31/12/08

Buoni propositi per l'anno a venire

Era il 2003. Vibrisse lanciò un tema circolare (non ci furono vittime...) proponendo all'allegra accozzaglia di redigere una lista (non importava lunga quanto) afferente ai buoni propositi per l'anno a venire.

Siccome la rete, e un comodo hard-disk remoto, sono come il maiale: non si butta via niente, ripropongo qui il mio "tema", trovandolo (mannaggia) tuttora di una sconvolgente attualità.

In ogni caso: che sia un buon anno, per tutti !

===================
La scuola italiana sta andando a puttane.
Ma sono temi da dare a una bimba di 8 anni ?
Mi ha chiesto di aiutarla,
Ma come posso scriverle io un compito
che puzza lontano un miglio scritto da un adulto ?

E' che i miei bisogni non coincidono con
i suoi, questo lo capirebbe anche un bimbo.
Con cio' provo lo stesso a stendere un
improbabile elenco di buoni propositi per l'anno
nuovo.

Premesso che a me non me ne frega niente.
Mi faro' meno seghe, alludo a quelle mentali,
tranquilli: di quelle d'altro tipo, non posso
assolutamente farne a meno.
Cerchero' di sottrarmi dall'influenza
nefasta della pubblicita': io sono un istintivo,
rifuggo dalle mode.
Indossero' lo stesso orologio, incurante
dello sguardo da gran figa della testimonial di turno.
Evitero' di compromettere ulteriormente
il magro bilancio familiare indebitandomi,
per una fiammante utilitaria subdolamente suggerita
da un bel paio di cosce che scendono dal suo lato guida,
cosi come portero' alla naturale conclusione,
senza ricomprarne,
la teoria di boccette di profumo per uomo che
albergano ai lati del mio lavandino.
Fottendomene allegramente di quelle maledette
pronunce francesi che accompagnano spot da
erezione galattica.
Girero' alla larga dalle profferte di crociere
nei mari del sud. La mia collega d'ufficio non ci
verrebbe mai. Cos'altro ?
Tentero' di impegnarmi un po' di piu'
nell'osservanza della raccolta differenziata,
evitando di gettare, all'alba di risvegli di rancore,
le bottiglie di plastica della minerale nei sacchi destinati alla
carta.
Comprero' meno quotidiani, e cercherò di
ultimare, inizare del tutto a volte, quella alta pila di
libri, degna della cella di un ergastolano, anziche'
cadere preda della smania d'acquisto in ogni
sorta di libreria di questa sporca città, evitando in particolar
modo remainder e bancarelle dell'usato.
Non comprerò su internet. Destinerò invece
il risparmio di queste spese, agli alimenti
dei miei tre boxer, di carne…non di stoffa,
che mangiano, e molto.
Non andro' in vacanza, va da se.
Se posso, eviterò di continuare a lavorare
per una società, che come molte altre in
Italia in questo momento, rischia di finire
nelle fauci di qualche multinazionale
in ossequio agli istinti di globalizzazione.
Nemmeno il caso di scomodare il concetto
di reciprocità…che so…magari provare il
brivido (posto che poi mi piaccia) di esser
trasferiti una mattina, dall'altra parte dell'Atlantico.
Non fonderò un partito politico.
Abbiamo gia' dato…
Cercherò di ripianare i conti con quell'angelo
della mia dentista. Anche per ciò che riguarda
i capi d'abbigliamento, terrò in ottima cura
quelli che già possiedo, informati da un criterio
classico-ripetitivo..cardine che non mi abbandona,
il sobrio e' un ever-green in questi casi.
Insomma, eviterò di credere che l'istituzione
di un pedaggio sul grande raccordo anulare,
ancorchè consentire di finanziare linee ferrate
per decongestionare il traffico e limitare i danni
per la salute, ponentino o no, sia un vero
toccasana per questa città.
La musica ?! Lì non potrò derogare.
Salvo dotarmi di un modem cosi veloce
da scaricare intere discografie nello stesso
tempo di uno sbadiglio davanti al Maurizio Costanzo Show,
che del resto non vedo.
La smetterò di mandare script per spot sensazionali
via email a tutte le agenzie pubblicitarie del regno.
Glieli spedirò per posta. Con ricevuta di ritorno.
Avrò in questo caso la certezza che almeno
siano finiti nel giusto cestino dei rifiuti,
mica in uno qualsiasi.
Eviterò ancor più di adesso di sottoporre
ai miei attacchi di logorrea chiunque mi
capiti a tiro…magari di mattina, al bar,
magari davanti ad un cappuccino,
sfogliando il giornale e commentando
a voce alta come fanno i pazzi.
Inseguirò la Grazia.
No, non un'altra collega d'ufficio.
Ma quella che consente di sopportare
quest'insulsa sequela di giornate
che ogni 365 vengono incorniciate
in affari che poi chiamano calendari,
ridotti spesso a cataloghi di intimo,
cosi divertenti come i primi che Postal Market
ti spediva a casa e ai quali tanto debbo,
circa la costruzione del mio, proprio,
immaginario femminile.
In breve, se non fosse per la consapevolezza
che nel 2025, data nella quale verrà' indubbiamente
celebrato il prossimo Giubileo, sarò
un simpatico vecchietto rompicoglioni,
sarei atterrito già da ora,
con congruo anticipo in questo imminente 2003,
memore di quello che hanno saputo fare
gli assessori alla mobilità di questa città
in occasione di quello recentemente festeggiato,
e starò buono buono in qualche
cronicario di provincia, dove un genero incravattato,
dalle vaghe somiglianze di Alberto Sordi,
intimerà, con fare direttivo, rivolto al personale,
oramai tutto di colore, "Trattatelo come un Re".

Papaaaaa, ti sei di nuovo addormentato sul divano,
mi dai una mano a fare questo compito ?

28/12/08

the best of 2008

Cinema: Onora il padre e la madre, di Sidney Lumet

Musica: L'ennesimo cd di Pat Metheny, ragazzotto inquieto che viaggia alla media di un disco all'anno. Quest'anno, per distinguersi, ha preso un vecchio lavoro del 2002, realizzato in studio con una grande cantante polacca, Anna Maria Jopek, e l'ha ridato alle stampe: un gioiellino. Qui un brano dell'album, dell'immancabile clip su youtube .

Uomo dell'anno: stavo per dire Barak Obama, ma mi sono ripreso. No, l'uomo dell'anno, o di sempre ?, è Primo Romeo Priotti. Le motivazioni ? QUI

L'auto dell'anno: la volvo xc60. Con i dispositivi che monta, di serie, consente di eliminare alla radice tutti gli incidenti "per distrazione" (quelli per intendersi alla media di 30 km/h, tipici delle graziose code nelle grandi città italiane, e non). Ricordo un vecchio film Tacker, di un povero pazzo che si batteva contro le major, affichè montassero, di serie, accorgimenti come le cinture di sicurezza, gli airbag o i fari adattativi, che illuminano la direttrice dei pneumatici anteriori, oggi di serie su molte autovetture. Il giorno nel quale i governi imponessero il divieto di immatricolazione ai veicoli non dotati dei dispositivi che monta la Volvo, sarebbe un tristo giorno per i carrozzieri.

La frase dell'anno: c'e' da chiederlo ? Quella di Tremonti, sulla borsa americana..."se va male ti ritrovi a mangiare kit e kat in una roulotte". Ha la spietatezza di una polaroid su quella che è stata definita, a torto a ragione, la peggiore crisi dal 1929 ad oggi.

Il libro dell'anno: stavo per ripetere Gomorra (in vista anche del prossimo successo agli Oscar, della sua versione cinematografica), ma non foss'altro che per quanto mi sono piaciuti, prediligo
quest'uscita, quasi sottotono, di un grande della nostra letteratura: Caproni. Nella versione in prosa, i suoi racconti sono piccoli gioiellini da rivalutare, per valore storico (ci restituiscono il sapore del nostro l'altroieri) e per la bellezza intrinseca che può avere un racconto, scritto da un poeta.

La squadra dell'anno: Sassuolo Milita in serie B, attualmente al secondo posto jn classifica (maggior numero di reti). E' la favola del calcio pulito, quello di chi suda, sgobba e porta a casa un sogno. Complimenti all'undici in mutandine e, doverosi, al suo allenatore.

Il flop dell'anno: scontato quello di Veltroni alle recenti elezioni politiche, se non fosse che di questi tempi sparare sul Pd equivale a farlo sulla crocerossa (e per questo genere di cose cosi si sono tristemente distinti solo in Iraq...), la Ferrari, invece. Beffata all'ultima curva, la Ferrari di Felipe Massa, manca, clamorosamente il premio di consolazione, quello del mondiale costruttori. Sarà per il prossimo anno, con nuovi regolamenti e chissà...senza la Honda...(saggia idea quella di cominciare a disertare circhi i cui proventi vanno in mano a.....)

La gaffe dell'anno: Si, lo so, quella sull'abbronzatura è ai vertici...ma vogliamo mettere il filmino pirata girato in quel di un appartamento londinese, che ha visto protagonista Max Mosley, in perfetto abito nazista, in compagnia di splendide entreneuse, uno dei papaveri del mondo della formula 1 ? E che dire dell'imbarazzatissimo messaggio di conferma alla poltrona della federazione internazionale ?

Continuiamo ?

26/12/08

La solitudine dei numeri primi (in classifica ?).

Di questo testo si è detto di tutto. Dalla fortunata scelta del titolo definitivo (vanto dell’editor Mondadori, l'autore avrebbe voluto un diafano "dentro e fuori dell'acqua") , della professione dell’autore (la favola dell’outsider: un milione di copie vendute da uno che con bonomia può esser definito “un non addetto ai lavori”). Facile ne esca anche un film, (visto il feeling, tutto commerciale, che impera fra best-seller e l’industria cinematografica).

Non ho letto il libro. In compenso lo sta leggendo mia figlia, come compito per la scuola: a fine lettura dovrà redigere una scaletta, immagino ideata dalla sua insegnante d’italiano (una donna degnissima) per saggiare e stimolare la capacità critica dei suoi alunni.

Ma è il dibattito che si è acceso intorno a questo “fenomeno” editoriale che svela impietoso l’attuale combinato disposto degli addetti ai lavori (parlo della critica letteraria.e degli scrittori, o presunti tali) e il mercato.

E mi pongo una serie di interrogativi. E’ lecito stroncare un testo per il solo fatto che venda un milione di copie pur non ravvisandone particolari pregi qualitativi ?
La decisione che non ne abbia, mi pare evidente, poggia su caratteristiche soggettive molto forti.
A me può piacere gustare il caffè senza zucchero, a qualcun altro no. Me ne faccio una ragione.
Ma pretendere di avere il verbo (cristianamente parlando) e tacciare di usurpazione un titolo quando questo arriva alle vette delle classifiche (ritenendo) che non ne abbia i numeri, a me pare frutto del più contrito provincialismo culturale in cui versa la situazione italiana.

A me non interessa se Giordano abbia i numeri o no. Se appartenga o meno al gotha della stantia intellighenzia nostrana. So che, forte del battage mediatico (ma sicuri si tratti solo di questo ? voglio credere che anche per altri testi in casa editrice si siano spesi con egual forza), la storia ha funzionato. Ed è scattato il passaparola.

Dall’alto del loro Aventino, coloro che storcono il naso, svelando tutt’intera la loro incapacità a dialettizzarsi con questi fenomeni, forti del loro birignao, sparano a zero. Fanno il paio con lo sfogo di Uto Ughi, in questi giorni sui quotidiani, contro Allevi. Ci sono, non ce ne eravamo accorti, dei depositari della verità assoluta, che stanati dal pifferaio magico delle classifiche, vengono allo scoperto per stigmatizzare gli immeritati numeri dei successi altrui.

Ora sgombrando il campo dalla tentazione di dare valore all’equazione: successo di vendita=qualità assoluta, vorrei sapere cosa, come, chi e quando, sancisce che se un libro ha successo deve necessariamente trattarsi di robaccia. La massa, diciamo meglio, coloro che hanno ritenuto corretto aprire il portafoglio e portarsi a casa, dai banchi di una libreria, o da un supermarket, questo libro,
sono o non sono gli stessi cui vorremmo far arrivare le nostre fatiche ?

Giulio Mozzi ha scritto, agli esordi, una raccolta di racconti (“Questo è il giardino”) che non so quanto abbia venduto, nelle due edizioni (mi pare una per Oscar Mondadori e l’altra per Sironi).
Sono certo, però, che non sia arrivato al milione di copie. Facciamo un gioco. Ipotizzando che in questo paese i racconti godano dello stesso allure che hanno i romanzi, in specie quelli alla Giordano, ci sarebbe comunque qualcuno che si sentirebbe in dovere di stroncarlo ?

Da dove nasce l’acredine ? Credo da una malcelata sfiducia nel senso critico collettivo, che è tipico dello snobismo delle auto proclamate avanguardie. Se è piaciuto cosi tanto è una cagata, sembrano dirci, distillando le loro argomentazioni.

Francamente, di contro, non so quali categorie, diciamo meglio, ingredienti, una storia dovrebbe avere per ambire a questi livelli di vendita. Deve commuovere ? Devono esserci enne scene di sesso ? Deve dare modo al lettore di potersi facilmente immedesimare nelle sventure del protagonista ?
Esiste un manuale del “perfetto scrittore di best-seller” ? Se c’è, posto che coltivi quest’ambizione, giuro, lo compro.
Ma non credo, visti i livelli delle critiche, che questi fenomeni editoriali, cesseranno di esistere.

Qualcuno mi faceva notare, che non essendo le case editrici degli Istituti di beneficenza, il fatto che “sculino” con un testo che vende cosi tanto, gli consente di poter dare alle stampe anche altri testi, destinati (sembrano dirci) a ben altri volumi di vendita.

Vista cosi, e con l’animo il più possibile sgombro da qualsiasi invidia, potrebbero serenamente definirsi, operazioni d’auto-finanziamento.

Lo so, lo metto in conto, e non me ne stupisco affatto.
Con buona pace dei Soloni, che hanno capito tutto.

24/12/08

Mangiare kit kat in una roulotte





L'espressione non è mia. Ma di Giulio Tremonti.
La trovo di un natalizio terribile. Un Dickens, ma alla rovescia.
Cosi è Natale.
Sono le diciotto. Le cose sembrano essersi placate.
Questa nemesi che prende la follia collettiva, a cui è difficile sottrarsi, anche per chi non crede.
Il Natale, dov'è finito ?
Ricordo, da bambino, se ne avvertiva l'arrivo dall'apparire delle luminarie nelle strade.
Era un segno tangibile dell'euforia che accompagna la festa.
Poi, poi.
Poi ha finito, almeno per me, per perdere qualsiasi connotazione religiosa.
E' rimasta quella consumistica. L'occasione, per questa tradizione che ci vuole tutti più buoni, almeno in questi giorni, con il silenziatore sulle rispettive carognate.
Natale, è un fuoco acceso, quando fuori è freddo. Sono delle piante di ciclamino, tornate a colorare i vasi bruciati dal freddo e dall'acqua torrenziale che è venuta giù qui a Roma, da due tre settimane in qua.
Accendo il pc. Faccio un rapido giro fra i blog che leggo (sono nella colonnina qui a destra). Poi provo a schiacciare “vai a blog successivo” nella barra di blogspot. E la rete mi fionda, che ebbrezza, nell'estremo oriente. Laggiù, a quest'ora, è già Natale.
Il blog di una ragazzina, d'evidenti origini asiatiche, che condivide istantanee di vita “normale”. Una casa con l'immancabile alberello. I pacchi sotto l'albero, l'orgoglioso mostrare un paio di scarpe (rigorosamente made in china, tiene a precisare) con un personaggio dei fumetti disegnato sopra.
E ancora le leccornie, (ne provo, in un sussulto di fantasia, a percepirne gli odori) disposte sulla tavola.


Ecco, il Natale, poco lontano da qui. Sulla grande mela che ci ospita, che a volte ci divide, ma che probabilmente, questione di tempo, arriverà il giorno che capiremo un po' tutti, che è l'unica che abbiamo, almeno al momento.
Buon Natale a tutti coloro che non hanno una casa e lo passeranno mangiando kitkat in una roulotte.
Per tutti gli altri, c'è Mastercard.


update: forse che il ministro alludesse a quest'altro ?

Una telefonata (stavolta vera)

Ieri, 23 dicembre. Ore 11 circa. Sono nel traffico impazzito della città.
Suona il cellulare. Non guardo nemmeno il numero sul display: sono intento a non rovinare il Natale ad una nonnina, che armata di carrello, ha deciso di mettere alla prova, prim’ancora che il mio senso dell’umorismo, la capacità dell’impianto frenante della mia auto, sbucando fra due macchine parcheggiate in doppia fila.

Pronto, ciao sono Alessandra della SIAE; c’è Daniele ?
Una voce come una ventata, appena aperte le finestre di una stanza carica degli umori di una notte (maldormita).
Scusi ?
Cercavo Daniele, sono Alessandra Siae Roma. Mi dice come potrebbe essere un cognome, uno di quelli doppi, che so, tipo Padoa Schioppa. No, lei fa di cognome Siae Roma.
Realizzo che forse non è me che stia cercando sebbene abbia da poco depositato qualcosa anch’io in Siae (Depositare mi fa morire come espressione: riconduce ad una gallina…con le uova…ma è Natale, adesso)
Continua a parlare, il bluetooth si incarica di spargere al meglio questa voce nell’abitacolo, come uno spray di quelli che si usano dopo che vai in bagno. Un dust (o comecavolosichiama) per i miei pensieri.

Prendo la parola, scegliendo il registro conviviale, infondo costei ha una voce anche simpatica.
Alessandraaaaa. Cerco di andarle sulla voce…che è un torrente in piena….Alessandra senti…
In modo molto prosaico…temo semplicemente che tu abbia sbagliato numero…ho depositato è vero qualcosa anch’io in Siae, ma qui non c’è nessun Daniele…

Lei tace, per qualche secondo. Io continuo a guidare: circonvallazione Ostiense è un Camel Trophy,
Poi, con piglio se possibile maggiore di prima, sento che mi dice…
Va bene, adesso mi passi Daniele ?

22/12/08

Fgth



Sono giornate di fuoco.
Oggi ho percorso 450 km. In auto. Sono tornato a casa in una condizione prossima a quella di un orangutango appena sceso da un un giro lungo un paio di settimane sullo shuttle, senza alcun dispositivo di protezione.

Ho acceso l'idromassaggio (cosa che un giorno mi ci lascerà secco, stecchito da una scarica elettrica visti i lunghi intervalli fra un utilizzo e l'altro: prediligo una più sbrigativa doccia).

Ho messo nello stereo un cd che ho masterizzato da Alfredo (mio caro compagno di merende) dei Frankie goes to Hollywood. Erano giorni che avevo nelle orecchie il giro di basso che sostiene la loro versione di Born to run (struggente tanto e quanto quella originale di Springsteen) e ho dato, come si dice, manetta all'amplificatore. Vivo in campagna e non rompo il cazzo a nessuno.
Mi sono immerso nell'acqua della vasca. E provato a rilassarmi (si fa per dire) sotto i colpi impetuosi dei bassi.

Questo gruppo è stato una meteora. Ho fatto in tempo a vederli qui a Roma, al Palaeur (allora si chiamava cosi, senz'altro meglio di come si chiama adesso Palalottomatica...mio dio !).
Ho assistito ad uno dei più brevi concerti della mia vita. Dubito sia durato più di 60 minuti.
In compenso, questi cinque sei ragazzi, vestiti tutti in aderenti calzamaglia nera, fisici da palestra, non sono stati fermi un minuto. Una botta di energia che se ci fosse stato, avrebbero consentito anche ad un moribondo si alzarsi e cominciare a danzare freneticamente. Travolgenti.
La musica, aiutata da un'amplificazione tanto potente quanto precisa (nonostante l'acustica non eccellente della struttura) a tenere il ritmo e questi cinque pazzi a spiccare salti da acrobati da circo, un ensamble di ballo da lasciare allibiti.

Tanto insolita la performance da lasciare basiti i pochi fortunati.
Ogni tanto sento il bisogno fisico di riascoltarli. Per uno di quei strani giochi della memoria uditiva, che ti porta a riconoscere tre note, magari sentite a caso da un jingle alla radio, e ad alambiccarsi per trovare cosa gli assomiglia, a quale canzone precedente ricondurla. Quest'estate ho letto (senza trovare il coraggio di finirlo), Musicofilia di Oliver Sacks. La memoria uditiva gioca brutti scherzi, a livelli subliminali. E comunque su Welcome to the pleasure dome, varrebbe la pena celebrare un'altra puntata del Procasma, trovo che sia l'ambiente adatto, ad un clima del genere.

Ancora: un altro paio di chicche. Aimee Mann, nella traccia tre del suo ultimo cd, riprende lo stesso giro d'accordi di una canzone di Nelly Furtado (All good things) con una sonorità diversa, dovuta alle timbriche delle due voci. Ma il giro è lo stesso, me l'ha confermato anche mia figlia, che con una testa meno devastata della mia, conserva con ancora più facilità, tracce sonore.
Fra pochi giorni è Natale.

Il regalo me lo sono già fatto: un triplo di Marianne Faithfull, che c'è da mettersi a piangere solo a sentirlo e lasciarcisi calare dentro, cullati da una delle voci più intriganti che abbia mai sentito. (Anche in questo caso, un grazie a Piero, che ha demolito le mie titubanze davanti al prezzo: ne vale la pena, credimi ! Queste le sue lapidarie parole.)
Aveva ragione.

17/12/08

La lunga strada di casa


Durante il tragitto per il ritorno a casa, si scatenano epifanie.

Col cazzo che è un momento tranquillo della giornata. Macchè.
Intanto hai la brillante idea di tornarci, posto che non abbia altro da fare (e che tu ce l'abbia, una casa), più o meno quando tutti hanno la tua stessa idea .
O almeno, tutti coloro che per muoversi, nella capitale d’Italia, governata dalla sinistra per quasi un trentennio (quasi perché c’e’ stata la parentesi del centro-sinistra, con Carraro) hanno la pessima idea di farlo a bordo di un’automobile.

Allora, per irretire la noia dei continui cicli (...prima, seconda, frena che quello davanti ancora a quello che ti sta davanti ha frenato, gli si sono accesi gli stop- quando li vedi - e posto tu non sia preceduto da un furgone, in tal caso rallenti e fai in modo che fra te e il furgone ci sia un’altra auto e ti auguri che il conducente di quest’ultima non abbia problemi che abbiano a che fare con la percezione della realtà, quantomeno in ordine alla quantificazione metrica dei propri, soggettivi, tempi reazione alla frenata, del furgone appunto...altrimenti noti col termine “stop and go” che come espressione, ha anche un suo certo fascino zen…(riprendo fiato che il periodo m’è venuto lunghissimo)…dicevo per irretire questa benedetta noia, hai la pessima idea di accendere una radio.
Una a caso, mettiamo Rai Uno, mettiamo che capiti proprio mentre c’è il giornale-radio delle diciannove, pomposamente accappellato dalla voce perentoria della speaker che ricorda agli ascoltatori che il direttore è tal Antonio Caprarica (di cui ricordo le indiscusse doti di humor, prima ancora che in virtù delle sue mai rinnegate origini salentine, soprattutto affinate dal lungo soggiornare in quel di Londra, in veste di corrispondente per il Tiggiuno, invece).

Allora, allucini. Perché l’idea non è cosi felice come sembra. Ti piovono addosso cose che ti ricordano la frase pronunciata da Rutger Hauer in Blade Runner (che ho rivisto ultimamente in versione rimasterizzata mettendomi quasi a piangere per la bellezza della colonna sonora di Vangelis)

"Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare. Navi da combattimento in fiamme a largo dei bastione di Orione e ho visto raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser"

Allora, ecco, non capisci. Non capisci cosa stia succedendo. La seconda puntata di Manipulite, stavolta versione 2.0, quella che guarda a sinistra, al partito che reclamava la diversità (da cosa ?). E per aggiungere sconcerto a sconcerto: Un ministro che entra a piedi pari in una faccenduola privata come la sospensione dell’alimentazione ad un essere umano che da quattordici anni è in coma. E ancora, non contenti dello sconcerto, la seconda (o terza, poco importa, qui) carica dello stato, che fino a pochi anni fa, epigono di quel partito che si ispirava al celebre ventennio di infausta memoria, soprattutto in ordine a quella simpatica idea delle leggi razziali, polemizza apertamente con l’altro totem tabù della chiesa (il minuscolo non è un refuso) rinfacciando il sostanziale disimpegno, all’epoca, dal problema.

Fai fatica davvero a capire. Pensi a tratti che la tua macchinina-astronave t’abbia scaraventato piuttosto che su una delle più congestionate arterie romane, in un buco spazio-temporale. Nel quale hanno buon gioco i vecchi detti, chi di magistratura ferisce….di magistratura perisce, Il tempo (non) è galantuomo, e “meglio vivere un giorno da leone che uno (quattordici anni) da sostanziale vegetale”.

Ecco, è che non capisci. Non capisci. Per quanto ti voglia sforzare, non capisci.
Code alla vaccinara, a parte, se questo è il “modo”, beh, meglio staccare la radio, selezionare quel brano del cd che autorizza a pensare di trovarsi nel Procasma, e che sul palco ci sia quella band di grassi e cazzuti uomini neri che suonano da dio, cosi, per allietare il tuo ritorno, a casa.
Poi, che si trafottano, nell'ordine, ma anche no, un pò tutti...

16/12/08

Altro trasloco ?

La sonda Cassini (che prende il nome, per una volta, da un celebre astronomo italiano, tale Giandomenico), delle nostre coscienze et speranze, è nei dintorni di Titano.

Titano, riserva delle sorprese, come quelle dei vulcani gelidi. No, non è un ossimoro. Erano vulcani che, come molte partite Iva in questo momento in Italia, erano in attività e adesso non lo sono più.

Dove c’è acqua uno straccio di forma di vita, sostengono gli astronomi, deve esserci stata.
Con tutta quella che è caduta in questi giorni, qui a Roma, e non foss’altro che per contiguità con gli inquilini di San Pietro, ce ne stiamo garantendo almeno porzioni importanti.

Si approssima il Natale, chissà se la sonda, transitando sulle allagate periferie romane, sarà capace di donare un sorriso ai tanti bimbi che si affacciano, malcerti, alle finestre ed osservano le distese (non so se salate o meno) d’acqua che circonda le loro case, che sommerge le loro strade, che dona a noi, prim’ancora che la pace, la rassegnata convinzione che la natura segue un blues tutto suo.

Macondo, il celebre paesino di Cent’anni di solitudine del buon Marquez, nel quale pioveva sempre, sembra un pallido ricordo. La nuova frontiera della narrativa italiana, partirà dalle sponde del Tevere, nel quale risciacquare non già una nuova fiction sui Promessi Sposi che la Rai minaccia di propinare, ma un qualcos’altro, capace di distoglierci da questo malessere di sottotraccia che stenta ad andarsene via, soprattutto se per giorni non si vede il sole.

La sonda Cassini, non conosce soste. Nessun autogrill, nessun telepass sulle autostrade della galassia. A Titano il clima non sarà un granchè, pochi negozi, librerie neanche a parlarne.
Ma soprattutto il sonno. La possibilità di dormire sonni tranquilli, senza gli schiamazzi che il vivere civile ci ha abituato a dover sopportare.

Mi trasferirei li, per un po’.
Almeno, fino alla fine delle feste.

10/12/08

Parlami di booktrailer (e note a margine della mostra romana)

Roma, Palazzo dei congressi, lunedì poco dopo le 14.
Entro, in ritardo, con figlia intemperante al seguito (più tardi, mesto et incazzato la riporterò a casa della su mamma, poco distante).

L'appuntamento è con Annarita Briganti, deus ex machina del booktrailer, questo sconosciuto.
Parterre da grandi occasioni. Annarita conduce con piglio e autorevolezza, non senza un tratto gentile che la contraddistingue, a partire da ciò che abitualmente scrive (ad esempio, qui).

Si comincia, da due schermi, accuratamente disposti nella lunga e transitata sala, situata nei seminterrati del palazzone. Scorrono le immagini dei booktrailer, in blocchi di due tre per volta.
Brevi commenti a giro, dei presenti. Mi annoto quello di Simonelli, che raccomanda di non dimenticare che un booktrailer, pur nella sua indefinitezza, serve alla fin fine a far vendere un libro.
E' un richiamo all'ordine, dettato, presumo, dalla necessità di definire un ibrido per definizione.
Parlare di un testo, attraverso suoni ed immagini. Una cosa solo fino a qualche anno fa impensabile.
Vogliamo metterci un grazie, per l'effetto mentale, alla rete ? La rivoluzione dell'ipertesto, forse parte tutto da li. Estendo: finora da un testo ne veniva tratto un film. Ma usare un film per promuovere un testo è cosa relativamente nuova.

Simonelli, col suo discorso, disegna un'esigenza d'ortodossia che non c'è. E' la manifestazione dell'impotenza della definizione. Anche gli spot hanno la loro Cannes. Il limite è quello di tenere in un recinto ciò che non può, proprio in forza della sua natura, essere recintato anche a costo di dover scongiurare, come ha detto lui, di fare “cose belle ma costruite su se stesse”.

Scorre il primo blocco. Subito dopo parte un altro giro d'interventi. Parla Luccone (editor di Nutrimenti) che ha presentato La cura dell'acqua, di Percival Everett.
Parla Monica Mazzitelli, “un bel contrometraggio, ecco cos'è un booktrailer”, che sappia trasmettere “l'ansia di un libro”, che abbia capacità interpretativa. La RAI sfoggia il suo trailer che subito si guadagna l'aggettivo, "è alla Minoli”, giudicano un po' tutti. Prende la parola Bonfiglio (di Fermento) fa in trenta secondi la storiografia del booltrailer, si disegna come pioniere, dice che un trailer costa moltissimo, per un piccolo editore è un budget di 5/6000 euro, ma arriva al punto subito “dove li facciamo girare, questi trailer ?”. Ma su www.bookchanel.it, ovviamente, si affretta a dire. Subito Annarita, in modo gentile lo stoppa per riportare il dibattito nell'ordine stabilito. Finito lo spot autocelebrativo si prosegue.
"Spingendo la notte più in la", Aggiungere un piano di lettura ad un libro, si dice, più o meno.
Mondadori sfoggia il testo di Calabresi (ne parlerà la responsabile, Daniela, decisamente avvenente di Rai Cult). Poi ancora, il Totem del lupo. Poi parla Francesco Forlani. Un intervento che si incarica di svegliare il pubblico acquiescente. Peccato che dopo uno spunto brillante iniziale si perde....Chiede espressamente di non essere inquadrato nel mega schermo. Mi aspetto uno di quegli esperimenti estemporanei che sappiano coinvolgere oltre il dovuto la platea.( tipo...io sono il libro, non mi vedete vero ? Ma potete sentire la mia voce....ecco, una roba cosi, per svegliare le sinapsi). Mi sbaglio, perchè l'intervento poi piega nella celebrazione (e che cazzo, non lo conoscete ?) di un certo Sasha che evidentemente la gran parte dei presenti ignora essere il lead voice di un gruppo chiamato Novantanove Posse. Prende parola il responsabiledi Keitai, col quale mi fermerò, più tardi a scambiare due parole, veramente interessante.
Scorrono altri trailer, ma il tempo è tiranno, siamo ai saluti finali.

Proseguo per la mostra. Incontro amici, facce note, conoscenti. E alla fine compro. Prendo due copie dell'ultimo di Brautigan. Un western gotico, c'è scritto sulla copertina. Come si fa a non comprarlo già solo per questo ? Una copia è per un amico che mi ha appena spedito il suo. La mia maniera, provvisoria, di ringraziarlo con questo, non avendo nulla di mio ancora dato alle stampe.
Poi prendo dallo stand di Sellerio Il gioco delle tre carte di Marco Malvaldi, appena incensato da Annarita, e presente sul palco dei conduttori.Trovo il tempo di prendere, ancora: un quadernetto sulla cui fascetta c'è questa massima attribuita a Picasso “ Si può restaurare l'animo umano dopo il più orrido dei delitti, ma mai riguadagnare l'onore perso a causa di una gaffe”. Siccome l'argomento mi riguarda (pratico lo sport a livello amatoriale), prendo questo Quadernetto sulla gaffe, di Giuseppe Manfridi per Gremese. Dallo stand Ubaldini, prendo un testo dal titolo promettente “Scrivere Zen”. E infine, dopo un paio di calendari su Roma (infondo le feste sono vicine e un pensiero non si nega a nessuno) mi fermo allo stand di Derive e Approdi per prendere un testo strano “Partita a pugni”, “Indagine per foto, parole e smash nel pugilato italiano". Che è una roba che mi manda in visibilio.

Sono le diciannove e trenta. Esco, provato, dal Palazzone. L'Eurcine è a due passi. Mi aspetta l'ultima fatica di Clint Estwood, The changeling, ma di questo, magari, ne parlerò un'altra volta.

04/12/08

Frank Zappa




Non so se nel frattempo è stata battezzata cosi una costellazione che qualche bizzarro astronomo, devoto fan del mitico, ha scoperto col telescopio di qualche polveroso laboratorio dell'Utility Muffin Research (che è un po' una storia a mezzo fra il Procasma e l'osservatorio di Montefiascone).

Zappa ci ha lasciato alla tenera età di cinquantatre anni, il 4 dicembre del '93. Ricordo che quando appresi la notizia ne soffrii, come mi fosse mancato un parente (di quelli a cui stranamente vuoi anche bene, talvolta).

Un grande vuoto. Colmato con la maniacale collezione di quasi tutti i suoi CD più belli, quache dvd di qualche suo concerto (da memo, quello a Barcellona), e un tot di testi.
Anni fa lessi questa biografia qua. Poi, ognitanto, in vena d'allegria o bisognoso di sollecitazioni neuronali degne di nota, via nel lettore, a volume adeguato.

Cosa ha rappresentato per me, un grande salto. Negli anni dell'adolescenza, la deriva delle droghe, di tutti i tipi, compresa quella “politica”, è stato la colonna sonora dei primi “viaggi”, il mito incontrastato da ammirare dagli spalti del palaeur, nel settembre del 74, credo. Da grande guru qual'era, ebbe a regalare ad un pubblico in visibilio, una versione tanto folle quanto lisergica di “Arrivederci Roma” come neanche Renato Rascel sarebbe stato in grado.

Ad oggi, pochi ne hanno saputo eguagliare il talento. Con una chitarra in mano era in grado di comporre qualunque cosa. Stupenda la sua famosa frase, che racchiude un po' dentro di se tutta la cifra del genio: “la mia musica ? E' cinema per le vostre orecchie!”.
Grande Frank !

risorse: sito ufficiale FZ (alzate il volume c'è "watermelon in easter hay" in background)

03/12/08

Scene di lotta di classe, in Italia







In queste ore buie, quattromilioni e seicentomila famiglie stanno per dare il via alla più grande rivoluzione mai avvenuta in Italia.

La chiamata alle armi è sostenuta, come è giusto che sia, dai maggiori quotidiani (che si erano già distinti in passato per l’inedita attività d’endorses) e scaturisce dal fatto che l’insopportabile gabella di 5 euro al mese darà il colpo mortale all’economia del paese.

Non già i forni, quindi, di manzoniana memoria. Ma gli uffici postali. Un mangino briosches, ma al contrario. Ecco che si dispiega la sana rabbia popolare (e chic) contro le scelte di un governo vessatorio e taglieggiatore.

L’ammontare dell’imposta va a toccare proprio quei ceti che maggiormente hanno bisogno di un sostegno, in questa fase, che rende sempre più difficile il pagamento delle rate dei SUV, o il budget per le vacanze nei paradisi tropicali (in questo senso ci saranno a breve proposte di legge d’iniziativa popolare, con tanto di raccolta di firme, nelle strade dello struscio o fuori dagli outlet (veri e propri centri di sobillazione popolare).

L’opposizione rinvigorita da questo inaspettato “regalo di Natale” gongola. Aumenta la coscienza di classe nel paese. E per una volta la giusta rabbia popolare si concentra su un obiettivo serio e imprescindibile: giù le mani dalla pay-tv !

Se McLuhan fosse vivo, oggi, in Italia, farebbe i salti di gioia.

Lunga vita a Murdoch, .Terrore dei governi e faro per la sana incazzatura popolare.

24/11/08

Report


Ovvero il giornalismo d’inchiesta.

Report ne ha fatta un’altra delle sue. Ieri sera è andata in onda una puntata dedicata al problema dei rifiuti a Roma (“L’oro di Roma”)..
Nel corso della puntata è stato inserito un “fuori-onda” nel quale un assessore regionale, con linguaggio colorito, si esprimeva circa l’ineluttabilità che al momento, a Roma, ci sia un’unica Azienda che in totale regime di monopolio, ha in carico tutto il ciclo rifiuti (smaltimento, incenerimento, produzione di energia dai rifiuti combusti).

Oggi, si apprende dai lanci d’agenzia, l’assessore in parola presenterà le dimissioni. Tralasciando ogni e qualsiasi giudizio di merito (che già basta il carosello di voci, sinteticamente riportate a commento della notizia: c’è chi si è svegliato oggi, chi ne approfitta per regolamenti di conti “politici, chi ancora rincara la dose contribuendo a sollevare una tale nuvola di polvere che quella degli inceneritori, al confronto, è impalpabile cipria), la domanda è: cosa è che fa più scalpore ? Che un servizio pubblico, assolva a questa definizione, mettendo mano a quello che manca nel paese: ossia il cosiddetto giornalismo d’inchiesta, o il fuori.onda stile striscia la notizia ?.

Parliamo dell’Italia, non degli USA. Lì, con il Watergate, hanno mandato a casa dei presidenti.
Da noi, Saviano a parte, la disciplina è in ribasso. Vuoi per l’assetto proprietario delle testate. Vuoi per un ceto di addetti ai lavori che sostanzialmente espropriato di una funzione che gli dovrebbe essere connaturata: quella di approfondire i fatti, svolgere inchieste, senza timori reverenziali per nessuna parte politica, di fatto nicchia o fa finta di non vedere.
Qualcuno sospetta che, via Report, si stia giocando una battaglia dai lunghi coltelli fra la sinistra radicale (dalle ultime elezioni sostanzialmente in carico al WWF) e la sinistra “riformista”.
La destra, dal canto suo, gode stando alla finestra, assistendo a questa lotta fratricida.

Un'unica considerazione. Proprio la disabitudine a questo modo di fare giornalismo (che invece, implicitamente è un sale per la democrazia, nella sua accezione più pura), dimostra che l’utenza non è preparata. Tanto circostanziata e corretta è l’analisi di una situazione (dati incontrovertibili: il regime di monopolio nell’affare rifiuti è sotto gli occhi di tutti), quanto maggiore è lo sgomento di chi lo apprende via schermi televisivi e si sofferma sull’implicita “macchiettizzazione” di un protagonista, non proprio di secondo piano.

Già in passato, ai primi di maggio, ad urne appena chiuse per l’elezione del Sindaco di Roma, andò in onda una puntata simpaticamente intitolata “I Re di Roma”, dalla quale si è appreso dei giganteschi interessi che hanno ruotato intorno al Piano Regolatore Generale, fra il ceto dei “palazzinari” e il potere politico del Campidoglio nonchè la portata mefitica del cosidetto "accordo di programma".

Ora, non so di che ufficio legale disponga la redazione di Report. Immagino che avrà il suo bel daffare, con tutti i vespai che solleva, quando alza il coperchio su realtà che ci riguardano tutti. Quello che so è che a fronte di queste inchieste, che come si diceva una volta “non guardano in faccia nessuno”, proprio gli addetti all’informazione dovrebbero porsi quest’elementare domanda “ma io come me lo guadagno il pane ?”.

21/11/08

Miglior sesso, siamo inglesi

(o Sex, non in the city, ma into the books)

Succede anche di questo.
L'intento è nobile, la letteratura ha bisogno di liberarsi dai cattivi esempi. Quali ? Quelli di quanti, scrivendo, si sono macchiati dell'incapacità di saper descrivere l'atto sessuale, o lo hanno fatto in modo cosi insulso da meritarsi la messa al bando (con l'intento propedeutico, di evitare in futuro il ripetere tali cadute di stile).
Il sesso, il grande tabù viola, che nelle pagine dei libri, sta alla capacità di chi scrive evitare venga banalizzato, nella sua crudezza, a mero atto fisiologico.

Ecco quindi che un'autorevole testata Inglese (Literary Review) giunge addirittura a formulare un premio omeopatico, “le peggiori pagine di sesso mai apparse su un libro”. L'anno scorso se l'è aggiudicato, postumo, Norman Mailer, quest'anno il giudizio è sospeso, almeno fino al prossimo 25 novembre, in gara nomi da milioni di copie, come Paulo Coelho e un certo Campbell, già consigliere di Tony Blair (l'articolo adombra un suo coinvolgimento con la faccenda dei falsi top secret circa le armi di distruzione di massa in Iraq) e già scrittore con un passato di storie porno per le riviste del settore. L'organizzatore, in merito, ha dichiarato : «Serve per richiamare delicatamente l'attenzione degli autori e degli editori sulle scene di sesso crude, prive di gusto, spesso superficiali e ridondanti nei romanzi moderni. E per scoraggiarli».
Ora, ipotizzando un premio al contrario (dedicato alle migliori, invece) la mia personale classifica va:
al primo posto: Gustave Flaubert, per Madame Bovary.
Motivazione: la migliore descrizione, è quella che non c'è. Che lascia alla fantasia del lettore, ipotizzare (senza molti dubbi...e qui sta la bravura) cosa stia avvenendo nella carrozza nella quale la signora Bovary va a spasso col suo amante. Lo scrittore si attarda a descrivere il paesaggio, l'itinerario che compie la carrozza, ma si guarda bene dallo spendere una sola parola per descrivere cosa sta accadendo al suo interno. Più erotismo di questo ?


Al secondo posto: un racconto di Harold Brodkey intitolato «Innocenza» (nella raccolta Storie in modo quasi classico, Mondadori 1991).
Motivazione: Qui, al contrario, c'è il festival dell'estensione. La ridondante descrizione di un cunnilingus che si protrae per una ventina di pagine. La cosa strana è che nonostante la prolissità, l'esperimento narrativo riesce, ma per una sorta di assuefazione. Alla fine il lettore ne esce non già con un misto di nausea e/o noia, ma con la rassegnata constatazione che il concetto di tempo dilatato è proprio alla base della narrativa.

Something else ?

Villari vs Zavoli, una telenovela

In totale silenzio, sulla blogosfera, la vicenda definita “surreale” della nomina alla Direzione del Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI.

Piccolo passo indietro (ma illuminante). Semanticamente la parola “vigilanza”, accostata a “parlamentare”, definiscono ambiti che resta difficile vedere applicati, nel novero delle democrazie occidentali, al concetto di libera informazione..E svelano, tutte insieme, le anomalie del sistema italiano.

Intanto, la definizione di RAI, servizio pubblico. Che genera, o dovrebbe generare, informazione.
Non che non lo faccia, eh. Solo, un po’ a modo suo. E questo da il senso della lotta all’ultimo sangue che si sta svolgendo, nel silenzio totale dei blog radical-chic nostrani.

Una pagina triste. Che ricorda la vicenda di Sisto V. Dato per malato, durante il conclave, venne investito comunque dell’insigne carica papale, contando sul suo precario stato di salute, e quindi, implicitamente (e questo dev’essere un vizio che tuttora si perpetua in forza di questo retaggio) prendendo tempo e contando sull’assottigliarsi di quest’ultimo, stante le condizioni di salute del predetto. Il pontificato di Sisto V durò, cosi ci dice la storia, cinque (immagino lunghissimi) anni.

Non conosco Villari. Di Zavoli so che è stato un discreto dirigente RAI. Sulla sceneggiata delle dimissioni, se proprio ce n’era ancora bisogno, stanno facendo tutti, ma proprio tutti, una pessima figura. Quello che alla fine rimane, è che da questa melma del potere non se ne esce.Con buona pace dell’informazione. Che in questo paese, solo per gli illusi, può ancora dirsi libera.

20/11/08

I mitici anni '80

cazzo faceva questo negli anni '80 ?

L'intro è felliniano. Il resto è da incorniciare come l'esempio di una L.A. da bere

Lunga vita a Randy "pocavoce" Newman.

19/11/08

Successione di punti (non è una retta ?)

Cechov dice che bisogna scrivere quello di cui si conosce. Andato volontario su un'isola adibita a colonia penale, e sostatovi per diverso tempo, convenne che l'aver conosciuto ogni singolo residente, gli avesse regalato l'opportunità non già di parlarne, ma di parlare delle proprie impressioni, del come aveva passato il tempo li, delle sensazioni che gli aveva procurato scambiare parole con loro.

Una rivoluzione copernicana, e insieme un punto di vista dignitoso. In altri termini, la realtà da un piano meramente oggettivo “cronicistico”, passa, filtrata attraverso la propria ottica (l'insieme delle esperienze che determinano lo sguardo soggettivo) riprende il sopravvento, come in una lotta atavica. Miglior servizio, per la narrazione, non esiste.

Con tale “focale”, la storia arriva a noi, lettori di più di un secolo dopo, intatta. Senza nessun infingimento. Almeno, lo sappiamo: sono le considerazioni di Anton Cechov. Punto.
Approcciare la voglia di scrivere un romanzo. Essere consapevoli di quello che potrebbe esserne l'umore. Ma atterriti dal confrontarsi con cose tipo una trama (il più possibile avvincente). Vorrei invece prendere a prestito la grande offerta di mezzi che quest'epoca ci regala. L'ipertesto, la possibilità di inventare un tappeto musicale che faccia da sfondo, alla narrazione. Una scrittura contaminata dalla seduzione dell''immagine. Capace di renderla senza ricorrervi. E donandola ai propri lettori, dotati di fantasia.

Cosi, per scherzo, immaginare che un capitolo possa essere corale. Raccontando delle visioni di un gruppo di lettori che leggono, hanno letto, lo stesso testo. Alla fine ciò che ne esce è uno splendido corollario di tutto ciò che è in grado di sollecitare una storia. Potrebbero farlo i personaggi stessi, rimediando alla difficoltà di reperire persone, amici che si prestino. E in tal caso, dovrebbe esser molto bravo lo scrittore a porsi difronte alla narrazione (che è sempre sua) come non fosse tale. Guardarla, dopo averla depositata su un piano, da tutti i punti di vista possibili. Esercizi da scuola di scrittura. Come quando ti dicono di narrare la storia di un vino, partendo dalle sensazioni del bicchiere che lo contiene. Cose cosi.

Allora, narrare del proprio quotidiano, sforzandosi di volerci leggere il midollo spinale di una poesia che stenta ad esser individuata, sotto il peso mortifero dell'abitudine. La meraviglia che genera il collegare cose fra loro apparentemente sconnesse. E la bravura sarebbe farla venire fuori senza declamarla, senza dichiararla, ma per semplice accostamento di piani narrativi. Una specie di reazione di fisica. Un campo di forze. Compiute, ciascuna, per i fatti suoi, ma che si dotano di un potere particolare nel caso in cui confliggono. Le parole, per dirlo, che a quel punto escono da sole. Come quando, la profonda convinzione e conoscenza di un argomento, te ne fanno declamare senza dubbio alcuno, la sostanza con una facilità estrema. Con la leggerezza di un ballo.
Fare appello alla geometria. La descrizione di punti. La carreggiata di una consolare che parte da Roma, intasata di vetture, spesso, con una sola persona a bordo. Il pretesto del maltempo a giustificare porzioni di tempo esagerate, sprecate per percorrere pochi chilometri. Tutti insieme, ma ognuno, rigorosamente per i fatti suoi. Con la sua musica, la sua stazione radio, i suoi colloqui al telefonino, i soli suoi pensieri. C'è la dolente percezione della moltitudine, intrisa di tacita rassegnazione. La descrizione di una somma zero. Il cumulo di energia psichica che si genera in questi non luoghi, moderni surrogati delle antiche agorà. Insieme il trionfo della mobilità, celebrato col suo peggiore corollario: lo sperpero del tempo, in luogo del suo guadagno, ottenuto a bordo di un veicolo capace di indirizzarci dove vogliamo. Disporre di una macchina diabolica che sia in grado di secernere, come da un enorme frantoio, la mole dei pensieri di tutti gli occupanti di queste distese di lamiera gommata che si dipanano dalla capitale, nelle prime ore del pomeriggio, cosi come all'alba. Avresti cosi modo di capire, che il livello di rassegnazione a sostenere una coda, passa dal desiderio atavico di mobilità, dalla necessità di indipendenza, dalla impossibilità di ricorrere ad un mezzo pubblico, non solo laddove questo latiti o sia insufficiente. Ci sono i modelli delle auto. La loro varietà testimonia la volontà di ciascuno di esercitare il suo gusto, in chiave di grandezza, modello, finanche colore della carrozzeria. La scelta dettata da un insieme di variabili (capacità di sostenere il costo d'esercizio in rapporto al proprio reddito), dal desiderio di apparire, ricorrendo ad una variante del ruolo che giocano i vestiti. Cosi ci hanno educato a venire su, regalandoci la convinzione di esser noi a scegliere. Prendendo per buone le lusinghe subliminali della pubblicità. Ma resta il fatto che su cento metri di coda, in quest'ultimi tempi, è aumentato a dismisura il numero di modelli. E questo può inficiare la teoria qua esposta. E' la quantità dell'offerta, come sempre, a determinare la varietà delle scelte. E' anche estremamente probabile che spingendo all'estremo l'offerta nell'ottica di enfatizzare la personalizzazione, si potrebbe assistere, nel volgere di pochi anni, ad una dilagante affermazione del modello individuale. Laddove questo, prima ancora che dar da mangiare ai sociologi accorsi a comprenderne i motivi, potrebbe semplicemente denunciare una comunione fra il gusto individuale e la modalità costruttiva de-serializzata.

La capacità di comprendere tutto questo è da considerarsi una conquista dell'uomo libero del prossimo futuro. La successione di punti. Il festival dell'individualismo che si inoltra, come un fiume in piena, nelle pieghe della vita di tutti i giorni, sulle strade.
Dove mi ritrovo adesso. Sotto una pioggia battente.

17/11/08

La bellezza del blues.


Venerdi sera, scoperto per puro caso, girando sul web, si è esibito a Roma, Bernard Allison.
Conosco quest’artista da quando, per dar retta all’insana passione di scovare cover di brani celebri mi sono imbattuto, via emule, nella sua versione di Tin Pan Alley.

Tralascio (ma mi riprometto di tornarci) sul valore intrinseco del brano (intendo, proprio la storia di come e quando è stato scritto) che meriterebbe un post a se. Voglio solo precisare che, cosa che capita sempre più raramente, m’ha stregato dal primo ascolto.

Ho le orecchie devastate da sonorità blues. Ma il tocco di B.A. mi ha stregato. Dotato di rara pulizia, ho cominciato a cercarlo, negli striminziti ed angusti “angoli del blues” dei negozi di musica (Piero confermi ?) cosi come sulle bancarelle dell’usato, e a maggior ragione dal web.

Allison dal vivo, con queste credenziali, era spettacolo assolutamente definibile “da non perdere”.
E cosi è stato.
Il luogo che ha ospitato il concerto (http://www.stazionebirra.biz/), nel quale non ero mai stato, si presenta caldo, arioso. Per accedere alla sala, dove sono i tavoli (visto che si può comodamente mangiare mentre si ascolta musica) si transita vicino a dei macchinari che la producono proprio, la birra.
Nella grande sala, sovrastata da carri ponte, adeguatamente riadattati ad elementi d’arredo per sostenere la possente amplificazione (zero totale, o quasi, di distorsione), prendono posto un migliaio di persone circa.

A sorpresa si aggiunge sorpresa, giacchè, ironia della sorte, ho potuto appurare che il deus ex machina di tutta la faccenda è una mia vecchia conoscenza (dai tempi del liceo…).

Allison arriva sul palco, preceduto dal gruppo composto da : sax e percussionista, bassista, seconda chitarra (notevole), tastierista (senza parole: anche se lui le parole le maneggia: e infatti ha scritto diversi brani per un altro grande mostro sacro: Johnny (Kid) Lang, e un batterista che evidentemente era sovralimentato a duracell (non è stato un attimo fermo dall’inizio alla fine).
E’ dinoccolato e inforca una chitarra blu elettrico, dalla quale comincia a fare uscire di tutto.

Brani dall’ultimo cd (che il bravo fratellino m’ha portato fresco fresco dagli Usa giorni fa), ma anche dal suo repertorio e soprattutto, tante, tante cover.

Il pubblico è in trance, la band macina ritmo, spaziando dal blues, al funky, a brani spiccatamente rock. E’ un torrente in piena. La band si diverte, si alternano gli a-solo, tutti, ma proprio tutti, ad un livello di qualità apprezzabile. Se ha un difetto è la tendenza al prolisso, ma convengo che è tipico dei concerti live, quello di estendere e reintepretare al momento i brani, leggendoci dentro il divertimento in luogo della fredda scansione degli stessi, più tipica dello studio di registrazione.

Alla fine, Allison scende dal palco (non senza aver dedicato prima commosse parole in ricordo del padre, il mitico Luther), e comincia a giocare col wha wha con i bambini (che a riprova che il posto è un locale “per tutti” affollano i tavoli), come in un grande sabba. Trovo il tempo per stringergli la mano….”Hey man” mi dice, sorridente.

Un grande.E una gran bella band.
Buon blues a tutti.
risorse: link al sito web dell'artista: qui

14/11/08

Copiatelo, ma davvero.


Scalpore (ma poi è il termine esatto ?) sta suscitando un questionario che il “Presidente eletto” (fantastica come definizione) Barak Obama ha inviato a coloro che intendono ricoprire incarichi di medio-alto livello nella nuova amministrazione che sta allestendo in vista dell’investitura ufficiale prevista per il prossimo gennaio.

Le domande vertono su una serie di aspetti e sono sommariamente riportate in questo articolo.
L’intento, giudica l’autore dell’articolo, è oltre a fornire e dare prova di trasparenza assoluta circa i propri comportamenti sociali, anche quello di svelare eventuali rapporti con le lobby.

Ora, alla luce di come stiamo messi da noi, coloro che si sbracciano ad attribuirsi la palma dell’esempio (tutto italiano) dovrebbero umilmente provare a fare un esercizio analogo.
Ridurre alla fame gente come Gianantonio Stella o Marco Travaglio, riportando le cose sotto l’egida dell’efficienza e non del pecoreccio “tengo famiglia” che è duro da estirpare dai patri lidi.

Cosi, galantuomini come i palazzinari romani, ai quali va il nostro commosso ringraziamento per lo sperpero di tempo impiegato (soprattutto in graziose giornate di uragani come queste) per transitare su arterie obsolete e strozzate dal risultato della benevolenza urbanistica del Comune di Roma (attuale e pregressa, beninteso), si troverebbero a dover competere sul mercato senza “ciambelle di salvataggio” che in luogo di garantire “corsie preferenziali” ad interessi privati, metterebbero al centro, per una volta, gli interessi “pubblici” (della collettività) .

Un’utopia ?Forse, ma stiamo a vedere. Dallo stile di lavoro di quest’uomo dovremmo aspettarci davvero una lezione. Che meditino i suoi paladini locali (di oggi e di ieri).

12/11/08

Uomo nel buio, di Paul Auster


Poi, un giorno, bisognerebbe fare un discorso sul fascino perverso di Fabio Fazio. Intendo sulla capacità subliminal-prescrittiva che il volere scrittori di fama, in studio, facendogli ad arte domande sia sulla loro personale visione della vita e “vistochecisono” anche della loro ultima fatica.Cosi ho ceduto e qualche settimana fa, proprio a seguito della visione della trasmissione ho preso questo testo. Conoscevo Auster per aver sfogliato la sua triologia su NY. L'utilizzo del verbo sfogliato non è casuale. Non l'ho mai completata. Un giorno, forse, lo farò.

Uomo nel buio, invece è un romanzo breve. Uno di quelli che, a vederli, ti dici....questo me lo sparo in un pomeriggio (è nota la mia idiosincrasia per i romanzi, di conserva, prediligo le raccolte di racconti). Cosi è stato.


Auster è un furbone. La cosa che mi resta dopo la lettura è l'ammirazione per come sa padroneggiare la trama, fottendosene di schemi imposti. Alludo alla struttura narrativa. Da subito si dispone su due piani. C'è un uomo anziano, vedovo, vagamente paralizzato, che soffre d'insonnia, in una casa abitata insieme alla figlia e alla nipote. E' un giornalista-scrittore e oltre a vedere durante il giorno film a ruota continua con la nipote, sul divano, la notte per ingannare il tempo, ipotizza una storia parallela.


Acute molte sue critiche su diversi capolavori cinematografici e insieme, molto bella questa definizione "I libri ti costringono a contraccambiarli con qualcosa, a esercitare l'intelligenza e la fantasia, mentre un film si può vedere - e anche godere - in uno stato di passività inerte". I contorni non sono definitissimi. Il lettore è indotto a credere vivano entrambe di vita propria e procede con curiosità. Il colpo di genio arriva a tre quarti dalla fine, quando alla stregua di un direttore d'orchestra fa terminare la storia parallela (una presunta guerra civile fra gli ormai ex stati uniti americani), e “ripiomba” nel quotidiano (che non ha mai abbandonato del tutto, intercalando porzioni di narrazione, anche durante la descrizione di quello che risulta un qualcosa a metà fra un incubo e un canovaccio, ricco di spunti narrativi tali da conferirgli pari dignità, che è il sogno).
Mestiere, mica è da tutti mettere in piedi una cosa cosi e pretendere di farla franca. Eppure Auster ci riesce, in virtù di una prosa scorrevole e sussurata, Fa finire il romanzo in una salsa di rimembranze, nell'ordine, sulla guerra (stavolta quella vera) dalla seconda guerra mondiale, al conflitto in Iraq con tanto di descrizione della decapitazione dell'ex fidanzato della nipote, una scena che si tiene in forza del fatto che è capace di non cadere in un banale grand-guignol, ma rimandando invece, a tutta la banalità del male) e ancora sulla ex moglie, ( degna di nota questa definizione "non voglio credere che il divorzio non sia una cosa crudele. Dolore indicibile, atroce disperazione, rabbia diabolica e nella testa una nuvola costante di tristezza, che a poco a poco si trasforma in una specie di lutto, come se stessimo piangendo una morte"), colorando di malinconia la rapida discesa verso la fine del romanzo.


Che dire ? Volendo infrangere uno dei comandamenti della lettura che recita che non va mai fatta la psicanalisi di un testo (e di conseguenza, del suo autore) è difficile non leggerci un senso di angoscia, vagamente rappreso, qui dominato, ma che sottende evidentemente l'universo creativo di molte delle opere sfornate negli Usa negli ultimi tempi. Tento questa analisi mettendo insieme la tematica de La strada, di Mc.Carthy, il film Io sono leggenda, e buon ultimo anche Wall-e. Insieme sono l'espressione di un disorientamento, preludio alla grave crisi economica che si sta vivendo, e in quanto tali, anche se involontariamente, ne rappresentano un monito presago con un tre per cento di speranza.

Einaudi,2008 trad. Massimo Bocchiola €.17
risorse: sito Paul Auster (in inglese): qui

podcast della puntata di Che tempo che fa con l'autore: qui

08/11/08

Caro Signor Capote, di Gordon Lish


Ho finito di leggere da poco, “Caro Signor Capote”, di Gordon Lish.(Nutrimenti ed. €. 16,00). Non ho mai letto nulla di suo prima. L'ho preso perchè citato nell'articolo che ha dato il la per scrivere quest'altro pezzo.
Difficile mettersi a leggere senza ricordare che GL è stato, anche, l'editor di Raymond Carver. Ma nulla, in questo testo, rimanda lontanamente a Carver. E' un testo “scomodo”. Una eterna, lunghissima lettera, di un uomo che sostiene di aver fatto fuori con una pugnalata (Paki è il nome dell'arma) nell'occhio sinistro ben ventitrè donne.

La lettera come si può evincere agevolmente dal titolo è indirizzata a Truman Capote, nell'intento di sottoporgli “il best-seller” del secolo, visto che all'estensore sono noti i precedenti di Capote, con il suo celebre “A sangue freddo” (e al quale, nella scelta del destinatario, preferito a Norman Mayler, va indirettamente la stima del serial killer).

E' un romanzo strano. Intanto la lingua. Col procedere delle pagine si viene ipnotizzati dal lessico ripetivo, denso di tic, modi di dire, luoghi comuni, di cui è intrisa la cultura di quest'uomo medio americano, cresciuto a tv, impiegato di banca (da noi, abbiamo Avoledo che sta degnamente rappresentando coi suoi personaggi la categoria, che dev'essere una miniera, narrativamente parlando).Una fatica bestiale venirne a capo. La prosa dilaga, si affastellano deja-vu, continui flash-back, in quello che può essere definito il progressivo disfacimento di una mente normodotata, verso pulsioni maniaco-depressive, e grande è la capacità di Lish, di non voler frapporre nulla, ne delle comode aree di sosta, per il lettore, nelle quali rifiatare, ne contestualizzazioni che ne smorzino il ritmo. Forse, le uniche pagine, a dare respiro sono quelle a sfondo sessuale, nelle quali l'autore della lettera, ormai autoconvintosi della benevolenza del destinatario, si lascia andare a ricordi di incontri piccanti con una ragazzina e poi con la mamma di lei, vagamente alcolizzata.

Porti a termine, con una certa fatica, le 188 pagine, per poi lasciarti assalire dal dubbio che non sia vero niente. Che il tutto rappresenti un tentativo originale di auto.promozione, dell'autore, che arriva a millantare una serie di delitti per ingenerare curiosità in Capote e catturare la sua benevolenza per chissà quale impresa letteraria. Uno scherzo, ben confezionato d'accordo, ma che sostanzialmente non lascia e non toglie nulla di nuovo nel panorama della recente narrativa statunitense.

Da leggere quando si è soli, in casa, hai il raffreddore e sei stramazzato sul divano, intontito dai farmaci, fra un sonnellino e l'altro.

07/11/08

Portfolio (1)




Personaggi
Jean Kurt Husky, bassista degli Heaven's crakers.
Ha inciso, negli anni, dei veri e propri capolavori di blues. Vanta diversi Grammy's.
E' diventato famoso, oltre che per le sue scale pentatoniche (qualcuno ha azzardato il paragone con il compianto Jaco Pastorius) anche per la sua passione per i cani razza pitbull.


“Amo trattenere i miei ospiti” ha detto a proposito del suo proverbiale senso dell'ospitalità.

risorse: link al sito ufficiale della band: qui

06/11/08

Un giorno qualunque, del 2020

sottotitolo ("La strada" de noantri).

La pioggia batte insistente sulle stecche metalliche della persiana. Non è ancora giorno.
Nella penombra della stanza, girandomi nell'enorme letto vuoto, cerco di trovare a tentoni l'antifurto. Lo trovo, spengo l'allarme mi alzo.
Percorro a memoria i pochi passi che mi separano dal bagno. Alzo la tavoletta. Dopo, schiaccio il bottone dello scarico. Torno in camera, prendo la pistola, scendo per farmi un caffè, in cucina.
Accendo il fuoco, trovando dei legnetti secchi che ho messo ad asciugare davanti ad una finestra socchiusa. Da fuori arriva una lama di freddo, ci saranno 7 o 8 gradi al massimo. E' novembre, solo che lo è per tutto l'anno.
Accendo la radio. Il bollettino del tempo non promette nulla di buono. Tempesta di smog e sabbia, sarà un altro giorno anche oggi. Una luce grigia si impossessa del cielo. I pochi uccelli, tacciono all'arrivo del suono degli spari, dai quartieri vicini.
La porta è sprangata. Le persiane corazzate. Le bande, le gang di rumeni e molisani alleate, vogliono il controllo della città. Alla radio, Frank Sinatra canta una lungimirante Fly me to the moon. Mi commuovo. Guardo la gatta dimagrire giorno dopo giorno. Penso a come potrebbe essere in casseruola. Verso mezzogiorno, l'ora di massima luce della giornata, smuovendo un po' di terra, nell'orto, proverò a tirar fuori quattro patate, quelle che i rumeni non avranno ancora portato via, entrando nottetempo nel giardino.
Sono indietro di dieci mesi col pagamento del mutuo. La macchina è ferma in garage, senza un goccio di gasolio nel serbatoio. L'ultima volta che, protetti dalla forza pubblica, due ragazzini magri come zombie, in divisa, hanno tentato di notificarmi lo sfratto, ho esploso un intero caricatore per aria. Da allora, non li ho più rivisti.
Sono allo stremo delle forze. Passo le giornate sbarrato e leggo. Leggo di tutto. Sono tutti i libri che ho comprato e mai letto. Ho già stilato una sorta di classifica di quelli che dovrò rileggere, quando li avrò letti già tutti. Ho autonomia ancora per qualche mese. Mai come in questo caso non rimpiango di aver speso i miei soldi cosi. La televisione è inutilizzabile. Sebbene alimentata da una specie di pannello fotovoltaico, trasmette solo notiziari in rumeno, nemmeno sottotitolati. L'altra mattina l'ho accesa, perchè avevo voglia di novità. Quando ha finito di leggere le notizie dal mondo, ho chiesto all'ologramma della speaker, in un tallieur niente male e con un bel culo, se aveva nulla in contrario a farmi un bel pompino. Gli ologrammi non rispondono, cosi dopo ho sintonizzato sul web 14.0 e mi sono masturbato.

Verso l'ora di pranzo hanno suonato alla porta. La solita banda di ragazzini sciacalli. Entrano con la scusa di chiederti un po' di roba da mangiare. Tu cedi, e quelli ti mangiano a te, dopo aver spogliato la tua casa, ovviamente. Cosi ho sprecato altre 5 o 6 pallottole, tanto per dargli il benvenuto ed esser sicuro che non avessero dubbi circa il livello della mia generosità.
Ho letto tutto il giorno. Dumas, e poi Potok, e i due volumi di Colombati (Rio) che ho comprato due volte (la seconda volta perchè, nel mio disordine, avevo dimenticato dove era andata a finire la prima copia, ma questo accadeva tanti anni fa).

I Rom e i broker di borsa sono l'aristocrazia di ciò che resta del paese. Speculari, gli uni agli altri si sono divisi la torta, o meglio, ciò che rimane di essa. Da lontano, sento che sparano ancora. Le case qui intorno sono tutte ormai vuote. I pochi vicini, sono cosi lontani, che bisogna camminare due ore, nel fango, e guardandosi le spalle, magari solo per condividere un te, con qualche biscotto fatto in casa. Non ho più zucchero, mentre loro ne possiedono un bancale, trafugato da un magazzino di un Ipergross, durante una razzia. A volte me lo regalano. Ma ormai ho imparato a farne a meno. Il caffè lo prendo sempre amaro.

Anche stamattina è cosi. Solo, che cazzo di strani pensieri, eh !

05/11/08

Il manager ed il netturbino

N.Y. 11 sett.2001
Obama è il Presidente. Si, con la P maiuscola, come si conviene per l’importanza del rango.
L’America. Anzi gli States, come sbrigativamente, e affettando dimestichezza con l’altra sponda dell’oceano qualcuno li chiama, sono gli stati Uniti d’America.

Oggi a Roma fa caldo. E’ un sole irreale, dopo il nubifragio di ieri. Le solite cose, strade allagate, ieri sera la A.S. Roma ha strapazzato il Chelsea, stamattina un est europeo in stato alterato ha investito una dozzina di persone ferme in attesa di un bus, guidando una BMW. Tutto come al solito ?

No, oggi è una giornata speciale. E’ come il 12 settembre, di tanti anni fa. Anche allora, allibito, ero rimasto in casa, c’era il sole, ho stampato la copertina in pdf del corriere della sera (che ora campeggia sulla scrivania) con le foto irreali, da fumetto di fantascienza, delle torri in fumo.
Stamattina ho sentito non so quante volte il discorso di Obama, nello stadio di Chicago.

L’America sono gli occhi spaesati di quel netturbino, in divisa, che si gira, di scatto, appena si ode lo schianto del primo aereo sulle twin towers. L’America sono le smorfie di Obama alla fine di ogni sua frase, nel discorso che ha tenuto stanotte.
L’America è un modo di sentire. L’America è il cimitero di Anzio, con le sue lapidi bianche su un prato all’inglese curatissimo. L’America sono i ragazzi morti ad ogni latitudine, per consentirmi di uscire, la mattina, compiere una serie enne di gesti abituali. L’America, da stanotte, ha ripreso, nell’immaginario collettivo quel ruolo che da tempo le era sfuggito di mano.
Non la voglio far troppo rosa. Dal manager fotografato con la faccia triste, cartone in mano, che esce dando le spalle, in una grigia giornata, all’ufficio della finanziaria nella quale ha lavorato, all’ultimo dei netturbini di Detroit (e fra questi anche stimati bluesman, in privato), una storia per fotografie.

Non so cosa rappresenti agli occhi di entrambi. Ma anche nel gesto col quale John braccinecorte McCain ha zittito i suoi fan, nel paludato albergo nel quale ha celebrato, prim’ancora che la propria sconfitta, la consapevolezza che il suo rivale gli ha offerto un’occasione unica.
Quella di ribadire che dietro all’affermazione “questo è il paese dove tutto è possibile”, c’è un comune sentire, la disponibilità a lavorare insieme.

Adesso aspettiamoci il desolante teatrino dei nostri opinionisti, meglio ancora, dei nostri politici.
Che abbiano un rigurgito di coscienza, almeno. Tacciano, e riflettano su cosa manca davvero in questo paese. Nel paese delle caste, dell’io mi faccio i cazzi miei, della corruzione dilagante.
E’ una lezione, che già solo per il fatto di essere accaduta, potrebbe rappresentare, se interpretata nel giusto modo, un esempio.

Di qualcuno che sappia interpretare questa lezione, anche da noi, di questo c’e’ bisogno.
Ma in silenzio, per favore.
Che di proclami vuoti ed inutili ne abbiamo già piene le palle.

Buon lavoro, Presidente. E, di nuovo, buongiorno America !

04/11/08

L'insopportabile leggerezza del palinsesto.

Succede che per tenersi aggiornati, dopo la scelta di non comprare più quotidiani (il fuoco, nel camino si accende anche con altro), uno limiti la “spesa” al sabato per Tuttolibri (su La Stampa) e la domenica, per l'inserto de Il sole 24 ore. Hanno entrambi lo stesso oggetto: i libri, e in senso lato la cultura.

Succede che a firma Als Ob, ci sia un articolo, sulle ultime pagine (va detto che l'inserto del quotidiano in rosa è piuttosto corposo) che volendo essere leggero, o “di colore” come non amano dire in America in questi giorni, si occupi di televisione (non a caso, visto che l'occhiello recita...”telesponde”).

Ora, l'articolo in parola, prende in oggetto la programmazione pomeridiana sulle reti Rai, in particolare un programma che viene trasmesso in quella fascia e che ringraziando iddio, non conta certo gli indici d'ascolto dei tiggi né tantomeno quelli della cosidetta “prima” o “seconda” serata.
L'ironia con la quale l'autore si accanisce contro la soubrettina che lo conduce, nonché sulla vacuità dei temi trattati (nella puntata in esame, quello fra le coppie con la lei più “anziana” del lui) se pure in grado di strappare sul momento, un sorriso, di certo induce a più profonde riflessioni.

E la riflessione è questa. Deridere tali programmi è come sparare sulla crocerossa. Ho sempre provato curiosità nel voler comprendere le ragioni, palesi o recondite che siano, che portano chi è responsabile della programmazione a questo tipo di scelte. Che tipo d'Italia ha in mente? Dove si è formato la sua opinione, sulla scorta di quali dati o se sono nozioni dirette, da quali fonti desume che il propinare simile paccottiglia, prima ancora che esporlo alla severa e ironica critica del sig. Als Ob di turno, possa effettivamente incontrare il favore (si legge audience, è pane per gli sponsor) dei telespettatori che a quell'ora (ma chi sono ? Studenti svogliati ? Casalinghe ? Pazienti d'ospedale ? Detenuti ?) si trovano (loro malgrado ?) davanti alla televisione ?

E' importante saperlo. Cosi come sarebbe importante capire che dietro al birignao per i congiuntivi sballati di Carmen Di Pietro (no, non è parente), c'è tutta la chiave di lettura del paradosso italiano.
Fior fiore di intellettuali che, forti del loro snobismo, dall'alto dei pulpiti tuonano contro lo scadimento di quella che pure, a livello di canone, dovrebbe essere la tivu pubbblica (si, con tre b) che tollerano questa decadenza del costume con stizziti corsivi al vetriolo (quando e se se ne accorgono: difficile che a quell'ora siano davanti ad una tivu pure loro...) ma che sostanzialmente con il loro fare d'avanguardia, si guardano bene dallo sporcarsi le mani, chiedere e pretendere di aver voce in capitolo nella composizione dei palinsesti, che pure, trattandosi di rete pubblica dovrebbe interessarli sicuramente di più e meglio di quanto propinano quelle private (o commerciali, come si amava dire una volta, in ossequio ad un distinguo che, alla luce di come stiamo messi oggi, non ha più ragione di esistere, o è fortemente compromesso).

La faccio breve: finchè le uniche intelligenze in circolazione non prenderanno di petto la faccenda dell'auditel, mettendo fine a questo scomodo “convitato di pietra” nelle riunioni di redazione, che tanti danni ha fatto e continua a fare nelle coscienze del paese, aspettiamoci che l'unico vero orizzonte praticabile sia quello, tutto aventiniano e tuttosommato tipico di tanta intellighenzia a gettone che alligna nei posti chiave culturali del paese, di aver materia prima a disposizione per scrivere alla domenica, sul giornale della confindustria, spiritosi quanto inutili articoli di costume, capaci dello stesso impatto che può avere una polaroid.

Hanno talmente preso sul serio la loro parte, dal non accorgersi che, nel frattempo è ingiallita. E loro, con essa.

02/11/08

Cortocircuiti metropolitani

Giorni fa, ora di pranzo.
Sono a tavola con una masnada di tagliagole. Colleghi che non guasterebbero in un remake italiano dello splendido film “The big kaouna” del mitico Danny DeVito.

Mentre si discetta del più e del meno (ma soprattutto del meno) suona il cellulare.
Leggo sul display “Stefania”.
Faccio mentalmente appello alla mia memoria per ricordarmi di costei. Arrivo alla velocità della luce a definire chi è, anche aiutato un po’ dalla voce….Cletus ?
Si, rispondo, con nonchalance.
Ciao sono Stefania.
Si l’ho visto.
(mentre mi chiedo cosa possa volere…ricordo che ci sono uscito a cena una sera ma la cosa è morta lì, e da allora ci siamo visti sempre e solo per questioni di lavoro, nelle rare volte che passo a trovare il cliente presso il quale lavora).
Senti Giuseppe, ho un problema coi denti.

Ora, per pura coincidenza anche io sto attraversando una fase analoga e sto raccogliendo preventivi per una cura il cui costo si aggira su quello di un’utilitaria. Cosi, inebetito dalla curiosità mi dispongo all’ascolto e sento che mi dice….
“ho problemi, mi si sono rotti due denti, non riesco a masticare”….

A quel punto, realizzo che è un altro Cletus quello che sta cercando e la blocco….Senti Stefania, prima che la telefonata scivoli sul compromettente, credo che sia un altro Cletus colui che stai cercando, io non faccio il dentista (almeno…non ancora).

Silenzio.

Dopo qualche secondo di sbigottimento. Scusami Cletus, è che sto guidando e non ci vedo bene, ho cercato sulla rubrica e t’ho chiamato scambiandoti per un altro Cletus che fa il dentista.
Si me ne sono accorto.
Nel frattempo la platea di colleghi che ha assistito alla telefonata era variamente piegata sui rispettivi piatti a ridere a crepapelle.

Non parlarmi di denti, Stefà, sto messo peggio de te.
Sentiamoci per andare a cena magari eh ? E fammi sapere se il tuo amico è bravo !
Ok, si certo, e scusami ancora, Cletus.
Di niente, ciao.

Click
Click

01/11/08

L'importanza del lato B, di Annie Kelowsky

Da una scarna recensione su qualche rivista di culto, specializzata in libri [tuttolibri e l'inserto della domenica del Sole24] ho appreso dell'esistenza di questo testo. Fresco di stampa, l'ho trovato senza troppa fatica in una grande libreria di Roma. "Evento dell'anno", recitava l'immancabile fascetta.
"Candidato al Book prize", un'altra, e "Da questo testo, a breve un film diretto da Wim Wenders" un'altra ancora.

Con credenziali del genere, minimo aspettarsi un capolavoro.
E in parte lo è, ma di geometria che dilaga nella psicologia.

Il lato B. Il lato B, informa la nostra vita. E' dall'epoca del vinile, sia a 33 che a 45 giri, che il lato B riserva sorprese, spesso rivelandosi migliore del più coccolato lato A.
Il lato B, è il lato dell'outsider. Di quello che parte perdente. E' il suo territorio. Il lato B è come scendere col piede sbagliato la mattina dal letto. Il lato B, nelle sue infinite accezioni, calza anche quella del posteriore femminile. L'autrice, rimandando sottilmente a Flatlandia, rimarca la concezione bidimensionale dello spazio da cui discende la terminologia. Siamo nel medioevo geometrico, la terza dimensione, gli ologrammi sono ancora di la da venire. Eppure, la complementarietà del lato b, ne consacra proprio la funzione, come un qualsiasi gruppo di spalla, nel tour del gruppo di star. Senza lato B, non risalta adeguatamente il lato A. E la Kelowsky insiste molto su questo aspetto, nel tentativo di riabilitare un lato che nell'immaginario collettivo sottende un qualcosa di qualitativamente più basso, del suo opposto.

Un riscatto, la sequenza di aneddoti che il testo riporta. Da quelli dell'antico Egitto, dove, in forza della particolare maniera di affrescare le pareti (con figure tutte immancabilmente ritratte di profilo) a quando, dovendo dipingerle sul vetro, gli uomini addetti alla pittura speculare, sul lato opposto, gridarono al miracolo, quando ad uno di loro venne in mente di usare la lastra come un'antesignana porta girevole, in un gioco ottico degno dei fratelli Lumiere. Era l'inconsapevole invenzione del cinema, molti secoli prima dell'avvento della Pixar e dei fratelli Coen.

O ancora, quando all'indomani del Congresso di Vienna, al generale Metternich, (che per pura bizzarria faceva Clemente di nome) venne in mente che la cartina geografica della turbolenta Europa potesse essere dipinta su di un pavimento, ricorrendo alle policromie del marmo per distinguerne i confini. Fu un messo napoleonico che per gioco, nottetempo, ne disegnò il riflesso speculare sugli alti soffitti del salone. Quando all'indomani, all'esortazione dell'emissario del Papa, tutti alzarono gli occhi al cielo, prim'ancora che per invocare la pace, che per seguirne tacitamente l'esempio, ci fu un clamore generale, nell'accorgersi che la mappa, come per magia si fosse specchiata nel soffitto, rimescolando i confini e dando luogo ad altre, lunghissime trattative, interrotte dall'assaggio di incredibili Sacher torte, che la cucina imperiale non mancò di fornire ai suoi nobilissimi ospiti.

Il lato b. Sul retro di Brown sugar dei Rolling stones, c'era "Let It Rock" (di Chuck Berry) che fu registrata dal vivo presso l'Università di Leeds nel 1971; Isn't It A Pity su quello di My sweet lord cantata da Gerge Harrison, Ma non sempre il lato B, ha incontrato i favori del pubblico. Eppure, se non ci fosse, sembra dirci la Kelowsky, il lato A della nostra vita non sarebbe cosi bello e meritevole di essere vissuto.

Un testo da leggere di sera, quando dopo essersi rigirati nel letto una ventina di volte, il sonno stenta ad arrivare ed improvvisamente ci prende voglia di leggere qualcosa di assolutamente assurdo.

Annie Kelowsky. L'importanza del lato B, trad. Alfredo Mondo, Cantarella edizioni 16,00 €.

30/10/08

Lei sembra Pales ?

Sono giorni che mi arrivano email con questo mittente. Un mittente che è una domanda. Naturale si tratti di spam. Tuttavia, questa domanda si è insinuata nella mia testa. Dando luogo ad una serie di bizzarri interrogativi.

Ora, supponiamo che la bizzarria della cosa risieda nel non perfetto funzionamento di uno straccio di traduttore automatico. Chissà cosa ne era, di questa frase, prima della sua traduzione. La cosa mi attrae quasi quanto il mistero del Santo Graal. Lei sembra Pales ? Deve trattarsi di una nuova frontiera dello spam, l'autore deve essere persuaso che inserendo un mittente del genere sia fatale che prima o poi la curiosità di un destinatario lo spinga ad aprire il mail e trovarsi col virus del secolo nel suo pc.

Uno ti ferma per strada. Tu sei intento negli stracazzi tuoi a pensare come fare a pagare la riba che ti scade a fine mese, o la rata del mutuo, o la retta della pargola, o gli alimenti alla tua ex, e mentre sei intento, mentalmente, a tutto questo, uno ti si avvicina e con la faccia come il culo ti esplode calmo calmo la domanda sotto il naso, diretta, inequivocabile, inaspettata: Lei sembra Pales ? Senza nemmeno farla precedere da uno straccio di “Scusi”.

Uno che deve rispondere ? Dapprima fa mentalmente l'appello, il punto della situazione....come mi chiamo io di cognome ? No, Pales non mi sembra proprio...Molto probabile che costui mi stia scambiando per qualcun altro. Eppure, nel momento stesso che me lo chiede, chiede il mio concorso attivo, nel ravvisare una certa somiglianza con questo fantomatico sig. Pales.

Perdio, no, io non faccio Pales di cognome, non so nemmeno che faccia abbia questo signor Pales, e lei, si proprio lei, come si permette di chiedermelo ? Che ne so io se somiglio a Pales, ma chi lo conosce ? E poi, posso risponderle di si se nemmeno ho contezza delle sue fattezze ? Ma chi diavolo è ? Un centravanti dell'Atlanta ?

No, mio caro signore, io non sembro Pales. Io SONO io. Pales non so nemmeno chi sia, se abbia o meno la tessera sanitaria, se faccia l'allibratore di contrabbando o l'ammaestratore di alligatori nei weekend, o il bodyguard del Procasma. Mi lasci in pace. E non mi tormenti più con domande del genere, potrei finire, come in una sorta di mantra, maledetto e magnetico (di quei tormentoni dai quali è difficile liberarsi) ritrovarmi a chiederlo a chiunque mi capiti a tiro, cosi, tanto per vedere l'effetto che fa. Nutrirmi dell'espressione allibita che abita gli occhi di chi se la sente rivolgere.

Diobono, Pales...chi era costui ? Un personaggio di qualche film memorabile che nella mia sbadataggine, mi son perso ? Glielo chiedo alla mia gatta...(tanto il lei è asessuato) Lei sembra Pales ?
Temo che un giorno o l'altro la mia gatta, in perfetto accento francese, mi risponda, “oui, Je suis”.

26/10/08

Il colore viola

Naufragar mi è dolce in questo mare. Di viola.
Il viola sta spopolando. Sono viola gli indumenti di quest'anno. Viola è il colore della passione. Viola è il primo colore cui un TG (per la precisione quello del buon Riotta) ha dedicato addirittura un servizio (contribuendo, se possibile, ad allargare il tormentone).

L'altro giorno, poco fuori Roma. Attendo fuori dallo showroom di un cliente che la persona con la quale devo parlare finisca con dei clienti. Sono seduto su una panchina, sotto un pallido sole.
Dopo qualche minuto, escono. Lui un energumeno, fratello dell'omino michelin. Pelato. Lei, una ragazza normale che attende ad una bambina (molto carina) e chinandosi per sistemarle le codine, da sfoggio un collant viola, indossato sotto i jeans.
Pochi chilometri dopo. Da un altro cliente. Entrano due ragazze. Età intorno ai 18. Una delle due, decisamente la più graziosa, sfoggia degli stivali viola, indossati sotto un jeans.

Il viola è dappertutto. E comincio ad averne abbastanza. L'aderenza ad un colore. La sua invadenza, enfatizzata (non le leggo, ma immagino ne siano piene) dalle riviste di moda. Tutte le vetrine hanno almeno un capo di questo colore. Non dispiace, per carità. E' un bel colore, in quasi tutte le sue sfumature. Ma adesso basta. Sta dilagando, e nell'incertezza del momento, rappresenta un codice accettato, ma per le dimensioni autorizza anche letture meno glamour. L'appartenenza, valore di condivisione. Un codice. Cos'è ? La voglia di non sentirsi “out” ? E da cosa nasce ? In genere, da popolo di individualisti, siamo restii ad accettare tali dettami (non foss'altro che per un retaggio: l'ultimo che ci ha imposto il nero non è stato foriero di belle cose). Siamo tutti in viola, quest'autunno. Un autunno viola.


Interessante l'analisi su wikipedia [ http://it.wikipedia.org/wiki/Viola_(colore) ] sulle implicazioni psicologiche legate a questo colore.

25/10/08

il mio amico Piero

la copertina del cd: Upojenie - Pat Metheny & Anna Maria Jopek
Piero è una risorsa. Mi ha affibiato alcune, rare, sòle. Ma in vent’anni circa ci possono stare, non arrivano alle dita di una mano. Per il resto solo grande musica. Garbato, competente, sicuro. Se ti dice “guarda, vale la pena, prendilo” quasi mai si tratta di un consiglio sbagliato, è vero.

Lo è anche in questo caso. Sono entrato dove lavora per prendere (sfruttando un buono) questo libro cui facevo la corte da tempo (ma visto il costo ho tergiversato…). Il cd è rispettivamente nel piatto del lettore di casa, cosi come in quello della macchina, e medito di salvarlo anche in modalità 1:1 su un minidisc per portarmelo dietro, in qualche passeggiata, al tramonto, sull’arenile deserto di Ostia.

Il cd è una specie di chicca. Dato alle stampe nel 2002, da una cantante polacca, Anna Maria Jopek(decisamente dotata di ottima timbrica, e di adeguata avvenenza) che ha “cantato” alcune fra le più belle composizioni di Pat Metheny.

E’ un concentrato di poesia. Predispone al meglio. Calmo, a volte melanconico, altre vivace (sostenuto e impreziosito da inserti asolo di strumentisti che si guadagnano onestamente la pagnotta). Ho appreso, da rapida ricerca sul web, che si tratta di ensemble messo insieme nel giro di strumentisti polacchi. Gente con i fondamentali a posto !

Dev’essere l’onda lunga dell’est. Ho scoperto da poco un altro esempio di contaminazione est europea al femminile, con Ana Popovic. Quest’ultima orientata decisamente su sonorità più easy-blues, ma dotata di tecnica chitarristica degna di nota, nata a Belgrado ha duettato con gente del calibro di Bernard Allison (figlio del più famoso Luther). In un’intervista, alla precisa domanda “perché proprio il blues ?” (volendo alludere, perché proprio il blues, lei che è nata a Belgrado ?)
Candidamente ha risposto: “il blues, per me, è una musica positiva”. Ha le idee chiare !

Mi serve per rafforzare quel concetto che l’intelligenza, rispondendo a sole istanze biologiche, si fa beffe di ogni cortina e/o confine. E il bello (nella sua accezione più pura) è in grado di arrivare da qualsiasi latitudine, nella grande mela che ci ospita, tutti.

22/10/08

Vicky Cristina Barcelona

Appena finito di scrivere queste righe, mi metterò sul web, buono buono, alla caccia delle recensioni più argute di quest’ultimo lavoro di Allen Woody.

Prima però, con gli strumenti di cui dispongo (pochi) cerco di darne qui un’interpretazione la meno corretta possibile.

Il film, si è tentati di credere (dopo averlo visto) sia stato girato da Almodovar. D’accordo, la trasgressione è soft, la fotografia è decisamente migliore (in questo caso) e i dialoghi un tre per cento più involuti.
Non banalizzo, il sostegno al film è una voce fuori campo. Numerosi Soloni delle scuole di sceneggiatura implorano di contenere il ricorso a questo stratagemma condannandolo al sinonimo di una poca robustezza della narrazione. Se c’è bisogno di questo, in altri termini, sembrano dirci, si prende lo spettatore per un cerebroleso, si pecca di ridondanza e tutto sommato si toglie suspance al film.

I dialoghi, invece, sono il punto di forza del film. Che alla fine piace. Risulta gradevole proprio per la assoluta mancanza di “morali”. O meglio, se proprio si volesse leggerne una potrebbe essere, parlando d’amore (sentimento quanto mai scivoloso) “ognuno fa come gli pare”.

Allen accosta, con la capacità che gli è propria (quasi al limite del cronista) le varie forme nelle quali si spendono i rapporti (fra uomo e donna e fra donna e donna). Deve averci messo tutta la grazia di cui dispone perché, come detto, il film risulta leggero, ben scandito sui ritmi (leggermente più lenta la seconda parte) e sorretto da una fotografia impeccabile.

E’ l’amore che, sembra dirci Allen, ha pari dignità a prescindere dalle sfumature che prende. Una coppia artistoide dominata da un vincolo tossico, sottogenere della passione accecante. Il conformismo di due coppie speculari, una giovane l’altra in zona pensione, entrambe alla frutta.
Si salva l’indoddisfatta Scarlett. Si salva perché pur ripetendo ossessivamente a chiunque gli ponga la domanda, “non so cosa voglio, ma so benissimo cosa NON voglio”,
in questo buio inverno dei sentimenti, uscendo dalla sala, questa appare come l’unica cosa certa.
Il resto è mestiere.

20/10/08

Risvegli

Suona il telefono.

Rispondo, dopo aver ricordato a memoria le volte che mi ha svegliato il trillo del telefono.

Pronto ? (una voce da spot pubblicitario da radio privata locale. A basso share)

Si, dico, come meglio posso (infondo stavo occupandomi di tutt’altro).

Lei ci ha inviato un manoscritto ?

Faccio mentalmente l’elenco delle ultime stronzate commesse, e fra queste, con mia viva sorpresa, non risulta nulla del genere.

Dovrei ? – trovo il tempo di dire.

Poche storie, mi fa spazientita la donna di la dal filo. E incalza: L’ha spedito o no ?

Computo, alla velocità del suono (o meglio del pensiero) le possibilità che mi rimangono. Affermativa o negativa, non ne vedo altre: del resto mi hanno appena svegliato, o no ?

Nego. Non so cosa comporti, la voce non mi è nemmeno simpatica. Ha tutta l’aria di appartenere ad una donna con infiniti problemi nella sfera delle relazioni. In particolar modo quelle sessuali.

Quindi non è lei che ha spedito questa roba ?

No, credo proprio di no.

Quindi lei non ha nulla a che vedere con il Signor M.P. (mi dice il nome per esteso) che è venuto qui in ufficio a depositare un progetto di format televisivo ?

A dire il vero, io un format ce l’avrei in mente, sto per dirle. Ma mi trattengo, infondo non è ancora completato, essendo allo stadio larvale.

No, signora, mi deve scusare, probabilmente sbaglia numero.

La donna, arcigna, insiste. Non è suo questo numero (e mi detta, scandendolo, il mio vero numero di telefono).

Si, il numero è il mio, ma qui non c’è nessuno che si chiama come ha detto lei.

Da quanto tempo è titolare di quest’utenza ?
Sto per risponderle con una domanda analoga circa il suo ultimo rapporto, ma trovandolo indelicato, cerco di contenere l’impazienza, perché nel frattempo mi scappa anche la pipì (come spesso, appena sveglio) e non vedo l’ora di raggiungere il bagno. Cosi le dico.

Guardi è il mio fidanzato.
Lei è gay ?
Si, confesso. La vescica sta per esplodere, e costei è una palla mostruosa.
Bene, allora potrebbe cortesemente comunicare al suo….(fa una pausa…evidentemente non è avvezza coi nuovi tipi di rapporto) amico (termine neutro, infondo erano tali anche gli associati alla DC fino al 92, no ?) di telefonarmi appena può ?
Si mi dica il numero, signora – la imploro: se non raggiungo il bagno entro 10 secondi esplodo.
Me lo detta. Poi, sadicamente mi chiede di ripeterglielo. Cosa che faccio, paonazzo, e probabilmente balbettando, finendo di complicare la cosa.
No, è sbagliato - mi dice più indispettita che mai, fa per ripetermelo ma non gliene do il tempo.
Abbasso di malagrazia la cornetta, raggiungo di corsa il bagno, alzo la tavoletta e do libero sfogo alle mie basse vie urinarie.

Il rumore dello sciacquone, di colpo, mi ricorda che la persona che stava cercando ero io.

Richiamerà, mi dico. Mentre mi grullo l’uccello e, uscendo, spengo la luce.
Fa giorno sempre più tardi, adesso.