20/04/21

La la la Superlega



Non ho nozioni giuridiche, di Borsa ne capisco quanto di astronomia molecolare e queste sono solo due considerazioni messe in fila in qualità di umile fruitore dello show-calcio.

Abbandonando per un momento il clamore delle ultime ore (fatale si tratti del solito abbaiare alla luna)...

Il Calcio gode di una audience che non ha nessun altro sport. Il calcio, sulla carta, è (o meglio, sarebbe) portatore di sani ideali: competizione, spirito di squadra, risultati che se li vuoi ottenere devi passare dal duro lavoro (allenamenti). Una metafora della vita per come comunemente intesa. Sulla carta.

In realtà, da tempo, a questi valori primigeni si sono sovrapposti robusti interessi perché di fatto è diventato un business molto redditizio. Per chi? Per i fruitori come me, costretti a pagare ben due abbonamenti (Sky e Dazn) per poter seguire le gesta (si fa per dire, visti i recenti alterni risultati) della squadra per la quale “tifa”.

Aggiungi gli “Sponsor”, leggi Aziende che trovano corretto investire dei denari in cambio di visibilità e consolidamento. Quasi che, al solo esser cuciti sulle maglie dei giocatori di tale squadra, ne corrispondano automaticamente sensibili aumenti di fatturati.

Aggiungi i “procuratori”, gente che non sfigurerebbe al posto dei battitori di un’asta da Christie’s. In pratica, come il lievito Bertolini, in grado di prendere sotto tutela le sorti di un giocatore per cercare di “ottimizzarne” il ritorno economico, e di lucrarne di conseguenza.

Aggiungi le pay-tv. Vuoi vedere i tuoi beniamini? Paghi. Finiti i tempi dell’adolescenza, quando dallo schermo in bianco e nero, debitamente in differita (le partite, tutte, si giocavano alle 15, la trasmissione avveniva un due, tre ore dopo) mammarai ti concedeva appena 45 dei 90 minuti di una partita, salvo, nella patria del Bignami, proporre una caritatevole sintesi (antesignana degli odierni highlights) commentata da giornalisti diventati anch’essi storia, reperto e sangue della declinazione del calcio in tv.

Aggiungi a tutto questo quadro (e come poteva mancare) un robusto impianto di Enti, Federazioni, con un’architettura cosi ben congegnata dall’aver saputo diventare, nel tempo, autorevole come le famose tavole della legge vendute a dispense sul Sinai. Una piramide di potere, un gioco di equilibri giurisdizionali da far impallidire la pù avveduta cupola mafiosa. E, aggiungo, di riflesso aumentando i commensali alla tavola delle spartizioni.

Ora, la presenza di Bibbie inamovibili nell’era della globalizzazione, nell’enfasi dell’economia di mercato, stona non poco. Ma come? Si plaude al liberismo, si brinda alla libera circolazione dei capitali, le borse mondiali sono interconnesse meglio dei nodi di un tappeto persiano e si tollera ancora la presenza di Moloch che pretendono di tenersi la torta tutta per se?

Era inevitabile, quasi già scritto nelle cose. Dalla licenza di quotarsi in borsa, dall’introduzione di meccanismi opachi (opachi nella loro, presunta, rigida applicazione) quali il fairplay finanziario, gli organi al vertice del business, vero e proprio “stato” nello stato, o meglio “sovrannazionale” visto l’orizzonte della loro influenza, pretendevano davvero di vivere ancora nel loro medioevo, denso  di privilegi e del trionfo dell’arbitrio?

Doveva succedere e quando successo negli ultimi giorni non ne è che la prova. Alla stregua di una qualunque assemblea degli azionisti, alcuni grandi club hanno lanciato (voglio credere ispirati da quei filantropi che si sono già resi protagonisti in passato di poco esaltanti risultati come il crollo di Wall Street nel 2008) a modo loro, una OPA. Andando a minare decenni di poteri stratificati, come un millefoglie, facendo saltare la “torta”, non più paghi della fetta a loro destinata da un Tribunale supremo poco incline all’idea di redistribuire in modo più democratico prim’ancora che brandelli di potere, risorse a dir poco appetibili.

Lo scontro è tutto qui e va letto come un naturale sviluppo del conflitto di interessi che è dietro ad una passione che, ha un bel dire Zeman, in ogni angolo del mondo, dove due tre ragazzini si divertono a giocare con una palla, lì è il calcio.

Non so come andrà a finire. E francamente poco interessa. Quando il sangue scorre nelle strade, esci e compra, recitava un vecchio adagio per lupi di Borsa. Un sentore quello si, e già da tempo, abbandoniamo presto l’idea che tutto questo si tradurrà in un qualche beneficio per i tifosi (la vera linfa vitale dalla quale provengono gran parte delle risorse, abbonamenti, merchandising, e pandemia permettendo, biglietti per gli stadi). 

E ora accomodiamoci in poltrona…