30/10/08

Lei sembra Pales ?

Sono giorni che mi arrivano email con questo mittente. Un mittente che è una domanda. Naturale si tratti di spam. Tuttavia, questa domanda si è insinuata nella mia testa. Dando luogo ad una serie di bizzarri interrogativi.

Ora, supponiamo che la bizzarria della cosa risieda nel non perfetto funzionamento di uno straccio di traduttore automatico. Chissà cosa ne era, di questa frase, prima della sua traduzione. La cosa mi attrae quasi quanto il mistero del Santo Graal. Lei sembra Pales ? Deve trattarsi di una nuova frontiera dello spam, l'autore deve essere persuaso che inserendo un mittente del genere sia fatale che prima o poi la curiosità di un destinatario lo spinga ad aprire il mail e trovarsi col virus del secolo nel suo pc.

Uno ti ferma per strada. Tu sei intento negli stracazzi tuoi a pensare come fare a pagare la riba che ti scade a fine mese, o la rata del mutuo, o la retta della pargola, o gli alimenti alla tua ex, e mentre sei intento, mentalmente, a tutto questo, uno ti si avvicina e con la faccia come il culo ti esplode calmo calmo la domanda sotto il naso, diretta, inequivocabile, inaspettata: Lei sembra Pales ? Senza nemmeno farla precedere da uno straccio di “Scusi”.

Uno che deve rispondere ? Dapprima fa mentalmente l'appello, il punto della situazione....come mi chiamo io di cognome ? No, Pales non mi sembra proprio...Molto probabile che costui mi stia scambiando per qualcun altro. Eppure, nel momento stesso che me lo chiede, chiede il mio concorso attivo, nel ravvisare una certa somiglianza con questo fantomatico sig. Pales.

Perdio, no, io non faccio Pales di cognome, non so nemmeno che faccia abbia questo signor Pales, e lei, si proprio lei, come si permette di chiedermelo ? Che ne so io se somiglio a Pales, ma chi lo conosce ? E poi, posso risponderle di si se nemmeno ho contezza delle sue fattezze ? Ma chi diavolo è ? Un centravanti dell'Atlanta ?

No, mio caro signore, io non sembro Pales. Io SONO io. Pales non so nemmeno chi sia, se abbia o meno la tessera sanitaria, se faccia l'allibratore di contrabbando o l'ammaestratore di alligatori nei weekend, o il bodyguard del Procasma. Mi lasci in pace. E non mi tormenti più con domande del genere, potrei finire, come in una sorta di mantra, maledetto e magnetico (di quei tormentoni dai quali è difficile liberarsi) ritrovarmi a chiederlo a chiunque mi capiti a tiro, cosi, tanto per vedere l'effetto che fa. Nutrirmi dell'espressione allibita che abita gli occhi di chi se la sente rivolgere.

Diobono, Pales...chi era costui ? Un personaggio di qualche film memorabile che nella mia sbadataggine, mi son perso ? Glielo chiedo alla mia gatta...(tanto il lei è asessuato) Lei sembra Pales ?
Temo che un giorno o l'altro la mia gatta, in perfetto accento francese, mi risponda, “oui, Je suis”.

26/10/08

Il colore viola

Naufragar mi è dolce in questo mare. Di viola.
Il viola sta spopolando. Sono viola gli indumenti di quest'anno. Viola è il colore della passione. Viola è il primo colore cui un TG (per la precisione quello del buon Riotta) ha dedicato addirittura un servizio (contribuendo, se possibile, ad allargare il tormentone).

L'altro giorno, poco fuori Roma. Attendo fuori dallo showroom di un cliente che la persona con la quale devo parlare finisca con dei clienti. Sono seduto su una panchina, sotto un pallido sole.
Dopo qualche minuto, escono. Lui un energumeno, fratello dell'omino michelin. Pelato. Lei, una ragazza normale che attende ad una bambina (molto carina) e chinandosi per sistemarle le codine, da sfoggio un collant viola, indossato sotto i jeans.
Pochi chilometri dopo. Da un altro cliente. Entrano due ragazze. Età intorno ai 18. Una delle due, decisamente la più graziosa, sfoggia degli stivali viola, indossati sotto un jeans.

Il viola è dappertutto. E comincio ad averne abbastanza. L'aderenza ad un colore. La sua invadenza, enfatizzata (non le leggo, ma immagino ne siano piene) dalle riviste di moda. Tutte le vetrine hanno almeno un capo di questo colore. Non dispiace, per carità. E' un bel colore, in quasi tutte le sue sfumature. Ma adesso basta. Sta dilagando, e nell'incertezza del momento, rappresenta un codice accettato, ma per le dimensioni autorizza anche letture meno glamour. L'appartenenza, valore di condivisione. Un codice. Cos'è ? La voglia di non sentirsi “out” ? E da cosa nasce ? In genere, da popolo di individualisti, siamo restii ad accettare tali dettami (non foss'altro che per un retaggio: l'ultimo che ci ha imposto il nero non è stato foriero di belle cose). Siamo tutti in viola, quest'autunno. Un autunno viola.


Interessante l'analisi su wikipedia [ http://it.wikipedia.org/wiki/Viola_(colore) ] sulle implicazioni psicologiche legate a questo colore.

25/10/08

il mio amico Piero

la copertina del cd: Upojenie - Pat Metheny & Anna Maria Jopek
Piero è una risorsa. Mi ha affibiato alcune, rare, sòle. Ma in vent’anni circa ci possono stare, non arrivano alle dita di una mano. Per il resto solo grande musica. Garbato, competente, sicuro. Se ti dice “guarda, vale la pena, prendilo” quasi mai si tratta di un consiglio sbagliato, è vero.

Lo è anche in questo caso. Sono entrato dove lavora per prendere (sfruttando un buono) questo libro cui facevo la corte da tempo (ma visto il costo ho tergiversato…). Il cd è rispettivamente nel piatto del lettore di casa, cosi come in quello della macchina, e medito di salvarlo anche in modalità 1:1 su un minidisc per portarmelo dietro, in qualche passeggiata, al tramonto, sull’arenile deserto di Ostia.

Il cd è una specie di chicca. Dato alle stampe nel 2002, da una cantante polacca, Anna Maria Jopek(decisamente dotata di ottima timbrica, e di adeguata avvenenza) che ha “cantato” alcune fra le più belle composizioni di Pat Metheny.

E’ un concentrato di poesia. Predispone al meglio. Calmo, a volte melanconico, altre vivace (sostenuto e impreziosito da inserti asolo di strumentisti che si guadagnano onestamente la pagnotta). Ho appreso, da rapida ricerca sul web, che si tratta di ensemble messo insieme nel giro di strumentisti polacchi. Gente con i fondamentali a posto !

Dev’essere l’onda lunga dell’est. Ho scoperto da poco un altro esempio di contaminazione est europea al femminile, con Ana Popovic. Quest’ultima orientata decisamente su sonorità più easy-blues, ma dotata di tecnica chitarristica degna di nota, nata a Belgrado ha duettato con gente del calibro di Bernard Allison (figlio del più famoso Luther). In un’intervista, alla precisa domanda “perché proprio il blues ?” (volendo alludere, perché proprio il blues, lei che è nata a Belgrado ?)
Candidamente ha risposto: “il blues, per me, è una musica positiva”. Ha le idee chiare !

Mi serve per rafforzare quel concetto che l’intelligenza, rispondendo a sole istanze biologiche, si fa beffe di ogni cortina e/o confine. E il bello (nella sua accezione più pura) è in grado di arrivare da qualsiasi latitudine, nella grande mela che ci ospita, tutti.

22/10/08

Vicky Cristina Barcelona

Appena finito di scrivere queste righe, mi metterò sul web, buono buono, alla caccia delle recensioni più argute di quest’ultimo lavoro di Allen Woody.

Prima però, con gli strumenti di cui dispongo (pochi) cerco di darne qui un’interpretazione la meno corretta possibile.

Il film, si è tentati di credere (dopo averlo visto) sia stato girato da Almodovar. D’accordo, la trasgressione è soft, la fotografia è decisamente migliore (in questo caso) e i dialoghi un tre per cento più involuti.
Non banalizzo, il sostegno al film è una voce fuori campo. Numerosi Soloni delle scuole di sceneggiatura implorano di contenere il ricorso a questo stratagemma condannandolo al sinonimo di una poca robustezza della narrazione. Se c’è bisogno di questo, in altri termini, sembrano dirci, si prende lo spettatore per un cerebroleso, si pecca di ridondanza e tutto sommato si toglie suspance al film.

I dialoghi, invece, sono il punto di forza del film. Che alla fine piace. Risulta gradevole proprio per la assoluta mancanza di “morali”. O meglio, se proprio si volesse leggerne una potrebbe essere, parlando d’amore (sentimento quanto mai scivoloso) “ognuno fa come gli pare”.

Allen accosta, con la capacità che gli è propria (quasi al limite del cronista) le varie forme nelle quali si spendono i rapporti (fra uomo e donna e fra donna e donna). Deve averci messo tutta la grazia di cui dispone perché, come detto, il film risulta leggero, ben scandito sui ritmi (leggermente più lenta la seconda parte) e sorretto da una fotografia impeccabile.

E’ l’amore che, sembra dirci Allen, ha pari dignità a prescindere dalle sfumature che prende. Una coppia artistoide dominata da un vincolo tossico, sottogenere della passione accecante. Il conformismo di due coppie speculari, una giovane l’altra in zona pensione, entrambe alla frutta.
Si salva l’indoddisfatta Scarlett. Si salva perché pur ripetendo ossessivamente a chiunque gli ponga la domanda, “non so cosa voglio, ma so benissimo cosa NON voglio”,
in questo buio inverno dei sentimenti, uscendo dalla sala, questa appare come l’unica cosa certa.
Il resto è mestiere.

20/10/08

Risvegli

Suona il telefono.

Rispondo, dopo aver ricordato a memoria le volte che mi ha svegliato il trillo del telefono.

Pronto ? (una voce da spot pubblicitario da radio privata locale. A basso share)

Si, dico, come meglio posso (infondo stavo occupandomi di tutt’altro).

Lei ci ha inviato un manoscritto ?

Faccio mentalmente l’elenco delle ultime stronzate commesse, e fra queste, con mia viva sorpresa, non risulta nulla del genere.

Dovrei ? – trovo il tempo di dire.

Poche storie, mi fa spazientita la donna di la dal filo. E incalza: L’ha spedito o no ?

Computo, alla velocità del suono (o meglio del pensiero) le possibilità che mi rimangono. Affermativa o negativa, non ne vedo altre: del resto mi hanno appena svegliato, o no ?

Nego. Non so cosa comporti, la voce non mi è nemmeno simpatica. Ha tutta l’aria di appartenere ad una donna con infiniti problemi nella sfera delle relazioni. In particolar modo quelle sessuali.

Quindi non è lei che ha spedito questa roba ?

No, credo proprio di no.

Quindi lei non ha nulla a che vedere con il Signor M.P. (mi dice il nome per esteso) che è venuto qui in ufficio a depositare un progetto di format televisivo ?

A dire il vero, io un format ce l’avrei in mente, sto per dirle. Ma mi trattengo, infondo non è ancora completato, essendo allo stadio larvale.

No, signora, mi deve scusare, probabilmente sbaglia numero.

La donna, arcigna, insiste. Non è suo questo numero (e mi detta, scandendolo, il mio vero numero di telefono).

Si, il numero è il mio, ma qui non c’è nessuno che si chiama come ha detto lei.

Da quanto tempo è titolare di quest’utenza ?
Sto per risponderle con una domanda analoga circa il suo ultimo rapporto, ma trovandolo indelicato, cerco di contenere l’impazienza, perché nel frattempo mi scappa anche la pipì (come spesso, appena sveglio) e non vedo l’ora di raggiungere il bagno. Cosi le dico.

Guardi è il mio fidanzato.
Lei è gay ?
Si, confesso. La vescica sta per esplodere, e costei è una palla mostruosa.
Bene, allora potrebbe cortesemente comunicare al suo….(fa una pausa…evidentemente non è avvezza coi nuovi tipi di rapporto) amico (termine neutro, infondo erano tali anche gli associati alla DC fino al 92, no ?) di telefonarmi appena può ?
Si mi dica il numero, signora – la imploro: se non raggiungo il bagno entro 10 secondi esplodo.
Me lo detta. Poi, sadicamente mi chiede di ripeterglielo. Cosa che faccio, paonazzo, e probabilmente balbettando, finendo di complicare la cosa.
No, è sbagliato - mi dice più indispettita che mai, fa per ripetermelo ma non gliene do il tempo.
Abbasso di malagrazia la cornetta, raggiungo di corsa il bagno, alzo la tavoletta e do libero sfogo alle mie basse vie urinarie.

Il rumore dello sciacquone, di colpo, mi ricorda che la persona che stava cercando ero io.

Richiamerà, mi dico. Mentre mi grullo l’uccello e, uscendo, spengo la luce.
Fa giorno sempre più tardi, adesso.

18/10/08

Il calore del sangue, di Irene Némirovsky

la copertina del libro

Domenica scorsa. Sole pallido, giornata ventosa. Pranzo, piazzo la sdraio in giardino (debitamente coperto da autan), metto sul pc una compilation di brani di Joni Mitchell dalle elementari ad oggi, spengo tutti i telefoni, e come una lucertola mi appresto alla lettura di questo volumetto.



E’ bello questo lavoro della Némirovsky, e ha una storia sofferta. Scritto durante l’esilio parigino, quando già il presentimento della deportazione era forte nell’aria, mentre la scrittrice si trovava a Issy-l’Eveque, lasciato incompiuto fino ad un paio d’anni fa, quando la figlia, Denise Epstein, rinviene casualmente i manoscritti con la parte finale, regalandolo (è il caso di dirlo) ai suoi ammiratori.

E’ una storia soave e dura, nella quale stavolta, piuttosto che il paludato mondo della borghesia di città, la Némirovsky si addentra nel microcosmo di un paese di campagna, popolato di figure che sembrano aver un rapporto perverso col proprio destino. Ognuno dei protagonisti, si tiene in forza di una propria identità sociale, fortemente radicata nell’ancestralità rurale. Accanto alla terra, le fortune di alcuni, come le disgrazie di altri, sembrano avviluppate le une alle altre, senza soluzione di continuità, ed è bravissima l’autrice a rendersi capace di trasferirle fedelmente, arricchite da un’introspezione psicologica degna di nota. E’ l’amore, il tema conduttore. L’amore che travalica le regole, dei matrimoni imposti (diffusi quelli d’interesse), che si fa beffa dei destini preordinati, da famiglie dedite alla terra, ma incapaci di trattenere l’anelito a darsi che è il portato del sentimento nella sua accezione più passionale, imprevedibile.

Un piccolo gioiello, che dopo la lettura anni fa de Il ballo (già recensito qui e qui), mi sollecita a prendere coraggio e ad attaccare anche i suoi Jezabel e soprattutto la tanto decantata Suite francese, che albergano ancora, in attesa, sugli scaffali di casa.

Adelphi, trad. di Alessandra Berello
risorse:
sito della scrittrice
tutti i suoi libri pubblicati in Italia

13/10/08

Peso leggero, di Adam Oliver


Ho preso questo libro, perchè sulla copertina c'è un guantone rosso, come quelli che uso io, per divertirmi, col sacco da 30 kg. appeso in garage. E poi perchè mi piacciono le storie che parlano di pugilato. Oliver Adam è francese, ed è giovane. Le due cose non sono necessariamente in conflitto.
E la sua scrittura odora troppo di Camus.

L'ho finito, mettendoci comunque troppo, letto nelle pause d'attesa, in auto, mentre aspettavo che aprisse un cliente, o in rari momenti di pace, sul divano.
Ho letto poi, nel frattempo, anche altro, ma la cosa che mi ha stranito di più, in merito a questo testo, è stata una recensione uscita sul supplemento del Sole24ore di qualche domenica fa, a firma Giuseppe Scaraffia, che titolava “Lo scrittore sale sul ring”.
Uno strano articolo: per tre quarti speso a rimembrare il rapporto che ha legato il mondo della noble art a scrittori eccellenti, da Heminghway a Jack London, passando per Camus e citando lavori di altri scrittori Carol Oates (sua la biografia di Mike Tyson, che lessi anni fa), e potrei continuare citando i racconti dai quali Clint Estwood ha tratto il film Million Dollar Baby, scritti in modo impeccabile (in pratica, quasi una sceneggiatura) da un semisconosciuto F.X.Toole (“Rope burns” poi malamente tradotto in “Lo sfidante”).
Grave l'assenza, da quest'elenco, degli splendidi racconti di Thom Jones (editi sempre da minimumfax, su tutti, la raccolta “Sonny Liston was friend of mine”).
Del libro di Adam, solo tre parole, verso la fine dell'articolo.

Non mi ha esaltato. Come dicevo, forse questo tipo di scrittura prim'ancora che diventare un “genere” malignamente chiamato scrittura o scrittore “da minimumfax”, ossia una prosa rappresa e scarna, vagamente cinematografica, gradevole ma non necessariamente un capolavoro. alludendo con ciò quasi ad uno stilema, subito smentito però, perchè per gli stessi tipi hanno pubblicato anche altri grandi della letteratura, penso a Carver, su tutti, ma anche Wallace e Richard Yates.
Il rimando a Camus, sicuramente non voluto, è nell'assenza di prospettive, nelle scene al cimitero, nei ricordi della morte dei genitori, si intravede nella crisi del protagonista, speso fra il ring, un lavoro presso una ditta di pompe funebri, il rapporto con l'alcool, il suo coach, e Su, la donna che vorrebbe sposare, il rapporto con la sorella, alla quale è molto legato e un fratello, defilato, col quale non è mai corso buon sangue. Scenari di periferia parigina, melting-pot d'oltralpe, nei fast food etnici, nelle solite palestre “puzzolenti di sudore”, nelle banlieue bagnate dalla pioggia. Una discesa agli inferi narrata con palesato distacco, ai limiti dell'autocompiacimento. La prosa, ai confini col diario, una narrazione come detto, spoglia, senz'enfasi. Niente di che, insomma. Non scalda !


Spero di ricredermi con i suoi racconti, che ho preso, e che sempre per lo stesso editore, sono usciti con il titolo “Passare l'inverno”.
Visto il periodo, mi sembra già solo per questo un titolo azzeccatissimo.

06/10/08

Dove vanno i soldi ?


La domanda è meno stupida del previsto.
A porserla, credo, siano in tanti in queste ore.
Non ho mai nutrito particolare simpatia per la borsa. Meccanismi poco chiari, e su tutto, un'idiosincrasia per regole, formule finanziarie e affini.


Resta il fatto, che in attesa di un nuovo Steinbeck, che ci canti l'epopea della crisi attuale, siamo sommersi da tonnellate di informazioni che ti viene da chiederti anche a quale scopo siano erogate.


Eppure, la vita, apparentemente, sembra scorrere comunque. Uno esce, lavora, va in un supermercato, compra sempre meno roba con sempre più soldi, fa fronte ai suoi costi (bollette, rate varie ect), fa una fatica del diavolo per arrivare a sera e cercare di dormire con la coscienza a posto di non aver mollato sòle a nessuno, e viene aggredito dall'ansia.


In questi giorni, non c'è telegiornale, quotidiano, che non spari notizie a dir poco allarmanti sull'andamento delle borse mondiali. Quando sento dire, “in un giorno bruciati tot. Miliardi”, mi viene da pensare a qualche pazzo birbone che, armato di pala, alla stregua del carbone che alimentava le caldaie delle vecchie locomotive, impali migliaia di mazzette di danaro per darli in pasto, che so, ad una caldaia stregata. In fumo ?


Il valore assegnato ai soldi. 100 euro. Per chi si fa un culo come una casa valgono tot. Per chi, abituato ad averne, sparati magari per qualche grammo di coca, valgono quanto ?
Allora, quando sento questo verbo “bruciare”, scacciata l'immagine del clown impazzito che li spala per inforcarli in qualche caldaia, subito dopo, prepotente, insopportabile e irrisolta, si fa strada la domanda “si, d'accordo, ma dove sono finiti ?” e “perchè prima c'erano e adesso non ci sono più ?”.



Il sospetto che si trovino da qualche parte, a casa di qualche lestofante che si diverte ad appropriarsene legalmente (sentite stasera le richieste del PM per Tanzi, 13 anni senz'attenuanti, ma dov'erano quei galantuomini della Consob nel mentre ?) è molto forte.


Una economia drogata, gente che fa soldi con prodotti finanziari che scommettono sull'andamento negativo delle borse...roba da far impallidire la propensione al rischio costituita da due colonne col superstar a 2,50 €. al martedi, al giovedi e al sabato.
I soldi, e le banche che li vendono.


Alla fin fine, solo solo una merce.