà, è che ad occuparsene siano gli uomini che si dedicano al lavoro dei campi, chiamati, appunto, contadini.

Che relazione può esistere quindi fra la disposizione di questi covoni e l’umore dei contadini ?
Semplice rimando di geometria ed un pizzico di capacità introspettiva. Alla stregua delle considerazioni che si fanno, in merito all’individuazione delle dominanti del carattere dei proprietari di scrivanie. Dal grado di ordine, ne discendono alcune moderne teorie psicologiche, volte a disegnare i tratti distintivi dei legittimi proprietari.

Cosi, segnatamente allo studio psicologico dell’ordine (o disordine) delle scrivanie, potremmo mutuarne i tratti distintivi anche per l’osservazione del modo nel quale i covoni sono disposti nei campi. Da qui ne discende quella che potremmo definire : LA PRIMA REGOLA DELLA TEORIA DEI COVONI.

Più la loro dislocazione è random, maggiore è il grado di benessere psichico dei contadini. Di contro, maggiore è l’ostinazione con la quale vengono raccolti e costipati in mucchi ordinati e contigui, più alta è la propensione a credere ad un carattere ossessivo-maniacale, votato alla soppressione di qualsiasi elemento di disordine, tipico dei tratti distintivi del depresso.

Stuoli di psicologi, antropologi, via via in un crescendo interdisciplinare fra diverse figure professionale, nelle quali annoverare anche periti agrari, agrimensori, costruttori di macchine per la realizzazione dei covoni, addetti al facchinaggio degli stessi, si stanno confrontando, da tempo, circa le origini sociali della patologia. Non è escluso che a breve, qualche prestigiosa sede universitaria, cogliendo il nuovo che da questo approccio si manifesta, non addivenga alla creazione di appositi corsi di laurea (magari breve) con i quali formare nuove figure professionali, in grado di gestire l’insorgenza di queste patologie già al loro timido apparire (in genere, subito dopo la semina).

E’ tutto, per oggi, dal sito di Rai educational surrealistic-pillow, l’appuntamento è per la prossima puntata.

01/06/12

Soprannaturale














Il Terremoto.

E’ l’impatto con qualcosa che potrebbe essere definito “sopranaturale”.
Se non fosse che come termine è uno dei meno adatti.
Ma nella mente razionale, quella abituata ad allinearsi al comune sentire, quella assuefatta da anni in modo impercettibile ad una rigida schematizzazione della vita, andrebbe indagato il perché lo si vuol ritenere qualcosa di non naturale.

Che la terra possa tremare, forse è cosa che appare normale, solo a poche menti elette. A coloro che ne hanno fatto materia di studio e di lavoro. Non sono poi molti.
Il resto, forse, prende atto ed elabora in ragione direttamente proporzionale ai chilometri di distanza dal luogo dell’ennesimo evento, o se trattasi di persona dall’animo sensibile, ne compartecipa il disagio mediante l’assorbimento passivo di immagini e voci che provengono dalla televisione, quando va bene, dalla carta stampata.

Ecco, è questo a rendere labile il nostro rapporto con la terra. Altrove hanno imparato a conviverci, e forse sono un pezzo avanti, se non altro nell’aver serenamente accettato l’idea che questo tipo di eventi sono “nelle cose”, nel novero delle possibilità. A partire da questa (serena ?) accettazione hanno messo in moto, presumo, anche quelle difese psicologiche che mai come in queste occasioni risultano preziose per non “andare via di testa”.

La relazione fra la naturale evoluzione della vita, scandita dal tempo (sarà banale, ma tutti con il passare di questo “invecchiamo”, e aggiungiamo cementificandole ulteriori certezze, che ci sono necessarie, sono le nostre ancore) e i luoghi.
La casa è uno dei totem che chissà da quanto ci portiamo dietro.
Vederla distrutta, in un attimo, produce effetti nell’immediato e a “lento rilascio” difficili da quantificare.

Quello che un evento del genere si incarica di insegnarci è che a poco vale la dissimulazione delle incertezze, procedendo per ancoraggi. E’ vero, i rapporti, gli affetti, le motivazione economiche ci legano ai luoghi. Ma la “catena” con questi si spezza, indipendentemente da quanto grossi ne abbiamo fatto gli anelli, nel nostro immaginario.

Non avere più niente, e rimettersi in gioco, prim’ancora che essere il sussurrato suggerimento di qualche santone zen, deve fare i conti con questo “bagaglio” psicologico.
E di impazzire, rimanendo vittima del perfido gioco dell’immedesimazione, consentire che il nostro orizzonte esistenziale coincida con il mero possesso di un bene (la casa) fa ancora capire quanto ci sia da lavorare, nelle coscienze, per dirsene liberati.

Gli americani convivono con i tornado, da anni. Cosi i giapponesi con i terremoti.
Forse per questo la loro società non riesce comunque, pur con tutti i guasti che si porta dietro, a fronteggiare la paura, opponendovi una “sana” maniera di reagire e prevenire ?

Qual è il danno quindi che si portano dietro questi eventi?  Il danno è nelle teste. E’ il farsi largo dello scoramento, il disorientamento. Ma se anche dalle parole (argomento al quale ultimamente hanno addirittura dedicato una trasmissione) non cominciamo a modificare il nome delle cose, le paure resteranno tali, e il soprannaturale (che ci rifiutiamo di smascherare) anche.