29/03/09

Diario (dell'ultima settimana)

Ford, Gran Torino








Lunedi
Si continua a morire, per strada. Su una strada che percorro spesso, ed in un orario (le 21) che non ha impedito, stando alla ricostruzione (confusa) della dinamica dell'incidente, ad una Xantia condotta da un uomo che risulterà positivo ai test sia narco che alcolici, di saltare uno spartitraffico di alcuni metri, costituito da un'aiuola, e di piombare, si dice a 170 km/h, su una panda a bordo della quale due uomini intorno ai trentacinque anni, hanno perso la vita (tornavano o andavano ad una partita di calcetto). Queste le parole che ho trovato cercando, via google, "more info about", come si dice a Vercelli. Fuor di ironia, quando qualcuno fa notare che è letteratura (inconsapevole ?) anche una lista della spesa, ho trovato agghiaccianti (in termini di scrittura) queste frasi (non me ne voglia l'estensore se copio-incollo):


“Non sono morti carbonizzati. Non scrivete inesattezze, per favore. Sono stato il primo ad intervenire (volontario di protezione civile), ed ero in zona per andare da un'amica. L'incidente era appena accaduto. Nella Citroen erano in due, ed il passeggero è morto per emorragia interna dopo che i vigili del fuoco e i soccorritori del 118 l'hanno tirato fuori, perché era incastrato dal sedile contro il cruscotto che gli si era conficcato sotto al costato. Io ci ho parlato per tenerlo sveglio fino all'arrivo di vvf e 118, così come ho fatto con Francesco, il ragazzo che guidava la Panda e che è morto insieme al suo amico seduto accanto schiacciati dal motore della macchina che nell'impatto è venuto indietro. La macchina NON HA preso fuoco, e loro sono morti poco dopo che ci parlavo io. La morte è stata dichiarata da un medico del San Camillo che stava tornando a casa e passava su via Newton come me. QUESTA è la realtà dei fatti.
Giovedi
Booktrailer a Roma.
Volevo farne un post a sé, e si che la gran mole degli appunti me l'avrebbe consentito. Niente, per ora, ci tornerò su. Bella serata, creata da quella dama infaticabile che risponde al nome di Annarita Briganti, ma come si dice a Roma, le chiacchiere stanno a zero. Il booktrailer, questo sconosciuto. Si sta ancora definendo. Ma le discussioni, e gli incontri come questo, servono. Servono per definirlo. Fra chi lo interpreta come un modo per promuovere la vendita di un libro, e chi vorrebbe dotarlo di una sua dignità, il divenire di questo strumento si carica di tutte le incertezze che accompagnano chi lavora nella cultura, in questo paese. Singolare, ad un certo punto della serata (che per tutta la prima parte ha potuto vantare il raro primato di non aver fatto vedere nemmeno un booktrailer, tanti gli argomenti sui quali i presenti si sono misurati), sia emerso lo scarto fra chi vuole che i libri (i propri ? tutti ?) si leggano e chi si accontenterebbe di venderli). Fra sentenze tutte da confutare (“I libri ? In televisone non vanno”: citando autori televisivi della paleoRai), e battute di spirito (grande Peppe Fiore che ha parlato del suo prossimo “La classe dirigente del paese”) Prosecchi troppo poco freddi e universitari in libera uscita, hanno fatto il resto..

Venerdi
Una commessa di un grande magazzino: “io esco alle sedici”. Incamero l'info, interrogandomi sul probabile utilizzo ? Vuole un passaggio ? Ha bisogno di rendere evidente la sua disponibilità ? Alcune donne, passati gli anta, sono come il vino buono, cosi come le capacità organolettiche anche lo charme aumenta. In serata riesco, finalmente, a vedere Gran Torino, di Estwood. Gran bel film, e sopratutto, grande interpretazione. Vedi sopra: invecchiando, 79 primavere, il buon Clint continua a regalare sorprese e chicche, che ti fanno uscire dalla sala più vivo di quando ci sei entrato.

Sabato
Cattiva informazione. “Le destre sono un pericolo per l'avvenire” senza occhiello.
Modo onesto di titolare, da parte della redazione di corriere.it un articolo di Vargas Llosa, (che poi, integralmente, è pubblicato oggi nell'inserto del Sole24ore) che parla si di pericoli derivanti dagli integralismi destrorsi, ma di ben altra parte del globo: il medio oriente. Poi prontamente corretto. Come risulta qui, riferendolo, come intendeva Llosa, ad Israele e non all'Italia.


Domenica
Prendo in mano la Stampa di ieri (tuttolibri è un must). Non nell'inserto, ma nelle pagine di economia leggo un articolo :“E Passera produce tre “corti” con Olmi, Salvatores e Sorrentino”, l'occhiello, “finanziati tre minifilm all'insegna dell'ottimismo”.
(qui altra notizia). Come chiamarli ? Factory-trailer ? Economy-trailer ? Spogliato da qualsiasi vetusta definizione, prendo per buona una tendenza imperante: il linguaggio cinematografico (come per i booktrailer) è individuato come il più facilmente ricettivo. Una tendenza, che tradisce tutta la necessità di immediatezza rivelando, insieme alla sua potenzialità come conduttore di messaggi, anche quella di grande stimolatore di suggestioni. E di manuali con istruzioni per l'uso, adeguati, non che se ne vedano molti in giro.


Per finire: La battuta (amara) della settimana (sentita dai banchi di un mercatino rionale) "qui in Italia di legale c'è rimasta solo l'ora".

21/03/09

Smettetela di litigare

Oggi, transitavo in macchina sulla Colombo, poco dopo l’Eur.
All’uscita di una curva è apparso, nello splendore del 4x2 (la mai dimenticata giunta Veltroni volle ridurre a queste dimensioni i fantastici 6x3) questo manifesto:








Esortativo, ai limiti del perentorio, diciamo al confine di entrambi.
Si avvicina la Santa Pasqua, il Papa è in tournee, ma a Roma c’è chi non lo fa rimpiangere.
Dopo questo curiale invito, che sulle prime potrebbe anche esser rivolto alla cittadinanza tutta, per la sua apparente genericità, come non vedere tutta la "geometrica potenza" della convergenza di più piani comunicativi ? (non ultimo quello subliminale che porta a chiederti d’istinto…già, ma con chi diavolo sto litigando io ? fino al tormentone deniriano…stai dicendo a me ? stai parlando proprio a me ? con chi ce l’hai ?).

Dai ragazzi di “Amici”, alle liti per un parcheggio, per chi tenta di fotterti il posto in fila, alle coppie alla frutta. litigare stressa, e l’Ira, prim’ancora che il nome di una formazione irlandese (che suona tutt’altro genere di strumenti, ultimamente) risulta ancora essere uno dei sette vizi capitali più gettonati.

La colomba con il ramoscello d’ulivo nel becco, la scelta del colore, un bianco disarmante (appunto), da risalto al messaggio, in rosso. E’ talmente insolito che non so se salutarlo come una trovata alla Grande Fratello (qui nell’accezione orwelliana) o un modo come un altro per aumentare la propria visibilità. La firma, in calce, e in corsivo (amichevole ?) Pier F. Casini, in questo senso, lascia pochi dubbi.

Sempre meglio che n'par de chiappe o di un divano, no ?

Notturno (again)

Continui a sognare di questo benedetto ascensore nel quale hai sentito il bisogno di salire, nel sogno, e di schiacciare, chissà perché, il bottone corrispondente all’ultimo piano.
Arrivato al piano, però, in barba alle leggi della fisica (con le quali accetti di non aver avuto mai ottime relazioni) l’ascensore se ne fotte delle tue prescrizioni e continua, indefesso, a salire.

Poi ti svegli, scendi i gradini malcerto, che ti conducono nel locale che chiami ancora cucina (teatro di furiose litigate quando questa casa era popolata intensamente: una moglie e una figlia).
Cerchi dei lamponi surgelati nel freezer, e se non sono proprio lamponi deroghi su more e altri frutti di bosco che la fruttarola zinnona e con pochi denti asserisce provengano da serre qualificate.
Deponi l’ammasso ghiacciato con perizia consumata nel mega bicchiere del frullatore (sebbene da qualche parte devi aver letto che le fibre, in tal modo, vanno a farsi benedire e con esse qualsiasi loro residua efficacia). Cerchi il latte, puntualmente scaduto da qualche giorno.
Impavido ne versi dal tetrapak al bicchierone del frullatore ciò che ne resta.
Afferri il barattolo dello zucchero come il miglior barman che chiacchierava con Nicholson dal banco dell’albergo di Shining. Ne versi una dose che stroncherebbe, con la grazia di un valzer, un malato di diabete. Te ne fotti, tu non lo sei ancora. In modo pressoché automatico tenti di individuare il bottone cardinale: ON-OFF. Per il resto è notte, tre di mattina o dintorni.

Ritieni, sostanzialmente, che il diritto di spararsi un frullato a quest’ora, accentui quel senso di libertà che vagheggi. E vantando l’orgoglio consapevole di un qualsiasi onesto contribuente premi quel dannato tasto con l’autorevolezza di Boulez qualsiasi, davanti alla sua orchestra.

Silenzio.
Qualche cane latra in modo aritmico dal giardino dei vicini. La luce illumina, indifferente la scena come nemmeno Hopper. Tu sei in pigiama, espressione oscillante fra il disappunto e la sorpresa, fresco memore dello spagheggio provocato dall’ascensore-matto dal quale sei appena sceso e non ti capaciti. La prendi a ridere, all’inizio. Ti sforzi di considerare tutto ciò un cascame, maleodorante, dell’incubo di poco prima: cazzo fai, non funzioni ?
Ti appelli ad un briciolo di senso logico, per dio. Ora perché non funzioni, stronzo ? dici al frullatore che ti ha regalato zia Albertina commossa per il tuo stato di salute, suggerendotene l’uso e magnificandone l’utilizzo a cadenze regolari. Ti lanci nel gioco senza senso di indovinare dove lo possa aver comprato: scarti ebay (Zia Albertina sta ai Pc come Renzo Piano alle curve di Valentino Rossi), propendi per il mercato domenicale di Porta Portese, sostenuto dal fatto che si sta velocemente concretizzando nel tuo macerato cervello la consapevolezza che devi avere da qualche parte riposto anche l’immancabile libretto d’istruzioni (posto che, in un sussulto di sopravalutazione delle tue capacità tu le sappia interpretare correttamente e che abbia uno straccio di sezione che ricordi, potrebbe chiamarsi Trouble resolution, o Disclaimers, o ancora FAQ, frenquently asked question).

Ti lanci nel passato, apri cassetti che da anni non vedono luce: spaghi, elastici per fermare capelli femminili, pennarelli esausti, nastri adesivi scatole di medicinali scadute, e ancora mollette, guarnizioni di caffè, puffi in miniatura, un matterello. Poi, trovi il libretto, lo intravedi seppellito da tutta questa roba, allunghi la mano trionfante, convinto che esista un dio qualsiasi che alle tre di mattina, dalla sua cabina di regia, disponga le cose in modo a te leggermente più favorevole.
Lo apri.

E’ scritto in ideogrammi giapponesi.

Tenti di trovare una soluzione definitiva, lanci un search nel tuo cervello per fare appello a qualche conoscente che ne sappia tradurre il senso. Ti sovviene un'amica, conosciuta da poco. Bizzarra quanto basta ma stimi che a quest'ora, per bizzarra che sia, abbia poca voglia di intrattenersi con te al telefono. Fin quando non lo fosse, e al contrario, manifestasse tutta la sua solidarietà cercando di aiutarti ti arresti definitivamente ricordando che non dispone di fax, e tu non sei in ufficio, e sopratutto, hai una conoscenza prossima allo zero, del modo nel quale vanno letti.

Rovesci il tutto nel wc. Spegni tutte le luci. Ripercorri al buio le scale chiedendoti mentalmente se non sia il caso di farsi installare in casa un'ascensore, provvidenziale in situazioni come queste. Ma il terrore possa disattendere le tue istruzioni, come il suo gemello del sogno, ti fa desistere.

Domani, cerchi di ricordarti, appena sveglio, qualunque sarà il tuo stato d'animo, consulterai la tessera punti della giesse. Aprirai quel catalogo dei premi, tempestato dai ghirigori che scrivi quando sei al telefono, e con tutta la grazia del mondo, verificherai se c'è e quanti punti sono necessari per aggiudicarselo, un frullatore (pazienza se anche di dimensioni più modeste rispetto a quello di zia Albertina). Dopo, ma solo dopo, e con l'unico intento di soddisfare quella dannata indole snob che non t'abbandona, cercherai un corso serale di giapponese, e inviterai a cena la tua amica, vergandole, con grafia netta e minuta, un invito scritto in kanji.

Tiri su le coperte. Ti giri di fianco. I cani hanno smesso d'abbaiare. Forse sogni, forse non hai mai smesso.
Richiami l'ascensore.

(ispirato da ln1, a cui sono grato).

19/03/09

Principianti, di Raymond Carver



Pomeriggio, aria tiepida, appuntamento dal dentista. Il dentista è uno forte. E' una persona che dev'essere ossessionata dall'agenda. Cosi ama far telefonare dalle segretarie per spostare appuntamenti presi da una settimana, anche solo di quindici minuti, quando va bene di mezzora. Transito davanti alla vetrina di una libreria, piccola coraggiosa libreria, ad una vetrina, fornita come può. Ma con una vetrina furba. Eccolo, è uscito. Entro, lo prendo (c'erano tre copie in tutto) ed esco.
L'evento dell'anno. Un libro che attendevo dallo scorso autunno, quando ho scritto questo pezzo qui.
Arrivo dal dentista. C'è da attendere, mi dice una segretaria. Mi metto sul divano (adoro leggere nelle sale d'attesa...va a capire perchè). Mangio l'introduzione sorvolando sul sospetto si tratti di un'operazione non proprio trasparente della vedova. Arrivo al primo, “Perchè non ballate ?”.
Lo divoro, e non posso fare a meno di violare con la penna le frasi che a braccio mi sembrano diverse dalla versione dello stesso racconto fin qui conosciuta (quella per intendersi, ascritta ai pesantissimi tagli di Gordon Lish).
Sono poche pagine. Scorrono, e nonostante noto alcune riflessioni fuggevoli dell'autore, che mi sembra manchino nel testo precedente, non posso fare a meno di emozionarmi. Forse è suggestione, forse sono caduto con tutte le scarpe nel giochino di Tess, ma non ci riesco: sento che sto per mettermi a piangere.

Un botto, a svegliarmi. Ad una signora che dialogava con le segretarie, appoggiata sul banco della reception cade una, evidentemente pesantissima, borsa.
Mi sveglio. E' il mio turno. Una ragazza, in camice, mi chiama.
Chiudo il libro, ripromettendomi di riaprirlo appena possibile. Perchè voglio capire perchè.
Perchè a me quest'autore fa venire da piangere. Forse mi compenetro troppo nelle sue storie, nel suo modo di raccontarle, scriverle.
Sto piangendo, adesso.

15/03/09

Un'altra domenica (no, non è una rubrica)
























Dice, hai un blog. Assurgi, aggratis, a censore senza averne i titoli.
Vero, ma da questo moderno sgabellino stile Hyde-Park, e a beneficio dei transitanti (le statistiche sono impietosamente in basso) mi diverto a segnalare le cose che proprio no, non ce la faccio a veder passare, nemmeno munito della più incondizionata e democratica acquiescenza.

Piazzisti.
Fabio Fazio, rivolto al pubblico, subito dopo l'intervista al teorico francese della decrescita, Latouche “Guardate, vi consiglio sinceramente questo libro”. I librai ringraziano.

Critici.
Il buon Riotta “ci rifà”. Tg1 dell'ora di pranzo, oggi, domenica. Stila una simpatica lista “Off-On”. Lecito, per carità. Almeno lui, a differenza di Mollica (che trova tutto “fantastico, imperdibile, capolavoro”) ha il coraggio di stroncare. Pazienza se insiste con Bolano (ringraziano,nell'ordine: la Sellerio, che ha pubblicato quasi interamente le sue opere, e buon'ultima Adelphi, che ha impresso i due tomi che non gli sono proprio andati giù, "2666"). Ripeto, il mondo è bello perchè è vario, ed esiste la libertà di pensiero (sebbene proprio per Internet non si preparino tempi allegri), ma è la motivazione della stroncatura di Bolano che è singolare: “è un libro scritto per gli intellettuali”:
Ora, se c'è una persona al mondo che ha in uggia codesta categoria è il sottoscritto. Ma trovo ingeneroso e superficiale definire cosi 2666 che a mio avviso è un libro talmente onesto che già verso pagina 50 del primo tomo ho rallentato perchè rosicavo: era il libro che avrei voluto scrivere io, solo che in luogo dello scrittore “ignoto” Arcimboldi, il mio avrebbe narrato le gesta e l'operazione di recupero dell'intiera produzione letteraria di Alex Fringberger da parte di alcuni prodi letterati, suoi esegeti.
Di una comicità raffinata, ma talmente raffinata che dev'esser sfuggita a Riotta.

Eurcine, Roma.
Non so per quale motivo continuo ad andarci, di sabato sera. E' una sala che ha il pregio di proiettare pellicole che vedrei volentieri. Ieri sera era il caso di Gran Torino, ultima fatica di Clint Estwood. Impossibile. Per motivi che mi sfuggono, pur vendendo un numero di biglietti corrispondente al numero effettivo delle poltrone presenti in ognuna delle sue quattro sale, la Direzione si ostina a non volerci mettere su uno straccio di numero. Questo comporta il rito medioevale della calca. Non ti salvi nemmeno avendo l'accortezza di acquistare con congruo anticipo i biglietti. L'accesso alla sala si accosta, per intensità degli afrori, per caloroso senso della prossemica, al nastro di partenza di una qualsiasi maratona. Peccato.

The Wrestler.
Vista l'impraticabilità della sala suddetta, ho optato per un cinema multisala poco distante. Qui, forse col retrogusto d'amarezza dovuto alla mancata visione del predetto, nonché dal disappunto di non trovarlo anche qui in programmazione (ma sembra che a breve passerà), ho visto The Wrestler.
Fenomeno che osservo da qualche anno, inserendo di fisso un ex wrestler (Van Larson, ora mite conduttore di una tappezzeria sull'Anagnina), nelle puntate del Procasma. Ho avuto un ghigno satanico quando, nella pellicola, il bravo Mickey Rourke affronta un altro wrestler armato di pistola spara puntine, come quelle usate appunto dai tappezzieri. Il film va visto solo se si accetta di entrare in sala con lo stesso stato d'animo di chi prende in mano un fumettone. Oggi ho letto una critica ragionata di Escobar, (sul Domenicale del Sole24ore). Nonostante i suoi interessanti commenti, che hanno avuto il grande pregio di nobilitarlo, sono uscito dalla sala chiedendomi di quale sostanza stupefacente abbiano fatto uso i giurati del festival di Venezia, preferendo al film di Avati, Il papà di Giovanna, questa storia scarna, senza pretese, girata male (e che palle co' sta camera a spalla...almeno datela in mano all'operatore dopo adeguato test etilico) e che si regge per la superba interpretazione di Rourke e la statuaria bellezza della bravissima Marisa Tomei (già apprezzata nell'ultimo di Lumet, Onora il padre e la madre).

risorse: QUI (dove si legge, al di là dell'autorevolezza, che per fortuna ancora qualcuno apprezza l'umorismo intelligente)

13/03/09

Cosmic Spam











La notizia si presta ad amare considerazioni. Lo spazio stellare, quella cosa che almeno ciò che resta del mio intelletto fa fatica a dimensionare, per incapacità, per cattivo rapporto col concetto di infinito, per quel senso di vertigine che inevitabilmente porta con se, ebbene da ieri risulterà un po’ più familiare.

Detriti spaziali, no non sto parlando dei giocatori dell’Inter (né di quelli della AS Roma, che di spaziale, al momento, hanno solo la sfiga), hanno minacciato la permanenza di tre nostri simili (intesi qui nell’accezione “esseri umani abili e pensanti”) temporanei ospiti (ma da quanto tempo stanno lassù ?) della stazione orbitante “Iss” (che detta cosi sembra l’acronimo di qualche grazioso decreto ministeriale per la salvaguardia dei lombrichi nani del Polesine).

Si consolino coloro i quali hanno avuto in sorte la sventura dell’apertura di una qualche discarica nei pressi dei loro domicili. Proprio laddove qualche bizzarro buontempone, anni fa, ebbe a pensare di spedire la spazzatura altrimenti incapace di trovare collocazione sul patrio suolo, hanno dovuto far evacuare, in fretta e furia, gli occupanti della Iss per evitare anche il più remoto dei rischi di collisione con un pezzo di motore fuori uso, vagante nello spazio.

Privi dei terrestri “sfascia carrozze”, dove andare civilmente a deporre i resti delle nostre comuni carrette (sospinti dall’ennesima operazione incentivante di cosiddetta rottamazione) la quantità di questa avanzata forma di spazzatura dovrà imporre prima o poi maggiore cautela. E ancora, vista la capacità dimostrata in questo caso, di saper vedere addirittura oggetti cosi piccoli e cosi distanti, nessuno che si sia preso la briga di applicare la stessa tecnologia, che so, per vedere chi depone la propria spazzatura fuori dai cassonetti dedicati, o sgamare l’arrivo delle carrette del mare (con il loro tristo carico di disperati), o di quanti,.dopo aver scambiato le strisce pedonali con quelle delle corsie di un qualsiasi bowling, stendono i malcapitati pedoni e proseguono come nulla fosse (reclamando magari il mancato strike, qualora trattasi di scolaresche)..

Non se ne esce. E’ caduto l’ultimo dei miti, e da oggi, ogni volta che guarderemo lassù saremo portati a domandarci se arrivare illesi a destinazione, nei nostri tragici tragitti urbani, prim’ancora che somigliare ad una sottospecie di camel-trophy, diventerà il nostro Tetris quotidiano.

Fino alla prossima, oramai inevitabile, operazione di bonifica. In tal senso, pare stiano addestrando delle nuove figure professionali: “gli operatori ecologici spaziali”.

Chissà se accettano candidature, se pagano bene (immagino con interessanti indennità) e se qualche stilista di grido, stia già scalpitando per aggiudicarsi l’appalto delle inevitabili divise.
E' da quando ero piccolo che aspiro ad indossare una tuta.
Fa niente, anzi meglio, se griffata.

12/03/09

La sconfitta è di rigore

Fatto tardi ieri sera, davanti alla tv. Il match di ritorno della AS Roma contro l’Arsenal meritava.

La AS Roma è squadra che quando si ricorda come sa giocare non teme confronti. Il guaio è nella sua testa. L’espressione non inganni. Intendo e la Società (e con essa l’allenatore) e proprio la capacità di concentrazione.
Succede cosi che con una formazione inedita e rimaneggiata, in forza degli innumerevoli infortuni (ma rivedere tutto l’apparato di supporto medico e dei preparatori atletici no eh ?), ha saputo tenere testa ad uno spento Arsenal, mai capace, tutti i quattro tempi (due regolari e due supplementari) di impensierire il portiere Doni.

Mancati doni invece, di un arbitraggio cieco (cui oramai han fatto abbonamento) gli han impedito di vedersi concesso un sacrosanto rigore per atterramento di Motta, allo scadere del primo tempo.

Poi i rigori. I rigori sono quella cosa che stanno alla partita come i quiz per la patente stanno alla guida. A giudicare dal proliferare di episodi di alta umanità come quelli di investire poveri pedoni e poi darsela a gambe (specialità nella quale si sono divertiti a rilevare che a crescere siano, inaspettatamente le rappresentanti del gentil sesso), ci sarebbe bisogno di un sano ripasso generale.

La Roma ha ciccato per la seconda volta con i rigori una partita giocata più che dignitosamente sul campo. Esce con onore, certo, ma con quello ci si fa poco. Piuttosto, in barba ai natali nella terra del fair-play, da sottolineare come la formazione ospite (per inavvedutezza ? malafede ?) abbia tralasciato di ridar palla dopo un’uscita della stessa, ad opera dei giocatori della Roma per dar modo di soccorrere un loro compagno (mi pare Pizzaro) infortunato.

Per il resto, a fare per ora in champions “sero titolu” gli ha tenuto compagnia anche l’Inter del loquace José Mário dos Santos Mourinho Félix (che oggi lo sarà un po’ meno, felix intendo).
Della serie…chi semina vento…

Anyway, come si dice a Testaccio, e lontano dalla facile retorica, un appunto a Spalletti andrebbe fatto: in luogo di uno spento Baptista, sarebbe stato intelligente provare a chiudere la partita entro i tempi regolamentari inserendo due punte pure come Menez e Montella (fatto entrare all’ultimo minuto di gara in virtù delle sue qualità di rigorista).

Il calcio è fatto cosi. Da domani si riparte. Ieri sera l’Olimpico era gremito e la Roma ha dalla sua il lenitivo migliore per le sconfitte: un grande amore da parte della sua tifoseria, pari a quello che tiene ancora unite coppie settantenni che sopportano le reciproche carognate, minacciano di lasciarsi, ma alla fine, come ogni happy-ending che si rispetti, restano sempre insieme. .

08/03/09

Una domenica cosi




Ore 13,49, circa. Il tg1 sta finendo. Come è giusto che sia, arriva il momento dei libri. E merito a Riotta che li sdogana, in tv, dentro un tg, mentre a tavola si mangia. Riotta intervista un agente letterario, lo definisce “il più importante del mondo” (ha lavorato davvero con un numero impressionante di mostri sacri. Si chiama Andrew Wylie. Domande di rito. Chi è, cosa fa, cosa e chi ha aiutato a far conoscere. Cade il discorso su Bolano. Riotta, dice che “ha destato rumore” è si bravo ma insomma, beh, stavolta no, non gli è sembrato all'altezza delle altre...(credo alludesse a 2666, tomi 1 e 2, che mi risulta essere l'ultima opera data alle stampe dal nostro).. Da antologia la risposta dell'agente (cito a braccio). “Io non ho mai visto, nei miei trent'anni di lavoro una reazione cosi appassionata nei confronti di uno scrittore. Tutti amano Bolano, con un'eccezione”.. Stop. Gran premio dell'eleganza, per oggi.


Il Sole24 è uno dei pochi (pochissimi) quotidiani che acquisto, sempre e solo la domenica. Oggi, il pezzo forte non era nell'inserto Domenicale. No, era nelle pagine interne del quotidiano. E si tratta di un paginone con un'intervista che chi può, invito a leggere per farsi un'idea piuttosto precisa di cosa significa borghesia rossa (e se del caso chiedersi come mai stiamo anche messi cosi, oggi). L'intervista è al vicedirettore dell'Espresso. Il pezzo è illuminante non tanto per le cose che riporta (nuove iniziative, di un uomo ancora capace a 64 di inventarsi una nuova iniziativa in rete, si chiamerà Blitz e sarà, ci tengono a precisare, non un periodico online, né un'agenzia tout-court, bensì un aggregatore di notizie) quanto per il “non detto” che traspare. Temo che l'informazione in mano a gente cosi faccia del male, al paese, ma prima di tutto a se stessa.

Giulio Mozzi. Mentre stavo finendo di fare i piatti (lavo a mano, perchè la lavastoviglie mi ha detto byebye), ho avuta potente una domanda. Ma a cosa pensava quando ha scritto Culto dei morti in Italia. Come ha associato l'immagine da una copertina di un suo cd (credo si tratti di “The yellow shark”, di Frank Zappa sofferente, già affetto dalla malattia, giusto pochi mesi prima della sua scomparsa, incastonandola nella narrazione ? Sono domande non cosi stupide come possono sembrare. Vado al manicomio, da un po', all'idea che prima o poi avremo una serie di “prodotti” della mente coi quali ci relazioneremo più o meno come facciamo oggi con un libro. La tecnologia potrebbe consentire di rendere noto il processo mentale che presiede, anticipa, la creazione vera e proprio del testo ? Se si, si aprirebbero orizzonti indefinibili. Un back-stage di una qualsiasi opera letteraria (racconto, romanzo, saggio, quello che sia).
Per ora, il gioco è provarlo a fare a mano, questo lavoro. Ma sono certo che ci arriveremo, un giorno.


Traffico. Una prima domenica di sole. Dopo mesi di acqua a gettone. Fatale che il richiamo del mare sia cosi forte da indurre i più ad infilarsi in auto, e percorrere seraficamente quel capolavoro di urbanistica che è la Cristoforo Colombo. Risultato: code che nemmeno nelle ore di punta dei giorni “normali”. La domanda: ma cosa ci rimango a fare, qui ?
Vagheggio un rudere sulle colline di Gavignano (FR) uscita A1 Anagni, 8 km. di strada provinciale, e poi, solo il silenzio. Permuteranno, di questi tempi ?


Risate, di quelle sane, che spazzano, per la frazione di un momento, il grigiore persistente Sia lode eterna a Panini Comics, che ha dato alle stampe da poco una chicca per gli appassionati di B.C. Il celebre cavernicolo uscito dalla matita di Johnny Hart, recentemente scomparso. Un lavoro che sto centellinando, bel volume, rilegato, che contiene tante notizie e curiosità su una delle “strips” più famose del mondo. Non sapevo, ad esempio, che gran parte dei personaggi della saga, siano stati presi a prestito (ed opportunamente elaborati) fra la cerchia dei suoi amici e parenti. Da alcuni ne ha mutuato i tratti, da altri solo l'input da rielaborare, per sfornare poi quel microcosmo che è possibile definire, oggi, molto più attuale di quanto non possa apparire, trattandosi di preistoria. Alcune strips sono fulminanti, ed inedite. Anni fa mi feci del male, in una fiera del fumetto per reperire quanto di lui si trovasse in giro (poco). Mai più editato dagli anni '70, questo volume consente, anche a chi non lo conosce, di poter apprezzare un genio. Grande umorista, prim'ancora che ottimo disegnatore.
Qui qualche nota scritta in bottega.

05/03/09

Cletus production (part one)


L’appuntamento è per le 10, di mattina.
La location, si fa per dire, è l’officina di un amico compiacente. Certo ha poco del garage notturno, ma le auto ci sono, sebbene in riparazione e non per la sosta. E ci sono anche le donnine, sui calendari, discinte e dalle tette grosse che caratterizzano questi templi del machismo.
C’è una specie di scrivania, stracolma di quotidiani sportivi. Oggi l’umore dei gestori è standard (non sono interisti, e la legnata dell’Inter a Marassi non li riguarda più di tanto). Ci sono elenchi del telefono, vassoi con tazzine, vuote, di caffè, che nessuno ha mai ancora ritirato, portacenere stracolmi di cicche. E un telefono.
Il telefono è fondamentale per la scena che dobbiamo girare.
Piazzo il cavalletto, avvito la telecamera digitale. Diamo un’occhiata alle luci. Ce ne sono poche, e per fortuna, quasi tutte artificiali: il locale, come tutti i seminterrati che si rispettano, ha pochissimi sopraluce, e nessuno di questi nell’ufficio.
Aspettiamo che arrivi John.
John, è un addetto alla sicurezza di un McDonald. Quando l’ho visto la prima volta, qualche tempo fa, gli ho chiesto subito se voleva fare l’attore per gioco. Somiglia vagamente a Whitaker. E’ enorme come lui, e vestito con il completo fa la sua porca figura, come uno di quei jazzisti che si piccano di indossare calzature di colore bianco, sotto dei completi di grisaglia impeccabili.
John, sulle prime è rimasto interdetto. “Cazzo vorrà mai questo ?” si sarà detto. E in fondo è stato anche misurato, nelle sue pretese.
Ho con me la busta con 100 euro di bigiotteria, del tipo pesante. Come è lecito che indossi, dovendo sostenere la parte di un manager di borgata che a tempo perso gestisce un garage notturno e una infima televisione privata (non che le due cose siano poi totalmente in conflitto…).

Arriva, che sembra abbia scalato l’Everest…dice in uno stentato italiano, ma con un consistente accento romanesco…”Meno male che era facile da racciunce sto posto qua, eh ?”.
Pacche sulla spalla, possiamo cominciare.
John, si toglie la cravatta e indossa le due tre collane di plastica dorata che simulano le cabeze dei coatti romani. Lascia vedere il petto gli dico. E prendi il mano il sigaro.
No, non lo devi fumare, lo so che non fumi, serve per girare la scena, John, fa parte del personaggio, lo rassicuro.
Attilio indossa la camicia bianca. Sto bene ? mi chiede. Che te frega ? rispondo, tanto ci devono riprendere di spalle. Io con la mia, ci sono uscito da casa.
Ti ricordi le battute ? aggiungo.
Tranquillo, mi fa.
John, si sistema alla meglio sulla poltrona che deve aver vissuto momenti di gloria migliori, prima che i suoi 120 kg ne facessero conoscenza. Lucia gli passa un briciolo di cerone….Sa…è per le luci.
Lucia da del lei a tutti. Anche a me, che la conosco da una vita. Ma tant’è.
Gli amici meccanici, milanisti, si dispongono alle spalle della telecamera…”Oh poco casino qui, eh ? e poi, vediamo di sbrigarci, dovemo lavorà qui dentro, noi” dice Maurizio, come se noi invece stessimo a divertirci.

Le battute John, mi raccomando !
Lui mi guarda come una bestia condotta al macello.
Cerca di essere naturale. Devi immaginarti di essere naturale. Tu non fai il bodyguard del McDonald qui, tu qui sei il vice padre eterno, sei un boss. Di borgata, d’accordo, ma sempre un boss. Hai modi sbrigativi, al telefono devi sembrare credibile, devi gesticolare (tutti i boss gesticolano) fai come i rapper, mentre parli agita nell’aria quella mano col sigaro spento, devi dare l’idea di essere superindaffarato, parli di appalti per le tintorie, di forniture di criceti per le gabbie dei pitoni al bioparco, hai molteplici affari, quasi tuti loschi, vendi spazi pubblicitari per la tua scalcinata tv come fossero treni di pneumatici per SUV. Sei, in altre parole, il boss del quartiere.
Ricordati le battute.
John fa di si con la testa, e confonde il foglio con i testi nell’oceano di carte che ingombra la scrivania.

Carlo, si piazza dietro la telecamera. Da quell’asta la muovi, gli dico (Carlo ha nozioni di riprese cinematografiche come quelle che ho io di biologia molecolare).
Poi la giriamo e la mettiamo dietro a John, ma tu devi riprenderci solo fino alle spalle, mai inquadrarci sul viso. Ci serve per rafforzare l’idea del dialogo veritiero, dico.

Si, mi risponde.
Macchina, poi, dice, nemmeno fossimo negli studios di Hollywood.
Cominciamo.

(segue)

02/03/09

La televisione genera infelicità

Giorni fa, Giulio Mozzi, in questo post, ha definito la televisione (questa televisione, che abbiamo oggi, in questo paese) come dispensatrice di ansia e di infelicità.

cit. [La televisione italiana fa stare male, ma questo star male non è un sottoprodotto irrilevante o casuale: è la mission aziendale. Perché solo un popolo di ansiosi insoddisfatti e depressi imbottiti di desiderio di autorealizzazione magica può credere di salvarsi aderendo a proposte commerciali esclusive alla portata di tutti.]

Oggi, ho lasciata la macchina dal carrozziere e sono tornato a piedi a casa. Una passeggiata di diversi chilometri. Ho fatto le strade che percorro in genere quasi sempre in macchina.
Quando le fai a piedi hai più tempo per pensare, per osservare, per sentire gli odori di una primavera prossima a scoppiare, e che dispensa dai tanti alberi che sono qui intorno, sopravvissuti al cemento, un odore interessante. Andando a piedi, hai modo di transitare vicino alle persone. Superarle, se del caso, o farci insieme un pezzo di strada, giusto qualche passo dietro di loro. Ti capita cosi di ascoltare, anche inavvertitamente, le cose che si dicono, in una mattina cosi, dei primi di marzo sotto un cielo biricchino che minaccia altra acqua da un momento all'altro ma che regala, indeciso, anche deboli porzioni di sole.

Due donne, intorno ai sessanta, forse. Parlano fra di loro. Dal tono potrebbe essere una conversazione sugli acciacchi fisici dei reciproci parenti. Dopo un po' capisco che l'oggetto della loro chiacchierata è la puntata di Ballando sotto le stelle. Si aggiornano sulla prova di ballo di questo o di quello. Danno valutazioni. Come potrebbero farlo, per degli amici al circolo del comitato di quartiere (pòsto che esista e che organizzi a cadenze regolari degli analoghi concorsi di ballo).
Subito ho rifatto il link mentale al post di Mozzi. Qui siamo in presenza di una colonizzazione tale da richiedere l'intervento dell'ONU. Non è il fatto che due signore possano discutere di ciò che hanno visto in televisione. Mi ha colpito la loro arrendevolezza al concetto di fiction. In altri termini, e sono pronto a giurarlo, per loro l'operazione di identificazione dev'essere andata talmente a buon fine, cosi estesa, che è difficile tracciare un confine fra la loro realtà (affettiva, di relazione reale) e quella virtuale (dalla quale non sembrano avere più ne le forze ne il coraggio di desistere dall'assistere). Quante signore cosi, ci sono oggi in Italia ? Temo molte. Non so se esistono degli studi mirati, ma ho la sensazione che è questo quello che spaventa. La totale confusione dei ruoli. E laddove la compartecipazione tende a rafforzare, attraverso il subdolo strumento del televoto, la presunzione di libertà, nell'immaginario di queste signore, ecco che lo sfacelo è totale.

Per anni ho inaugurato le mie giornate, in una casa già vuota di moglie e figlia, che grazie al traffico creato dai regali delle giunte rosse al ceto dei palazzinari, non adeguando le strade, imponeva (e impone tuttora) orari da minatori, accendendo la tele per irretire l'attesa del primo caffè della giornata.
Per anni, ritenendomi forte, ho fatto si che la violenza del notiziario di canale cinque, quella scimmiottatura delle headline americane, che ti rimanda a ciclo, ogni 15 minuti lo stesso notiziario (qualora non avessi capito bene) fino alle 8, ora della prima edizione, potesse condizionare fortemente il mio stato d'animo. Il pathos tradito dalle voci, immancabilmente sopra le righe, quasi urlato, dettato dalla fretta di concludere prima possibile e lasciare adeguato spazio alla raffica di consigli per gli acquisti (vedi bene anche questi, quasi per legge, trasmessi a svariati decibel di differenza, in più).
Ho smesso da poco. Ho ritenuto più congruo un approccio alla giornata meno ansioso. Ho poca voglia di patire per i tonfi della borsa nel sud est asiatico, cosi come per l'ennesimo fatto di sangue, che ti coglie ancora semi rincoglionito, in pigiama, mentre ti aggiri come un'automa in cerca di sigarette, caffè, telefonino, ma sostanzialmente di te stesso. Non compro più quotidiani, se non raramente, il bisogno di aggiornarmi lo soddisfo con una rapida consultazione dei siti online degli stessi.

La mattina adesso apro la porta, lascio entrare il gatto, annuso l'aria carica di umidità della notte, ma mi guardo bene dall'assumere ulteriori dosi di infelicità.
Mi basta quella che sono in grado di generare da solo.