31/10/11

This must be the place (di Paolo Sorrentino)

david byrne, l'uomo che incosapevolmente ha fornito un ottimo titolo al film







Staccato il biglietto ieri sera.
Cosa mi è piaciuto: la colonna sonora. Cosa non mi è piaciuto: l'indugiare, un po' troppo compiaciuto della fotografia su certe inquadrature ad effetto oleografico.

Per il resto, sembra un film diretto da un allievo di Win Wenders. Imbastito su un plot essenziale quanto semplice nel suo ingranaggio. Sean Penn tiene il film con la sua improbabile maschera di rocker in pensione. E' la storia della sua catarsi, un viaggio terapeutico da abc della psicologia.
Intorno alla figura di un padre, al capezzale del quale arriva quando è già morto da poco. E intorno al desiderio di vendicarne un umiliazione. In mezzo, personaggi (che c'entrava lo spottone sul pur bravo David Byrne ?) micro storie, ma trattate in modo soft, acquarellate, e che danno la terribile sensazione di esser messe li, come certe spezie quando vuoi cucinare un arrosto appena ricercato.

Nonostante tutto questo, il film si lascia vedere, proprio in forza di questa “leggerezza”, sostenuto da una preparazione a puntino del responsabile delle location e del casting.

Cosa c'e' da dire, che non conoscevo Sorrentino, questo è il suo primo film che vedo. Se questo è lo stato dell'arte del cinema “italiano”, non c'è che da plaudere. La presunta mancanza di personalità, aderendo a modelli e tematiche e a veri e propri modi di raccontare per immagini una storia che appartengono a registi a la page lasciano presagire il rischio di trovarci tante Sofia Coppola dietro la macchina da presa. Cosa che personalmente non mi sembra molto felice.

risorse: qui la title track della colonna sonora (meritevole)

17/10/11

Quanti DVD sull'antica Roma si comprano con 42 euro ?

corsa con le bighe, senza centralina taroccata
















Succede che per andare al lavoro sia costretto a transitare da un semaforo i cui tempi potrebbero senza alcun affanno definirsi biblici. Succede che durante una di queste dilatate pause l’occhio vaghi all around, vagamente annoiato e poco prensile, ansioso solo di vedere la luce verde manifestarsi sul palo che ti sovrasta. Mentre vaghi intorno con gli occhi e con la mente, succede ancora che i primi si soffermino sull’immancabile cartellone pubblicitario (durante un corso di comunicazione tanti anni fa, il docente si era divertito anche a dare una stima (per difetto, diceva) di quanti di questi messaggi ci vengono indirizzati, al giorno. Parlava di 3000). Avete letto bene. Nel mucchio metteva quelli stradali, radiofonici, sui giornali, e ovviamente, televisivi.

Bene, non so quanti di voi l’abbiano notato ma da giorni Roma è invasa da cartelli che pubblicizzano questo spettacolo (metto solo il link qui per non fare pubblicità). Curioso come una biscia, ho completato l’opera andando a compulsare il sito istituito ad hoc.
Mi lascio abbindolare dalle suggestive “Impression” ben risaltate in home page. Le fonti appaiono credibili, e tutto sommato, nel mio immaginario malandato, vedere da vicino un “kolossal” (cosi viene definito) è cosa che mi incuriosisce non poco, coltivando l’ambizione molto segreta, direi segretissima, di divertirmi a produrne uno prima di scivolare in un confortevole cappottino di legno, all’ombra di qualche ridente cipresso.

Fatto sta che compulso le prevendite online, ne individuo una a non troppi chilometri di distanza e per la modica cifra di 39,90 più immancabili “diritti di prevendita”, altri 2 euro, fanno 42 euri scarsi a biglietto. Ne prendo un paio. (A cose fatte ringrazio l’avvedutezza di mia figlia, la quale sia pur invitata ha cortesemente declinato).

Intanto la location. Nuova Fiera di Roma. Per i non romani, una cosa comica costruita in fretta e furia, in una landa desolata, servita peggio di una località cecena, lungo l’autostrada Roma-Fiumicino. Va bene, immaginando la necessità di ampi spazi, giustifico la scelta come sensata, con buona pace dei non possessori di automezzo proprio. Poi la fascinazione del numero delle comparse, le coreografie, e insomma tutto ciò che concorre a definire lo spettacolo come “evento imperdibile” pregno quanto basta di quel senso di novità ed equivoco che ha la capacità di incantarmi come davanti ad un addestratore di serpenti.

All’ora stabilita (le ventuno di sabato), mentre ancora nel centro fumavano le carrozzerie delle auto dei malcapitati, varco la landa desolata intuendo qualcosa di anomalo già nella facilità di trovare parcheggio (va detto che l’allegra combriccola di buontemponi dei vigili di Fiumicino, alla stregua di squali, ripiana a mestiere le casse del suddetto comune, grazie alla puntuale punizione di coloro che osano parcheggiare fuori dagli spazi consentiti in occasione anche di fiere minimaliste, come quella del beluga indocinese, o del doberman ispano-latino, grazie alla sapienza di chi ha progettato i parcheggi, che con animo filatelico potrebbero essere stimati come francobolli, e quindi facilmente saturabili). Indomito vado avanti. Percorro distanze significative, in quest’atmosfera spettrale, quattro gatti, freddo inaspettato, fino all’ultimo “capannone” nel quale è situato lo show.

Arriviamo, entriamo in una sala enorme, con pochissima e strana gente sulle tribune. Fa ridere avere un posto riservato sui biglietti, stante la desolante sensazione di essere davvero in pochi.
In breve, lo spettacolo ha inizio. Su questa distesa di sabbia (a proposito grazie al genio di chi ha pensato ad un trattore a motore per spianare la sabbia fra il primo e il secondo tempo, con un mezzo dotato di motore a scoppio in un ambiente chiuso) si esibiscono decine e decine di brave e oneste comparse che "danno il fritto", come si dice a Roma, anche difronte a spalti che ricordano quelli dell’opposizione durante il voto di fiducia del giorno prima, se non fosse per quattro radicali (ovviamente chic, visto lo spettacolo) rappresentati da noi appollaiati sulle tribune.

La storia: Messala e Giuda Ben Hur. Un’amicizia interrotta. Il primo centurione romano, l’altro gaudente giudeo. Giocano e scherzano tutto il tempo (diciamo qiasi tutto il primo tempo) per poi dividersi e farsene di tutti i colori nel secondo. Non la faccio lunga: il primo fa carriera. L’altro no, diventa un capopopolo e in quanto tale subito represso e trasportato nelle patrie galere, a bordo appunto di una galera (bellissime, quelle si, le scenografie). La galera fa naufragio, e si salva solo il nostro Ben Hur con un Generale romano che promette di adottarlo, posto che riesca a portare le chiappe in salvo a Roma, e farlo diventare un uomo libero. Nel frattempo la madre e la sorella di Ben Hur vengono ingiustamente carcerate in Galilea. Il Generale fa di Ben Hur un capo-popolo, poi non ho ben capito come, si rincontra con il suo ex amico Messala e sono scintille. Ben Hur fa ritorno, non chiedetemi come, devo essermi distratto, in Galilea dove sfida in una corsa con le bighe, su suggerimento di un ricco mercante arabo, il suo ex amico Messala. Immaginate pure come va a finire, Ben Hur vince e quando sta per finire con la dacia in mano il suo ex amico si rammenta delle parole di un uomo strano, incontrato per caso anni prima, che andava predicando peace and love fra le genti della Galilea. Lo salva, e di riflesso, un miracolo fa guarire dalla lebbra, come nemmeno Veronesi saprebbe come, la madre e la sorella che l’avevano contratta mentre pativano ingiusta detenzione.

I quadri sono suggestivi, lo sforzo coreografico degno di nota (ingegnose alcune soluzioni su trabattelli mobili). La voce guida è di Luca Ward, che mi dicono sia un apprezzato attore italiano di soap-opera. I titoli del testo sugli schermi sono in inglese e gli attori parlano un mix di tedesco e giudaico. Ce n’e’ per stare svegli tutto il tempo. Anzi tutti e due.
Cosa che ho fatto, non riuscendo però nemmeno ad incazzarmi per l’amabile modo col quale imboccato nella sòla (per i non romani: fregatura). Lo spettacolo dura in tutto due ore. Intervallate da un lungo intermezzo necessario a ripianare la sabbia con un trattore a motore. La corsa delle bighe merita il biglietto non foss’altro per la bravura degli stunt-man che le conducono. La cantante ha qualità modeste, e le musiche, sebbene di Copeland (ma chi ? quello dei Police ?) non indimenticabili.

Considerazioni: Uno spettacolo cosi, prodotto da tedeschi, viene proposto a Roma. Ora io non so quanto l’organizzazione sia “rientrata” dall’investimento. Le comparse costano, la biada per i cavalli pure. I biglietti a giudicare dagli spettatori presenti, a malapena giustificherebbero una cena elegante per due sul roof garden dell’Hilton. Forse andava meglio come location il nostro vero Circo Massimo ? Rientreranno con le immancabili “gite scolastiche” ? (probabile che un adolescente resti stupito e abbia di che incuriosirsi decidendo, dopo, di prendere in mano o un testo di storia dell’antica Roma o un Vangelo, o tutte e due). Insomma, chi me lo ha fatto fare ?
Direte che l’animo arido di chi si approssima ad una vecchiaia accidiosa come quella del sottoscritto è incapace di scaldarsi per siffatte produzioni.
Contavo in qualcosa di più lisergico, e statene certi, dovendo mettere mano prima o poi ai miei insani propositi, sarà quello l’orizzonte praticato.

Quanti DVD dell’Istituto Luce si comprano con quarantadue euro ?