28/07/10

Procasma, again.

Stavolta l'invito è arrivato insieme al catalogo di una società che vende intimo per corrispondenza.
Cosi, fra una guepiere e un corpetto di pizzo, nero, il cartoncino col logo del Procasma (due serpenti attorcigliati ad un calice, alla stregua del fregio che orna il giuramento di Ippocrate che il mio ex medico cocainomane esibiva nella sala d'aspetto) spicca per il suo colore molto trendy: arancione con viola, per i font new corrier dei caratteri.

Ho indossato abiti bianchi. Jeans, camicia e pullover. Ho lasciato la giacca a casa e atteso che Bisceglie 74 (questo il nome stampigliato sulla portiera) arrivasse sotto casa. A bordo una megera che sembrava appena uscita da una permanente venuta male. Un vistoso tatuaggio sul polso, la riproduzione di un orologio d'antan. “E' la copia di quello di Armstrong, sa ?” mi dice fiera non appena chiusa la portiera. Sulla storia dell'Omega indossato da colui che ha calcato per primo il suolo della luna sono fiorite leggende. Ho sempre propeso per una scherzosa sottrazione, avvenuta nell'abitacolo del Lem ad opera di Buzz Aldrin. Scherzi dettati dalla quota, probabilmente.

Bisceglie 74 mi espelle, come una supposta rifiutata, davanti all'energumeno in livrea che presiede l'ingresso del locale. “Sono felice di rivederla, Mr.Cletus” mi dice con la consueta voce da Audrie Hepburn l'omone. Col passare del tempo la sua silouette va sempre più somigliando alla controfigura dell'omino Michelin, osservo.

Entro nel locale, scendo le tortuose scale che conducono al seminterrato, e dietro drappeggi di tende che sembrano saccheggiati dai saloni di una nave da crociera in disarmo, si apre in tutto il suo fulgore la hall del Procasma.

Steve Bishop mi viene incontro esibendo il suo sorriso, da crociera anch'esso, e avvolto in un doppiopetto bianco con polsini made in Urano. “Cletus, che sorpresa, vieni che ti presento ad un po' di bella gente”.

La bella gente cui allude è composta da Direttori Commerciali di aziende decotte, ex Boiardi di Stato caduti in disgrazia dopo l'avvento di Tremonti, gestori di stabilimenti balneari diventati soci attivi, della Rolex per quanto riguarda gli uomini e della Louis Vuitton per le loro consorti, gommisti senza partita Iva (quelli che ce l'hanno sono usi frequentare altro genere di locale).
Stringo un po' di mani, sorrido nonostante il mal di denti (ho un ponte che mi fa piangere dal dolore, cosi come un calletto che nelle scarpe bianche da jazzista nero, mi ricorda che è tempo che diserto lo studio di una pedicure).

Vieni che stasera facciamo il botto.
Perchè le altre sere no ? Mi viene da dire ma mi trattengo.
Vieni che ti presento l'attrazione della serata: c'è costato un occhio scritturarlo ma tu conosci la nostra ansia di stupire...mi dice calando scientemente una pausa in attesa di un mio cenno d'assenso.

Mi presenta ad un giovane, avrà trent'anni, camicia bianca senza cravatta, abito grigio decente.
Mirco Tomasetti, dice stringendomi la mano.
Avverto con fastidio il sudaticcio che mi rimane sul palmo. Cerco nelle tasche un kleenex e mi riprometto, appena posso, di raggiungere la toilette per lavarmi.
Il ragazzo non dice niente. Si limita a sorridere, indifferentemente, a me e a Steve, mentre agita un calice con della roba bollicinata. Arrivano, come a togliere l'imbarazzo, le donne del Procasma, con la loro festosa euforia (evidentemente hanno alle spalle diversi pitstop nei pressi del bar). C'è Odilia Prandizzi in un tubino nero, solo qualche taglia più in la, come quello della Hepburn recentemente assurto al vertice della mise più elegante di sempre nella storia del cinema, e avvolta in un giro di perle (fa niente qui se vere o d'allevamento) il collo più lungo della Tuscolana, la signora Furia Tromberry. Sorridono e spargono all-around la loro allegria, con risatine che rimandano al suono, giocoso, dell'acqua di qualche fontana zen.
Nell'aria insieme a brani di grandi orchestre americane, si alternano jingle di pubblicità d'annata. Distinguo quelle dell'Aperol (Streetlife) e il martellante ritornello dello spot di uno yougurt (Jakult, in esperanto), che contribuiscono, se possibile, a rendere effervescente il tutto.
C'e' un senso d'attesa, dissimulato da flute, gusci di pistacchi lasciati sui divani, ed effluvi di Chanel. Gli ospiti arrivano a gruppi, come le bollette nella mia cassetta della posta. Steve si affretta a dare il benvenuto a tutti, a prescindere dall'entità dei rispettivi modelli Unico.

Mentre prendo posto in una poltrona, sovrastata da una tenda che non incontra un Dixan da tempo, mi prende un senso di spaesamento. Che ci faccio qui ? Sono depresso, d'accordo, ma possibile che annetta più capacità taumaturgiche al Procasma che allo Xanax ?

Scaccio l'interrogativo concentrandomi sul palco. Una sfavillante Furia Tromberry impugna il microfono facendo tacere con un gesto perentorio la musica di sottofondo. Dopo i convenevoli con la sua voce per nulla stentorea, passa a presentare l'attrazione della serata. “Signori, Mirco Tomasetti, direttamente dai laboratori del Cern...” dice ridendo e sollevando gli applausi del pubblico, vagamente sollecitati anche da apposita scritta che campeggia su un display posizionato in alto, sul palco.

Mirco entra e con un inchino prende il microfono. Comincia.
Quanti di voi hanno in tasca un telefonino ? Un navigatore satellitare, un Ipad ?
Silenzio, il pubblico si guarda interrogativo (dove vuole arrivare costui ? A pregarci di spegnerlo come in un multisala ?).
Non vi affrettate a rispondere, prego. Non è importante ce l'abbiate qui. Chiedevo per sapere quanti di voi conoscono l'esatto motivo per il quale da un involucro innocente, che generalmente entra in una tasca (Ipad a parte) ci si possa connettere a qualcun altro, che di sicuro non ci è prossimo, che probabilmente sta altrove. Eppure, la sua voce, esce più o meno distintamente da quest'arnese infernale che ormai un po' tutti possediamo. Ce l'abbiamo in tasca, potremmo dire, no ?
Il pubblico annuisce, in silenzio.
Bene. Vi siete mai chiesti in forza di cosa questo succede ? Intendo, fisicamente, vi siete mai chiesti da dove passa la voce del vostro interlocutore ? Sottoterra ? In linea retta ? Piove dall'alto rimbalzata da chissà quale satellite ? Dove sta ? La possiamo vedere una voce ?
Il pubblico, nonostante l'ora e i drink o forse sopratutto in forza di quest'ultimi, si perpligge.
Nell'aria, signori. Nell'aria.
Mentre andiamo in auto al lavoro, mentre passeggiamo al parco, mentre stiamo scegliendo la marca di yougurt migliore dagli scaffali di un supermercato, noi, tutti, indistintamente, ci viaggiamo dentro, siamo in mezzo ad un flusso di dati, siamo circondati, anche adesso, anche qui, in questa sala, l'aria è carica di dati.
La gente comincia a guardarsi intorno, illudendosi di percepirla, distinguerla nell'alone di effluvi di Chanel che impregna l'aria.
Nell'aria, signori, nell'aria.
L'aria è cambiata, no, non in senso metaforico. Probabile che al tempo di Ulisse fosse molto diversa da quella attuale. Allora non era ancora stata inventata la telefonia mobile. E' da meno di un secolo che l'aria è cambiata. Oggi è diventata il veicolo di tonnellate di informazioni, di dati. Si può dire che camminiamo, fisicamente in tutto lo scibile umano, in versione aerosol.
Pensate che tutto questo è impossibile ? Chiedetelo ad un bambino, molto facile che sia disposto ad accettarlo molto prima di chiunque di voi. Sbattiamo contro la Divina Commedia (commentata dal Sapegno o da chiunque altro), ci transitiamo dentro senza accorgercene. Siamo attraversati da annate del corriere della sera, archivi interi, dichiarazioni dei redditi dei nostri nonni, opere d'arte, quadri, canzoni, recensioni argute e foto della vostra infanzia mentre fate ciao ciao con la manina, davanti all'immancabile paletta e secchiello le prime volte che vi portavano al mare, posto che l'abbiate custodite in qualche social network, e che all'epoca avevate un parente dotato di macchina fotografica. Oggi spediamo lo scatto del primo dentino di nostro figlio pochi minuti dopo lo legge quel nostro zio emigrato in Canada, e che sentiamo per Natale per gli auguri. Dove passa la foto del vostro pargoletto ? Sotto il mare ? Magia ? Trasmissione del pensiero ? No, signori, tutto questo è nell'aria. Nell'aria.
La sala è muta, come davanti allo svelamento del terzo mistero di Fatima, qualcuno allenta il nodo della cravatta, in evidente disagio.
Non ci avete mai pensato, vero ?
Tutto questo, si, tutto questo è reso possibile dalla tecnologia. E dall'aria.
Bene, fin qui ci siamo. In fondo sono cose che oramai fanno parte del nostro quotidiano.

Osservo la mimica di Mirco. Non tradisce emozione, mette si enfasi ma lo fa in modo consapevole, quasi trattenuto. Di sicuro trasmette sicurezza. Anche questa nell'aria, certo.

Ora io sono malato. Avete capito bene. Sono malato. Ho una patologia rara, ma non è una sfiga. O almeno...diciamo che mi da di che vivere piuttosto. Sono uno Sniffer. Avete capito ? Uno Sniffer.
Sapete cos'è ? E' il futuro, signori.

Potete interrogarmi, qui, ora, sull'intera Costituzione Americana, e su quella Italiana. Potrei citarvi a memoria ogni articolo di legge del codice ellenico, i titoli custoditi nella biblioteca d'Alessandria (prima dell'incendio), recitarvi le formazioni di tutte le squadre di calcio del mondo, snocciolarvi i marcatori, i minuti nei quali hanno segnato, i punti realizzati nei vari campionati di calcio della terra da ogni singola compagine, finanche alle categorie cadette.

Perchè potrei fare tutto questo ? Semplice, sono uno sniffer. Mi hanno impiantato nel cervello dei chip che sono in grado di trasformarmi in un google portatile. Ho la capacità di captare dall'aria, da questa semplice aria che ci avvolge tutti, info altrimenti delegate ad essere fruite da appositi hardware costruiti allo scopo. Io non ne ho bisogno sono umano, vedete, mangio, dormo, rido, faccio l'amore (oddio...ad intervalli bizzarri, è vero, ma lo faccio), sono come tutti voi, ma ho questa attitudine in più.

Domande ?

Dal pubblico ormai tramortito dalla velocità dell'eloquio solo bisbiglii. Si alza una mano, timidamente. Furia gli porge il microfono. Sono un magistrato, dice, possibile che nessun centro investigativo l'abbia ancora scritturata ?
Sono a libro paga di diversi servizi di security. Prevengo, in altre parole, qualcosa come Minority Report, ha presente ? Non ho doti di calcolo sofisticati al punto da prevenire un crimine, come faceva il protagonista del film, ma sono un valido supporto per le agenzie investigative di mezza europa. Posso agevolmente attingere ai dati relativi ad una persona, di Steve Bishop come di quel signore la, vestito di bianco che se ne sta in disparte su quella poltrona, e mi indica.
Mi sento osservato e dentro di me prego che mi ignori.
Altre domande ?
Si, quanto costa farsi impiantare quel chip ? Chiede un uomo sulla sessantina, circondato da escort che sembrano uscite dalla copertina di Playboy, posto che venga ancora editato.
Al momento è ancora sperimentale, Sir, io mi sono offerto volontario, rispondendo ad un anonimo annuncio su un sito di ricerca del personale, per una non meglio precisata mansione scientifica.
E' stato doloroso ? Chiede una signora sulla cinquantina
Affatto, il tutto avviene sotto anestesia.
Potrebbe recitarci dei versi ? Montale per esempio ?
Quale poesia vorrebbe, signora ? Dice col tono di un cameriere che ti chiede il grado di cottura di un filetto.
Meriggiare pallido e assorto, ad esempio...dice la signora sulla cinquantina.
Mirco attacca dopo qualche nano secondo:
è tratta da Ossi di seppia e scritta intorno al 1916,
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Continuo ?
Appplausi del pubblico che evidentemente non trova nulla di meglio da fare.
Mirco va avanti ancora un po', divertendosi a fare il google della situazione.
Gli chiedono, nell'ordine il PIL di diverse nazioni africane, l'ordine di arrivo dell'edizione della Millemiglia del 1956, la filmografia di Krzysztof Kieślowski, i nomi degli ultimi 10 presidenti americani, l'elenco dei taxi del 3570, le specie volatili a rischio.
Qualcuno, travisando, tenta di ottenere brevi manu una prenotazione istantanea per un gettonato beautycenter nei dintorni di Bagno Vignoni, chi per un volo di solo andata con Lufthansa per le isole Svalbard, e un albergo a Longyearbyen.

L'atmosfera è quella che doveva esserci davanti ad un carro da dove si esibiva un guaritore, come quelli immortalati in qualche pellicola western, magari girata nei dintorni di Frascati.

Sale sul palco Bishop, a raccogliere la meritata dose di applausi, dalle casse generose del locale, parte un brano della colonna sonora di Bladerunner, di Vangelis. Mirco si spertica in inchini, è stanco.

La gente si alza, si accalca ai banchi dei bar, dove dei camerieri ossigenati servono altri flut con bollicine, si ride, si scherza. Qualcuno continua a guardare, insistentemente, nell'aria, girando intorno lo sguardo come a voler trovare il trucco.

Mi alzo, mi faccio largo fra la folla, raggiungo i camerini. Vedo Mirco e Steve Bishop entrare furtivamente nell'ultimo di un lungo corridoio. Con una certa fatica passo attraverso gente ingioiellata che continua a dirsi stupita per quanto ha appena vissuto. Entro nel camerino. Mirco è a torso nudo, si sta spogliando immagino, gli tolgono dalla schiena, provocando leggeri gridolini allo strappo, una consolle piatta, e cavetti vari.
Bishop mi osserva smarrito, come potrebbe un bimbo beccato con la dita nella marmellata da una mamma solerte, e distratta. Abbozza un sorriso, come a cercare complicità. Come a cercare di ottenere, forte solo della benevolenza, omertà a buon mercato.

Esco, facendo la strada al contrario, piuttosto nauseato.
Siamo alle solite, penso, problemi di budget e un concetto allegro di abuso della credulità popolare.
Questo è il Procasma, penso.

A bordo di Minnesota 34, l'autista, un cingalese sulla trentina, mi snocciola tutto il tempo l'intera filmografia di Sam Peckinpah, magnificandomi i suoi rallenti, e il record di inquadrature del suo Mucchio Selvaggio.

A casa, ho solo voglia di una doccia, e di mettermi a letto con l'ultima copia di Elettronica Oggi.

26/07/10

Love parade

Love parade
19 morti. Un tunnel. Il panico. La ressa. La calca. Il concerto che prosegue, ignaro, della morte passata a due passi a falciare giovani vite.
C'è tutto un mondo, in quell'incrocio di vita e di morte. Di festa e di lutto incredulo e inconsapevole per la moltitudine che continua a ballare. La Germania perfetta e organizzatrice, altro luogo comune da demolire. La responsabilità di chi, ignaro dei comportamenti delle masse, decide un'unica via di accesso, un tunnel che simbolicamente rimanda ad un lungo utero, al di fuori del quale c'e' la terra promessa, la festa, i decibel, le danze, la felicità pret-a-porter, difficile da procurarsi altrove, forse perchè nessuno gliel'ha insegnato, a cercarla.

19/07/10

Evergreen for 54

Oggi cade (senza ferirsi, si spera) il 54° compleanno di Cletus.
Come un qualsiasi vecchio crooner, acciaccato dall'incedere del tempo, ma ancora indomito innanzi all'attrazione del bello, ripesco dall'archivio sconfinato questo pezzo sul quale si sono consumate (ma nemmeno tantissimo) molte estate fa, le guance su quelle di leggiadre fanciulle...

18/07/10

Essere imprenditori, oggi, in Italia.

Per quel poco che seguo i giornali, limito l’aggiornamento su cosa accade nel mondo, in Italia, alla lettura di qualche sito di quotidiani online, e a qualche noioso telegiornale, è un fiorire di inchieste su un ceto di politici e imprenditori, l’un con l’altro abbracciati, nell’intento fin troppo evidente di trarne reciproco vantaggio.
Ho letto, non ricordo attribuita a chi, anche la frase, la criminalità organizzata esisterà finchè esisterà l’uomo. Credo sia di un giudice. Credo sia un messaggio molto negativo, direi rassegnato.

Ora nessuno vuole illudersi circa il profondo radicamento di questo tipo di pratiche nella psiche collettiva. Credo non sia nemmeno più, per evidente mole di interessi, circoscrivibile in determinate regioni del paese. Quello su cui mi vorrei soffermare è un tratto del carattere “tipo” che ne viene fuori. La portata devastante di simili situazioni sulle nuove generazioni.

Si avvalora il concetto che fare impresa, oggi, in Italia, sia cosa da interpretare esclusivamente alla ricerca di sostegno (spesso ai limiti della legalità). Viene meno il carattere di sfida, di capacità nei propri mezzi, non solo come tripudio dell’arte di “farcela da soli”, ma proprio come insita nel concetto impresa.

Giustamente, faceva notare un amico, a fare gli imprenditori cosi ci vuole molto poco. Chiunque, al comando di una qualsiasi attività, forte delle complicità col potere, sarebbe in grado di saper guidare un’Azienda. Non si richiedono doti da mago.

Coltivare questa convinzione è piazzare una pallottola nel cuore del futuro. Non c’è davvero scampo, se a fare argine contro questo dilagante modo di interpretare il lavoro, viene meno anche la forza della legalità. E le parole, rassegnate, del giudice suonano ancora più sinistre se proiettate nell’immediato futuro.

Svelano un sistema familistico, che quand’anche non è implicato direttamente con nulla di criminale, castra qualsiasi spinta, ambizione ad almeno provarci. Un deprofundis della capacità ci cambiamento, che pure dovrebbe essere tratto distintivo delle nuove generazioni.

Cosa stiamo dando ai nostri figli ? cosa li facciamo studiare a fare ?
Questo modo di procedere è figlio di storture, gap, leggi che hanno imprigionato e ridotto a zero, qualsiasi sussulto di dignità. Fare l’imprenditore, fa niente di quale impresa, diventa cosi l’amaro rifugio di coloro che credendo di incarnare la massima espressione di libertà, si confrontano in un mercato drogato. Dove a vincere non è la capacità di innovare, la creatività, l’originalità della propria proposta, ma il sottobosco di affari, alleanze, favori, che costituendo la stampella al proprio operare, di fatto ne limitano terribilmente la portata, condizionandola, in un valzer letale.

Sono appunti presi di corsa, questi. Sui quali non smetto di ragionare.
Credo però che a prescindere da tutto ciò, non mi rassegnerò a considerare modello chi, forte delle sue connivenze, viene addirittura additato dal sistema di potere (leggi: giornali, anche autorevoli) a punto di riferimento. Di cosa ? Forse è arrivato il tempo di liberarsi da questa jattura che è condensata nel concetto “l’arte di arrangiarsi”. Uscire dal medioevo della ragione, e proporre, con coraggio, nuovi modelli imprenditoriali.

Ma forse è già troppo tardi.

13/07/10

Mi mancano i Mondiali

il colpo d'occhio sugli spalti







Lo ammetto, le ho detestate, mi hanno convinto che la mia televisione funziona alla grande, anche senza le frastuonanti trombette africane. Ora mi mancano.
Mi mancano i bei faccioni panciuti della ciurma di opinionisti al seguito di mammarai, che si sono fatti più di un mese, a spese degli abbonati, per svolgere un lavoro che nessuno avrebbe impedito di svolgere (decorosamente) anche sull'italico suolo.

Mi manca quell'incursione nei mondi altrui. Quelle zoomate sugli spalti a caccia delle mise più curiose sfoggiate da sostenitori provenienti da tutti gli angoli della terra. Quel piacevole senso di pienezza, in queste calde serate estive, quando ancora le cicale ubriache cantano fino a tardi, e il loro suono, entrando dalle finestre aperte si fonde con quello delle vuvuzela.

Mi manca il valore di pretesto che le partite hanno costituito, per ospitare in salotto qualche amico, smangiucchiando e bevendo qualcosa, commentando, se del caso, gli errori arbitrali, i cosidetti “gesti tecnici” ad opera di atleti di todos lo mundo.

Insomma, che che se ne dica, il polpo Paul, i commenti di Salvatore Bagni, le gesta di tutte le squadre venute a giocarsi, chi sa, insieme ai mondiali, sopratutto la loro immagine al cospetto del mondo, degli altri, ora mi sento vuoto senza tutti loro.

Facile annettere al calcio la valenza simbolica di occasione di confronto. Fair play in campo (a parte i simpatici segni dei tacchetti sul petto del giocatore spagnolo ad opera di un collega olandese, che in un evidente afflato sperimentalista, ha dato prova di essere più acconcio a tecniche da wrestler). E ancora non secondario il contesto nei quali si sono giocati. L'Africa pur non conseguendo una prestazione sul campo fortunatissima (il solo Ghana buttato fuori ai quarti) deve averci messo del suo contribuendo a quella sensazione di terzietà che deve aver favorito questo fairplay diffuso.
Ho motivo di credere che strategicamente sarà il continente del futuro, dove per tutt'altri motivi il rapporto con la natura non ha ancora assunto le criticità del resto del globo “occidentalizzato”.

Ecco, con quella specie di retrogusto agrodolce che lasciano eventi cosi, mi ritrovo già a rimpiangerli, questi mondiali.

07/07/10

Packaging

masturbation can be fun












E' l'arte (e si, proprio cosi) di confezionare un bene, una merce.
Credo che dietro ci sia una scienza, estenuanti riunioni intorno ad un tavolo, settimane di lavoro, di sedute al pc giochicchiando con qualcosa tipo Autocad. Sicuramente alla base c'è uno studio su come noi consumatori reagiamo agli stimoli dei colori.
L'ultima frontiera sono le confezioni colorate.

L'altro giorno ero al supermercato. Ho messo nel cestello queste due cose: un succo di frutta ed un ammorbidente. Sono entrambi dei liquidi. Col primo ci si disseta (cedendo alle sollecitazioni costituite dai ripetuti passaggi della pubblicità in tv) col secondo, quando poi hai finito di raderti, elimini quella sensazione di cartone che ha il tuo asciugamano.

Notare la somiglianza delle confezioni. Entrambe fanno ricorso al colore, quasi psichedelico, per enfatizzare il prodotto. Non dico che uno le compra perchè la confezione è bella, ma fra un contenitore anonimo ed uno colorato, vattelapesca, in genere preferiamo quest'ultimo.

Ora, il mio terrore è che, pur non avendo bambini (al momento) in casa, in uno dei prossimi annebbiati risvegli possa farmi un drink con l'ammorbidente (svenendo subito dopo) e mettere su una lavatrice usando come ammorbidente un succo di frutta.