24/12/10

Del regalare libri a Natale

E’ Natale, ancora una volta. Le librerie, d’incanto, diventano i luoghi da dove poter comodamente osservare i tic della nazione. L’altro giorno ne ho scelta una, dove mi reco spesso, per la cortesia delle commesse, la loro discreta competenza, il loro modo gentile di guidarti e portarti con mano.

Prima riflessione.
Scegliere un libro da regalare, sto arrivando a considerarlo un atto di grande arroganza. Non si capisce perché, tomi e tomi di bon ton sconsigliano, a meno che non si sia più che intimi, di regalare profumi. Un’ingerenza immediata, nei gusti della persona cui il regalo è destinato.
Perché non dovrebbe essere altrettanto anche con i libri ?

Si obietterà, ma io regalo solo autori (o testi) che ho già letto, in un’ottica di condivisione. Ok, e se per caso la percezione di un testo (dando per scontato che sia soggettiva) fosse diversa da quella che abbiamo avuto noi ?

Il libro, ammettiamolo, è un oggetto pericoloso. Regalando un testo a “quella” persona, commettiamo il più facile degli errori. Supponiamo che abbia il tempo di essere letto, intravediamo condiscendenza, mettiamo alla prova il nostro (e altrui) livello di comprensione della persona cui è destinato. Una faccenda scomoda.

Ci sono varie tipologie di “donatori” di libri. Fatale che poi, nelle classifiche dei best-seller in questo momento in Italia, figurino nei primi quattro posti ben tre testi di cucina. Vorrà dire qualcosa ?

Già me li sento…ahò il mangiare è l’unica cosa che ci è rimasta (per chi può ancora permettersi di farlo due volte al giorno…co’ sti chiari de luna…), famogli sto regalo…vedrai che apprezza.

Cosi le scorciatoie da classifica, il sapiente battage pubblicitario, l’eco perverso fra esposizione pubblicitaria in tv e disposizione delle pile in libreria fanno il resto. Sono testi che vendono, sono testi che con il loro realizzo consentono alle case editrici di poter pubblicare anche altri testi meno “popolari” e (si spera) di più alto profilo.

Rimane che si tratta, ancora una volta, di una pessima abitudine, dura a morire.

Il gesto, del dono di un libro, in buona sostanza andrebbe misurato. Calibrato con discrezione, magari dopo aver indagato i gusti del destinatario. C’è una variante, per persone il cui rapporto è in crisi di comunicazione…e il sottotesto è…”ecco, lo vedi ? era questo che ti volevo dire e non ci sono riuscito…lo delego a qualcun altro…lascio che per me parlino le sue pagine”. Allora scatta la ripicca…hai voluto stupirmi, regalandomi un libro di poesie, ti spiazzo con un manuale di pesca…(che magari fosse quella alla Trota, in America…). Il dono di un libro è affare pesante.

Maneggiare con cura.

La mia lista della spesa…(ovvero cosa ho regalato, a chi, e soprattutto perché)

Un cofanetto di 4 cd di Stevie Wonder con testo a fronte e bio stringata. Ad un amico che ha bisogno (secondo me) di ascoltare buona musica per scrollarsi di dosso un periodo di pesantezza (emotiva, lavorativa ect).

L’ultimo di Tabucchi. Parla di viaggi, e troppo semplice donarlo alla stessa persona di sopra (che peraltro ha sempre viaggiato come regola di vita)

Momenti di trascurabile felicità, ad una ex cui serve una riconsiderazione romantica degli ultimi anni della sua esistenza.

L’ultimo di Lodoli, ad un cognato, insegnante anche lui, di simpatie sinistrorse…

La biografia di Marilin Monroe (ricca di foto inedite) ad un fratello cui farebbe bene, anche bene mediante questi stupidi succedanei, riscoprire l’iconizzazione della bellezza femminile.

Il testo culinario della Parodi, ad una mamma, anziana, di una mia amica, cui non dispiace esibirsi ai fornelli…

L’ultima (la prima ? l’unica ?) fatica di Barbara d’Urso…Storie di donne travagliate…autografata dall’autrice che con piglio da fastfood era proprio presente, al momento, in libreria a dispensare dediche a perfette sconosciute.

Mi è stato sconsigliato l’ultimo di Veronesi XY, troppo cruento per una signora…(ma sarà vero ? Veronesi ha una scrittura che non mi dispiace…).

La biografia di Keith Richards ad un amico malato peggio di me per gli Stones.

E altri ancora di cui taccio per pudore e per noia.

18/12/10

Venerdi 17

cassia bis








Può succedere, certo. Ultimamente succede un po’ più spesso.
Può succedere che per una volta le previsioni meteo ci azzecchino. Può succedere che tua figlia ti dica, con lo stesso tono predittivo di Dustin Hoffman ne Rain man “Quantas ?! Non cadono mai ! “. Hai presente ?
Una di quelle sentenze pronunciate con tale sicumera da non lasciare spazio a dubbi. Mia figlia aveva sancito, “Papà, domani nevica “ (viviamo a Roma, ndr). Alla mia domanda, innocente: “Perché ?”…mi sono sentito rispondere…”l’ha detto il meteo di Sky! Quelli non sbagliano mai !”:
Mai sentenza fu più corretta.

Ieri, venerdi 17, mentre ero appena fuori Roma a divertirmi a fare il babbo Natale postmoderno (non indossa il classico costume, non guida Renne ma una banale Ford, non consegna strenne ma al peggio del vino passabile ai suoi clienti) in compagnia di un amico, ci ha sorpreso una tempesta di neve.

Ora, il mio livello di gradimento della neve, da epoca non sospetta, sta al piacere che può provocare l’accorgersi di esser stato immortalato da un autovelox. Semplicemente non la sopporto. Non sopporto tutta la letteratura che ci gira intorno, da Rigoni Stern a Massimo Boldi (mi si perdoni l’accostamento). Odio i cinepanettoni, odio tutto ciò che ha a che fare con la montagna che non siano le passeggiate estive sui rilievi (cosa che per lungo tempo mi ha attirato). Ma non parlatemi di neve, e i suoi derivati.

Cosi, all’accorgersi che il tentativo di venire fuori da una timida salitella del paesino dove abbiamo pranzato (in un locale degno di pinguini quanto a climatizzazione), mi sovviene che, sepolte fra duemila cianfrusaglie e a puro titolo scaramantico, dispongo di catene.

Ci fermiamo, in qualche modo, e cominciamo a compulsare il manuale con le istruzioni di montaggio. Dopo diversi minuti e tentativi infruttuosi si accosta un’utilitaria. A bordo due donne. Una ci vede e comincia a ridere. Di quelle risate contagiose, immotivate quanto assurde. Facile andarle dietro. Scende una ragazzetta che non sfigurerebbe in un catalogo Panini di campionesse di wrestling. posto che la disciplina fosse solo un po’ più popolare da noi.. La ragazza con un piglio autoritario (mi sento solo di suggerirle di indossare dei guanti che prontamente le porgo) ci monta le catene come nemmeno al box Ferrari in una delle giornate più ispirate.

Commosso, ho pensato bene di lasciarle un paio di bottiglie di ottimo prosecco e lesti prendiamo la via di casa. Commettiamo l’errore di immetterci sulla Cassia bis. Una sorta di autostrada, dotata di un paio di generose corsie per carreggiata. Quella che ci ospita, in direzione di Roma sembra piuttosto sgombra. Troviamo un benzinaio aperto, facciamo il pieno e proseguiamo. Alla prima salita la coda. Vediamo la sommità della salita, sgombra. Ci sono “solo” un paio di camion che evidentemente sprovvisti di qualcosa in grado di fargli superare il dislivello ( catene, ruote da neve, marce ridotte, diosolosacosa) impediscono agli altri disgraziati come noi di procedere.

Restiamo fermi due ore due. A mezzo metro per volta, la salita assume il valore del paradiso per un cattolico praticante. La mèta è la, la vedi, ciò nonostante ti industri per fare del bene, nel frattempo.
Alla radio sentiamo di tutto, le polemiche per il rilascio dei manifestanti, wikileaks, l’Inter, i sorteggi di Champions, i consigli per andare di corpo meglio in previsione delle mangiate delle festvità, gli ultimi amori della pin up di turno. Insomma, mi addormento. Dormo per un tempo che non so stimare. Alla fine, mentre cala l’oscurità, dio sa come, si apre un varco che consente il passaggio a singhiozzo di un auto per volta. Non senza privarci dell’elegante scambio di battute fra una signora che ci ha appestato con i gas di scarico da una BMW X3 e i poveracci autisti del camion fermo “Guardi che dobbiamo andare a casa anche noi, sa ?!” gli grugnisce sull’incazzato uno di loro, e lei, avvelenata come una biscia “Ma io ho tre bambini a bordo”: In due battute l’immagine del paese.

Procediamo a trenta all’ora. Raggiungiamo il Raccordo che non ci sembra vero. Il fondo stradale a quel punto e’ migliore. Decidiamo di accostare, sulla corsia d’emergenza dentro a un tunnel. Tentiamo l’operazione di smontaggio delle catene: non credete, altrettanto complessa quanto il montarle. D’improvviso mi è chiaro il concetto di “Galleria del vento”, test al quale vengono sottoposte le auto per stimarne l’aereodinamicità (leggi, resistenza al flusso del vento, capacità di penetrazione dell’aria attenuando l’attrito). Una folata gelida e continua si incarica graziosamente di condire tutto il tempo necessario all’operazione di smontaggio: Che e’ comunque molto (un pensiero amorevole alla ragazzetta di prima, questo si, nel mentre).

Svolta l’operazione, procediamo, sono quasi commosso dal trovare la strada sgombra e poter avvicinare velocità degne di tal nome. Ci fermiamo per un generoso caffè e pipì connessa in un autogrill sfigatissimo popolato da zoccole est europee e personaggi dickensiani.

Ma il castigo del venerdi 17 non ha ancora esaurito le sorprese in serbo per noi. All’altezza dello svincolo con l’autostrada per Fiumicino, preavvisati da un anacronistico quanto inefficace cartellone a led che sovrasta le tre carreggiate, veniamo avvisati rispettivamente che le code sono da lì fino alla Prenestina (per i non romani, parliamo di una roba equivalente a 20 km, e nel contempo che le condizioni meteo sono "avverse". Ho sempre nutrito curiosità per coloro che sono preposti alla compilazione di questi messaggi. Mi sono sempre chiesto quale fosse il loro livello di istruzione, quale il loro background culturale, di cosa si sono nutriti, quali i libri che hanno letto, i film che hanno apprezzato e dei quali chiacchierano amabilmente davanti ad una tazzina di caffè, al bar con i colleghi o davanti all’omnipresente macchinetta che pure devono avere nella stanza dei bottoni, la stanza da docve immagino digitino questi distillati di letteratura misti a messaggi che variano il loro tenore dal calibrare la paura, moniti e finta premura. Condizioni meteo avverse, ma va ? L?italiano e’ una lingua fantastica. Di un umorismo involontario, a volte.

La maledizione del 17 si espleta regalandoci ben un'ora e tre quarti per percorrere poco piu’ di cinque chilometri. Assistiamo come Tantalo, con un mix di ammirazione per la loro incoscienza) i disperati che incuranti di tutto transitano a 150 km/h sulla corsia d’emergenza. Indirizziamo i nostri improperi agli occupanti e alle loro rispettive qualifiche di auto civetta con il lampeggiante che ci sfrecciano a destra incuranti del nostro supplizio. Fumo non si sa quante sigarette, tento di cambiare stazione radio, vado da un’insulsa Shakira ai Vespri medioevali (che stile, quelli di Radio3). Insomma cedo, su tutta la linea e rimando mentalmente, come un mantra, i nomi dei sindaci di questa città, degli assessori all’urbanistica, che si sono succeduti da una trentina di anni in qua, mandandondoli cordialmente in quel posto.

Esaurita anche la verve necessaria per incazzarmi, alla fine individuo un varco e decido, a costo di allungare di altri chilometri, di uscire da quel girone infernale.

Tempo altri venti minuti sono a casa.

E’ finita, mi dico. E’ finita.

11/12/10

Una giornata felina

Un_felix








Oggi ho sfamato un gatto.
Ho preso la Stampa e un paio di pezzi di pizza, e sono arrivato al pontile.
Ho trovato una panchina, baciata dal sole. Mi sono seduto e ho cominciato a mangiare, sfogliando il giornale, facendo attenzione a non macchiarlo.
Mentre stavo cosi, si materializza davanti a me un gatto. Messo un po' male in arnese, ma di un'eleganza unica. Mi guarda. Lo guardo.
Ci guardiamo per un po', silenziosi.

La dignità del suo sguardo mi spinge a fare d'istinto un gesto, portando verso di lui la mano con una briciola di pizza.
Doveva proprio essere affamato perchè se l'è presa, con la consueta eleganza, e dopo averla debitamente odorata, depositandola sui cubetti di porfido del pavimento del pontile, l'ha inghiottita d'un colpo.
Ho continuato. Leggevo il giornale, e allungavo la mano con le briciole.
Siamo andati avanti cosi per un po'.

Poi mi sono ricordato. Anche stanotte ho sognato un gatto. Era quello che abita qui con me.
Stava a letto, non sono nemmeno sicuro si trattasse, nel sogno, del letto dove dormo di solito. In ogni caso la scena era tranquilla, non si percepiva alcuna tensione. Solo, trovavo insolito avergli concesso un simile lusso. Al peggio, il gatto staziona, d'inverno, su un plaid appoggiato su una poltroncina, nel salone.

Ho associato due intenti d'una giornata felina.

06/12/10

Del perché non mi è piaciuto l’ultimo di Woody Allen.

la locandina del film di Woody Allen











Ho preso coraggio, sostenuto dalla necessità di sorridere o di lasciarsi scappare qualche sonora risata davanti all’umorismo intelligente del grande regista.
Sono uscito dalla sala con un rimando prepotente, non ricordo ad opera di chi, della frase “fenomeni che da noi sono sopravvalutati ? Woody Allen, per esempio: snobbato in patria colleziona aficionados da noi”.

Il film ha il suo più grande difetto nella trasposizione dei tempi. Risulta pensato come quelli di una commedia teatrale, ma trasferito “di peso”, senza adattamenti, al grande schermo, perde la caratteristica che ne avrebbe fatto un prodotto gradevole.

Lento, noioso, vagamente prevedibile, e con un inedito finale “semi aperto”, cui sembrano essersi votati (con qualche decennio di ritardo) i registi dopo aver copiato gli scrittori (penso al maestro in assoluto: Raymond Carver).

L’ironia non manca, certo. Qualche sincera risata ti scappa nel seguire le peripezie di un Anthony Hopkins in forma smagliante, alle prese con una spumeggiante (e un po’ mignottta) ventenne.

Cosa vuol essere ? Forse la celebrazione dell’età adulta alle prese con l’eterno tema dell’amore.
Qui Allen riesce, il ritratto a tutto tondo della consapevolezza dei limiti del corpo, a dispetto dell’eterna giovinezza che sembra portarsi con se l’amore, e chiunque lo prova, ancora.

E’ una trama da palcoscenico, e la sua invenzione su pellicola, lascia l’amaro in bocca.
Peccato.