30/12/13

Il quarto Stato.











Ho visto il Servizio Pubblico di ieri sera.
Si, quello su “la terra dei fuochi”. Non ho parole. O forse si, qualcuna mi viene.
Ma non è il solito rito dell’indignazione. No. Quello che in questo modo di fare giornalismo non va giù è la spettacolarizzazione del dolore. E questo chiama in causa la qualità dell’informazione. Ma è l’aspetto come dire “a valle”. Che ci confonde, e rispetto al quale tutti i dubbi sono legittimi. Come quello che, denunciando in questo modo,  poi tutto, ripeto al di là dell’indignazione, resti come prima.
Le parole di un pentito, si dirà. Depotenziando in partenza. Svuotando di credibilità. Ma dopo, dopo l’emotività cosa resta?

C’è un fatto, nel profluvio di parole che sono state spese, che da solo varrebbe in qualsiasi altro paese una mezza sollevazione popolare. Ed è il silenzio col quale le autorità hanno sepolto due volte la gente di quei territori. Ci sono servitori dello Stato che si sono ammalati per assolvere al proprio dovere andando ad indagare in quei territori. Ce ne sono altri che avranno continuato a vivere indisturbati da venti anni in qua.
E anche qui, la morale non basta. Parlo della condanna morale.

Vorrei che si conoscessero i nomi di coloro che hanno taciuto, si indagassero i loro conti correnti e degli stretti familiari. In altre parole chi ha coperto chi. Dopo di che, non un centesimo delle mie tasse a concorrere alle loro pensioni dorate e intoccabili. Le parole di un pentito, certo. Alle quali, da venti anni, nessuno ha prestato ascolto. Un arbitrio grave, nel paese dell’obbligatorietà dell’azione penale. Schiacciati da poteri occulti più forti di loro? Minacciati della vita dalla criminalità organizzata? Ma qui, se fossero confermati gli interramenti di materiali radioattivi, siamo agli effetti perversi di una Nagasaki a scoppio ritardato.
Nel frattempo difendiamo il Made in Italy, le mozzarelle dop, ci facciamo belli. Lì, in quelle terre, la gente muore, grazie al silenzio di chi ha imposto la secretazione di quelle confessioni.

Ci connota come Paese, la maniera nella quale siamo difesi da una Giustizia che dovrebbe, per statuto, tutelare la salute pubblica. Chi l’ha gestita in questa maniera, ai miei occhi, ha le stesse responsabilità di chi quei rifiuti tossici li ha interrati (dagli industriali che hanno avuto i loro vantaggi, alle bande criminali che l’hanno gestito, questo traffico immondo).

Il servizio si ferma sulla scena del pentito che si alza sdegnato, sotto l’incalzante e confuso accuse delle due mamme che hanno perso i loro piccoli, invitate anche loro in studio, promettendo di non voler più rilasciare interviste. 

Due Italie, anzi tre, ieri sera in studio.Quella di chi ha pagato per scelte scellerate altrui, quella di chi ha gestito (anche bene pentendosene quasi subito) e quella di chi, a venti anni di distanza ha ritenuto di farne un servizio di giornalismo di inchiesta.

Mancava la quarta: quella di chi ha colpevolmente insabbiato. 

17/12/13

Perchè Pistoia?

Perché Pistoia? Che è andata cosi bene la prima che l’abbiamo voluta rifare. Luglio 2013. E’ il decimo anniversario della morte di Roberto Bolaño. Abbandonati progetti per un convegno faraonico (nel puro delirio di cletusproduction) si dirotta su una cosa più intima, quasi artiginale. Organizzata alla bell’e meglio (complice il concerto di Springsteen che vedrà il Baldi convergere sulla Capitale) si trova la terrazza di un amico compiacente e si organizza al volo la cosa. Catering, un minimo di allestimento (larvato omaggio alle pagine stese di Amalfitano citate in 2666), telecamerina digitale, e diretta streaming con Milano dove il caro Gianni Montieri, parteciperà con un suo contributo. Le tracce della serata sono disperse nel web…(per chi vorrà, i link si trovano sotto).

Stavolta il genio della lampada, al secolo Martino Baldi, ci invita a Pistoia per ripetere, con altri mezzi, ma stessi amorosi intendimenti, l’esperienza di lettura di un racconto di Bolano: La prefigurazione di Lalo Cura, tratto da Puttane assassine (ed.Sellerio). La saletta è quella di una libreria nel delizioso centro storico di Pistoia. Il palco è esattamente grande quanto la sala riservata al pubblico. Stavolta, ci sono una cantante Claudia Tellini, un contrabbassista Nicola Vernuccio, e un trombone, Paolo Ciampi . Ah, e c’è Martino Baldi.
In abito di scena, magliettina con collo alla lupetto, pantaloni a tubo attillati, scarpe delle buone occasioni: tutto rigorosamente nero. A chi li ricorda, somiglia a uno dei Gufi…che vestivano in tal guisa, ai tempi d’oro di Milano. Si comincia. Martino legge con la consueta passione. Viene accompagnato dalla musica che, salvo qualche rara sbavatura sui tempi, si presta benissimo all’incedere del racconto.

La trama è esilarante di suo. Ma di quell’ironia che è tipica di Bolano, sottesa, mai debordante, quasi trattenuta, se non nascosta. Pronta a farsi trovare dagli occhi di chi lo legge non limitandosi alla superficie, eppure capace di distinguerla in un profluvio di parole. Le storie di un gruppo di giovani donne sudamericane, finite nel giro di un torvo esule tedesco (non sappiamo se transfuga dal nazismo, o artefice in clandestinità, come la nutrita accolita di connazionali in quel del sud america). Intorno a costoro, narrato in prima persona dal protagonista Lalo Cura appunto, si agitano le pagine più corrive dello scrittore cileno. Con il suo registro che spazia dal lirismo più puro alla decadenza mai cosi ben descritta. Come la vita, del resto.

L’incedere della lettura coinvolge il pubblico, e viene scandito da brevi pause durante le quali la cantante Claudia Tellini da prova della sua meravigliosa voce che è insieme calda, perfettamente intonata all’atmosfera del locale e originale per capacità di partire in controcanto, affrontando scale volutamente disarmoniche con la più totale disinvoltura. Martino scandisce di suo, sostituendo i cartelli coi nomi dei sottocapitoli. Il pubblico dimostra di gradire, nessuno applaude (per quanto strano possa sembrare l’ho interpretato come un segno di rispetto e non di mancata compartecipazione). E’ una festa.

Il racconto si sviluppa incardinato su questo ordigno narrativo, la commistione fra i passaggi più salienti e le sottolineature degli strumenti che aggiungono un che di straniante al tutto. Tutto si tiene, in un equilibrio minimalista che lascia solo grande spazio alla parola, alla narrazione di Bolano, al ritmo della sua scrittura. Che rimane grande, anche dopo ripetute letture. Termina la lettura. Ezio ha girato quasi tutto (salvo gli ultimi due tre minuti nei quali, tipico dei mezzi cletusproduction la batteria della telecamera ha fatto ciaociao).
Usciamo, guadagniamo prima un bar su una piazza contigua e da lì diretti in collina, dove a Serravalle facciamo da cavie (scherzo) alle genialità culinarie dello chef con un menù particolare ma alla fine anche particolarmente intonato alla serata. Una luna quasi piena, visibile da dietro la torre illuminata ad arte, e un giro di Talisker old 12, si incaricano di suggellare la serata.

Pistoia. Mi ci dovrei trasferire.

In attesa del montaggio del video di Pistoia, qui per chi ha facebook, una pagina con diversi link alla serata romana.

07/12/13

Morire a Roma, oggi.















Diciamolo subito. E’ un business.
Intorno a questa “tappa” della vita, sembra che l’epoca moderna non si sia evoluta come sarebbe lecito attendersi. Oppure no, ne è uno specchio fedele. Una pratica (dalla quale succhiano soldi diverse figure) e che va subito archiviata, divenuta merce consumata (leggi: incassato il dovuto, anche per quest’ultima incombenza) e subito da dimenticare per far posto ad un altro.
E’ sicuro: si nasce e (prima o poi) si muore.

Questa fase della vita dovrebbe e dico dovrebbe essere trattata con una grazia maggiore. Per un mix di compassione nei confronti di chi ci ha lasciato, e nei confronti di coloro, a lui cari, che gli sono sopravvissuti.
La delicatezza totalmente scomparsa. L’approccio alla faccenda è quello di una fredda pratica burocratica. Automatismi, logori, e privi di qualsiasi sensibilità. Eppure non ci vorrebbe poi molto.

Un mio amico fraterno se ne è andato. Tralascio qui ogni considerazione personale. Ma attraverso l’esperienza diretta che ho potuto vivere in questo frangente sono giunto alle seguenti conclusioni.
Il Policlinico Gemelli (a maggior ragione si fregia dell’aggettivo Cattolico) ha una sala mortuaria (pomposamente definita camera ardente) da far letteralmente schifo. Camerette buie, un che di sporco, colori inesistenti, prive di alcun decoro (attenzione non parlo di carte da parati e tendaggi in stile Liberty) ma parlo proprio di tinteggiatura delle pareti, gradevolezza degli ambienti nei quali i parenti e amici porgono l’estremo saluti ai propri cari. Lo squallore. Non ho altre parole.

Ma non è un caso, i luoghi tradiscono anche da come sono attrezzati (organizzati) quello che è la considerazione nella quale sono tenuti. E’ assodato che un luogo simile, ai margini di un grande ospedale, sia piuttosto “trafficato”. Pacifico. Quello che traspare, dietro questa assoluta mancanza non dico di gusto ma di attenzione, è il ritenere il luogo come una mera discarica. Anche delle emozioni.

Eppure, la morte, in chi continua a vivere, può essere foriera di un grande momento di riconsiderazione.
Per proprietà transitiva, dal modo col quale rendo confortevole il momento ai parenti dei defunti, può attendersi una rivalutazione delle rispettive esistenze. Siamo, quanto a cività dimostrata in questo caso, a latitudini nemmeno tribali, dove voglio credere il momento della morte sia trattato con maggiore, ancestrale rispetto.

Qui è il territorio del disprezzo, della noncuranza, della sciatteria. Basta, sei finito, sei morto, che cazzo vuoi pure una stanzetta illuminata? Personale appena appena cortese e non dico partecipe (come le prefiche) ma almeno meno incarognito in un cinismo esibito che ne tradisce la miseria, l’attitudine alla miseria interiore incapace di considerare pure un momento come questo, anche solo in misura percentuale, come proprio, nel senso di appartenenza ad un genere umano, ad un contesto sociale, e sicuramente (qui, nessun dubbio) destinato anch'esso a sicura fine, foss’anche posticipata.

Quindi vergogna doppia. Un policlinico che si dice Cattolico e che proprio nel modo col quale tratta la morte (mica una roba da poco: c’e’ tutta una letteratura, chiamiamola cosi, che si incarica di trattare la faccenda, per evidenti intenti promissori: il paradiso, la resurrezione dei morti ed altre categorie che tanto hanno dato da scrivere ad illustri esponenti dell’omonima Chiesa).

Veniamo all’aspetto laico. Quanto a sciatteria non è da meno (da qui la sconsolata constatazione di quanto sopra: siamo proprio una società che la snobba la morte, su varie scale di ineleganza, sfumature).
Qui, l’avvento della crisi, ha portato addirittura degli attenti studiosi del costume a stilare statistiche circa il dilagare della pratica della cremazione (leggi: assenza di fondi necessari ad acquistare un loculo). Dalla freddezza statistica di un annuario Istat, e dal conseguente articolo di costume del giornalista di turno, si passa ad un contatto col reale.

Il boom (che buffo chiamarlo cosi, trattandosi di un momento di totale silenzio) delle cremazioni ha fatto si che ci sia anche una lista d’attesa. Cimitero di Prima Porta. Un’area adibita a questa operazione. I parenti assistono al trasbordo della bara dal carro (nel nostro caso: un furgone dell’AMA) ad una sorta di barella davanti ad un cancello che si apre con una frequenza importante (solo mentre sono rimasto lì oggi, in tutto un paio d’ore, saranno arrivate almeno una decina di salme).

L’operazione si presta anche a momenti involontariamente comici. Parenti che si assembrano intorno alla bara, nel momento dell’ultimo saluto prima dell’immagazzinamento (in genere la cremazione, c’e’ una lista d’attesa, avviene dopo una decina di giorni circa…) sovrapponendosi ai parenti di un’altra salma. Un ingorgo funerario, dove ci scommetto, alla fine qualcuno piange qualcun altro (e qui si riverbera il concetto che la morte di un qualsiasi uomo è affare che ci riguarda tutti). Ma è tutto per via indotta, sciatteria, freddezza burocratica, poco più di un fastidio.

Gli operatori, “gente rotta a tutte le emozioni” chissà, devono aver sviluppato un senso del cinismo proprio per sopravvire in un ambiente come quello, come autodifesa intendo, volendo incedere ad una logica assolutoria viziata dal politically correct. Ma è indubbio che sentir sollecitare una giovane donna in divisa "verde-ama" i proprio colleghi con un poco poetico “aho, sbrigamose c’ho tutti i forni vòti” è espressione sicuramente non dico di un mancato corso di perfezionamento ad Oxford, ma proprio dei fondamentali del rispetto altrui, svelando senza troppi infingimenti e in barba ad ogni considerazione poco poco offensiva circa il presunto strato sociale, degli individui poco o per nulla educati e pertanto lecito pensare siano stati messi lì (chissà le pressioni, in fondo è uno stipendio sicuro, un “posto fisso”) senza star troppo a formarli su una categoria come il “tatto”, elemento ritengo più che distintivo in chi si deve relazionare con un’operazione che smuove una cosa come i sentimenti, la fine della vita.

Quindi, zero totale anche qui.
Con il che si ripete. Non si cercano maggiordomi diplomati alla gran corte. Ma almeno persone, individui, cui andrebbe insegnato che anche dalla civiltà con la quale si tratta la Morte, ne discende una cosa che chiamano qualità della vita. E quella piccola differenza, che nei secoli, è stata coltivata per arrivare a distinguerci dalle bestie (le quali, ne sono certo, quanto ad emozioni, gli etologi moderni stanno scoprendo che ne avrebbero da insegnarci).


PS. Unico, piccolo, segno di attenzione, la presenza di uno spazio realizzato nei pressi del forno crematorio, inevitabilmente nominato “Il giardino dei ricordi”, circondato da piante, qualche basso muretto che funziona da panca, davanti ad una splendida visuale di una vallata non edificata,  e da una zona nella quale consentire ai parenti di raccogliersi e di disperdere le ceneri dei propri defunti. Ma di questo mi occuperò in un altro post.

risorse:
Truffe ai danni dei parenti dei defunti: http://www.corriereromano.it/roma-notizie/1883/informazioni.php
Giiustificazioni dei vertici AMA circa i ritardi: http://www.ilmessaggero.it/roma/cronaca/prima_porta_lo_scandalo_delle_sepolture_ama_tutta_colpa_delle_agenzie_aspettano_giorni_per_presentare_richieste/notizie/243969.shtml
Il giardino dei ricordi: http://paesaggiocritico.com/2013/03/06/il-giardino-dei-ricordi-al-cimitero-flaminio-prima-porta-roma/ricordi-3/