29/12/11

L'ultimo post dell'anno

Ingusci con Yeti

















Inguscezia, mica Avellino.

E’ con viva e vibrante soddisfazione, che il primo ministro inguscio, ha annunciato allo mondo tutto che lo Yeti esiste, ed è attualmente sotto custodia in uno zoo. La notizia per i miscredenti è qui.
A noi non resta che approssimarci a questa fine d’anno con un sollievo in più (solitario, fra l’altro).

Quello che si approssima sarà un anno durissimo, lo prevedono tutti i mestatori di professione (ma che poi vacanzeggiano a Cortina) che operano nei media. Con il comico effetto di paralizzare poi l’economia, che è quella cosa con la quale si misura la gran parte della popolazione che al mattino si alza per mettere insieme il pranzo con la cena (forse, più realisticamente, visti i tempi, la merenda).

Cosa ne sarà di noi ? L’istinto a difendersi ti porta a non rinnovare il canone, a chiudere quella scatola di vetro dalla quale si diventa (anche non volendo) ostaggi, appaltando ad altri finanche il nostro umore.

Difendersi, allora. Perseguire l’insegnamento profetico di Frank Zappa, tirando dritti, la barra del timone sull’orizzonte della felicità o dell’irriguardo verso coloro che, novelli sarti, preconfezionano abiti di tetraggine, disseminando tossine nei nostri già sollecitati di loro, circuiti neuronali.

Sarà un anno bellissimo.
Cominciamo a volerla vedere cosi.

Auguri a tutti.


ps. UPDATE: come facilmente intuibile, si è trattato di uno scherzo. (qui i dettagli). Adesso telefono al Ministro per chiedergli se vuole collaborare con cletusproduction.

17/12/11

E intanto Woody Allen continua a sbagliare film

Madame Sarko with the american film-maker Woody Allen













Staccato il biglietto ieri sera. Comincio a dare ragione agli americani: lo giudicano sopravvalutato sopratutto in Europa. Non è un caso, che è da un po' che il regista sceglie città europee come scena per i suoi film. Lo ha fatto con Barcellona, sullo sfondo di un complicato intreccio (che da qualche parte ho già recensito) adesso tocca a Parigi (mentre è previsto il turno di Roma).

Ecco un altro caso nel quale un regista diventa prigioniero dei suoi stessi stereotipi. Ma mentre potrebbe essere un elemento in qualche modo riconducibile alla definizione di una sua “cifra”, qui si ammanta di un significato negativo.

Allen sciorina la solita storiella, affida stavolta alle sue battute ad un attore che sia nel doppiaggio, che nella mimica ne ricalca gli stilemi, arrivando a somigliare ad una sorta di ventriloquo del potente ego del regista. Insomma, una noia mortale. Peccato, peccato che le battute al fumicoltone, qui arrivano incartate, rallentate e innocue dietro ad un ossessiva e quasi stanca riproposizione dei soliti schemi, la crisi di una coppia di promessi sposi, le ansie di uno scrittore in crisi creativa, e unico sussulto, uno spunto narrativo giocato sul doppio binario del tempo che viene però svuotato del suo potenziale dalla mancanza di coraggio e finisce con insolentire la sospensione della incredulità generata nello spettatore.

Si potrebbe dire che il film sia uscito (se esistesse, ma forse si) da uno di quei software dove, dati certi ingredienti, il plot si auto-genera, in obbedienza a tic e elementi di distinzione che ci hanno regalato i film dell'Allen migliore.

Qui siamo nei dintorni del “mestiere”, nella sua accezione più negativa. Rari i sussulti, e a stento si rimane svegli, cullati dalla musica quella si, curata con intento filologico, e tale da tenere su, quasi da sola, l'attenzione dello spettatore.

Da vedere in un pomeriggio (piovoso) di domenica, sbracati sul divano, e con i piedi debitamente infilati in un accogliente catino con i sali.

28/11/11

Ma na tazzuriella e’ cafe, no eh ?

Sir Elton John






















Il sabato, di solito, compro LaStampa.
Lo faccio per quell’abitudine dura a morire di leggere l’inserto su un foglio stampato piuttosto che da un pdf del quale, l’infelice webmaster del quotidiano, rende cosi agevole la lettura quanto una salita sull’Everest per un principiante.

Mi capita di soffermarmi sugli articoli di Giorgio Dell’Arti (cui va il mio sempiterno grazie) per gli attimi di ammirato stupore che è capace di regalarmi. Apprendo cosi questa notiziola, tratta dall’ultima pagina, dove c’è appunto la sua rubrica UN LIBRO IN 800 PAROLE.
Sabato era la volta de Mani bucate-A chi finiscono i soldi dei contribuenti Chiarelettere euro 15,90
(chissà se sull’ultima di copertina l’autore, Marco Cobianchi, ha inserito l’avvertenza: “Attenzione, può provocare crisi di indignazione profonda”…) in ogni caso, ecco il trafiletto.


Napoli. Concerto di Elton John al Festival di Piedigrotta 2009. La Regione Campania (presidente Antonio Sassolino) lo finanzia con 711mila euro del Fondo sociale europeo. “Soldi serviti anche a pagare un aereo che andasse a prelevare dal frigorifero della casa inglese della rockstar alcune gazzose introvabili a Napoli”. L’Unione europea ha aperto un’inchiesta e nel 2010 ha chiesto la restituzione dei soldi.

Ecco. Al di là del fatto che presidente della Campania poteva essere chiunque (beninteso, non me ne può fregare di meno che all’epoca fosse Bassolino) trovo assurda non tanto la richiesta della rockstar (come leggenda recita, a queste e ben altre bizzarrie ci hanno abituato) quanto la mancata proposta, che so, del Pino Daniele di turno, a prendersi una più economica “tazzuriella ‘e cafè”…

Altrimenti, consiglierei ai commercianti napoletani di procurarsi tale indispensabile bevanda, pena il non poter vedere, in futuro, altro spettacolo della rockstar.

Fonti: dove si parla della marca cosi desiderata (clicca qui)

22/11/11

“Il cuore grande delle ragazze” , e degli spettatori che ancora staccano il biglietto per un film di Pupi Avati

















Avati è rassicurante.
Da anni ci propina sempre lo stesso film, con una bravura unica.
Come quei vecchi cuochi incalliti, che senza un sussulto preparano sempre con gli stessi ingredienti la stessa solita minestra.

Non sfugge a questa regola anche il suo recente Il cuore grande delle ragazze. Fiaba ambientata, manco a dirlo, nella campagna emiliana, e insistente su usi e costumi delle famiglie ivi residenti. Stavolta l’obiettivo si sofferma sulle relazioni. La politica, guarda caso sono gli anni del “regime” (o nelle immediate vicinanze), fa da semplice sfondo. Si parla invece dei rapporti fra famiglie, fra la parodia della borghesia latifondista e il compassionevole sguardo sul proletariato totalmente irretito e soggiogato dal ruolo della prima.

Per il resto c’e’ sempre Cavina, stavolta Cesare Cremonini (ecco un altro pregio di Avati – l’unico ?- quello di saper far recitare gente come Ezio Greggio in modo E-greggio anch’esso) e una conturbante Micaela Ramazzotti.

Che dire ? Esci dal cinema con evidenti crisi di collocazione….Sarà la vecchiaia, ma ti rivolgi alla tua bella ed esclami…”ma non l’avevamo già visto ?”.

31/10/11

This must be the place (di Paolo Sorrentino)

david byrne, l'uomo che incosapevolmente ha fornito un ottimo titolo al film







Staccato il biglietto ieri sera.
Cosa mi è piaciuto: la colonna sonora. Cosa non mi è piaciuto: l'indugiare, un po' troppo compiaciuto della fotografia su certe inquadrature ad effetto oleografico.

Per il resto, sembra un film diretto da un allievo di Win Wenders. Imbastito su un plot essenziale quanto semplice nel suo ingranaggio. Sean Penn tiene il film con la sua improbabile maschera di rocker in pensione. E' la storia della sua catarsi, un viaggio terapeutico da abc della psicologia.
Intorno alla figura di un padre, al capezzale del quale arriva quando è già morto da poco. E intorno al desiderio di vendicarne un umiliazione. In mezzo, personaggi (che c'entrava lo spottone sul pur bravo David Byrne ?) micro storie, ma trattate in modo soft, acquarellate, e che danno la terribile sensazione di esser messe li, come certe spezie quando vuoi cucinare un arrosto appena ricercato.

Nonostante tutto questo, il film si lascia vedere, proprio in forza di questa “leggerezza”, sostenuto da una preparazione a puntino del responsabile delle location e del casting.

Cosa c'e' da dire, che non conoscevo Sorrentino, questo è il suo primo film che vedo. Se questo è lo stato dell'arte del cinema “italiano”, non c'è che da plaudere. La presunta mancanza di personalità, aderendo a modelli e tematiche e a veri e propri modi di raccontare per immagini una storia che appartengono a registi a la page lasciano presagire il rischio di trovarci tante Sofia Coppola dietro la macchina da presa. Cosa che personalmente non mi sembra molto felice.

risorse: qui la title track della colonna sonora (meritevole)

17/10/11

Quanti DVD sull'antica Roma si comprano con 42 euro ?

corsa con le bighe, senza centralina taroccata
















Succede che per andare al lavoro sia costretto a transitare da un semaforo i cui tempi potrebbero senza alcun affanno definirsi biblici. Succede che durante una di queste dilatate pause l’occhio vaghi all around, vagamente annoiato e poco prensile, ansioso solo di vedere la luce verde manifestarsi sul palo che ti sovrasta. Mentre vaghi intorno con gli occhi e con la mente, succede ancora che i primi si soffermino sull’immancabile cartellone pubblicitario (durante un corso di comunicazione tanti anni fa, il docente si era divertito anche a dare una stima (per difetto, diceva) di quanti di questi messaggi ci vengono indirizzati, al giorno. Parlava di 3000). Avete letto bene. Nel mucchio metteva quelli stradali, radiofonici, sui giornali, e ovviamente, televisivi.

Bene, non so quanti di voi l’abbiano notato ma da giorni Roma è invasa da cartelli che pubblicizzano questo spettacolo (metto solo il link qui per non fare pubblicità). Curioso come una biscia, ho completato l’opera andando a compulsare il sito istituito ad hoc.
Mi lascio abbindolare dalle suggestive “Impression” ben risaltate in home page. Le fonti appaiono credibili, e tutto sommato, nel mio immaginario malandato, vedere da vicino un “kolossal” (cosi viene definito) è cosa che mi incuriosisce non poco, coltivando l’ambizione molto segreta, direi segretissima, di divertirmi a produrne uno prima di scivolare in un confortevole cappottino di legno, all’ombra di qualche ridente cipresso.

Fatto sta che compulso le prevendite online, ne individuo una a non troppi chilometri di distanza e per la modica cifra di 39,90 più immancabili “diritti di prevendita”, altri 2 euro, fanno 42 euri scarsi a biglietto. Ne prendo un paio. (A cose fatte ringrazio l’avvedutezza di mia figlia, la quale sia pur invitata ha cortesemente declinato).

Intanto la location. Nuova Fiera di Roma. Per i non romani, una cosa comica costruita in fretta e furia, in una landa desolata, servita peggio di una località cecena, lungo l’autostrada Roma-Fiumicino. Va bene, immaginando la necessità di ampi spazi, giustifico la scelta come sensata, con buona pace dei non possessori di automezzo proprio. Poi la fascinazione del numero delle comparse, le coreografie, e insomma tutto ciò che concorre a definire lo spettacolo come “evento imperdibile” pregno quanto basta di quel senso di novità ed equivoco che ha la capacità di incantarmi come davanti ad un addestratore di serpenti.

All’ora stabilita (le ventuno di sabato), mentre ancora nel centro fumavano le carrozzerie delle auto dei malcapitati, varco la landa desolata intuendo qualcosa di anomalo già nella facilità di trovare parcheggio (va detto che l’allegra combriccola di buontemponi dei vigili di Fiumicino, alla stregua di squali, ripiana a mestiere le casse del suddetto comune, grazie alla puntuale punizione di coloro che osano parcheggiare fuori dagli spazi consentiti in occasione anche di fiere minimaliste, come quella del beluga indocinese, o del doberman ispano-latino, grazie alla sapienza di chi ha progettato i parcheggi, che con animo filatelico potrebbero essere stimati come francobolli, e quindi facilmente saturabili). Indomito vado avanti. Percorro distanze significative, in quest’atmosfera spettrale, quattro gatti, freddo inaspettato, fino all’ultimo “capannone” nel quale è situato lo show.

Arriviamo, entriamo in una sala enorme, con pochissima e strana gente sulle tribune. Fa ridere avere un posto riservato sui biglietti, stante la desolante sensazione di essere davvero in pochi.
In breve, lo spettacolo ha inizio. Su questa distesa di sabbia (a proposito grazie al genio di chi ha pensato ad un trattore a motore per spianare la sabbia fra il primo e il secondo tempo, con un mezzo dotato di motore a scoppio in un ambiente chiuso) si esibiscono decine e decine di brave e oneste comparse che "danno il fritto", come si dice a Roma, anche difronte a spalti che ricordano quelli dell’opposizione durante il voto di fiducia del giorno prima, se non fosse per quattro radicali (ovviamente chic, visto lo spettacolo) rappresentati da noi appollaiati sulle tribune.

La storia: Messala e Giuda Ben Hur. Un’amicizia interrotta. Il primo centurione romano, l’altro gaudente giudeo. Giocano e scherzano tutto il tempo (diciamo qiasi tutto il primo tempo) per poi dividersi e farsene di tutti i colori nel secondo. Non la faccio lunga: il primo fa carriera. L’altro no, diventa un capopopolo e in quanto tale subito represso e trasportato nelle patrie galere, a bordo appunto di una galera (bellissime, quelle si, le scenografie). La galera fa naufragio, e si salva solo il nostro Ben Hur con un Generale romano che promette di adottarlo, posto che riesca a portare le chiappe in salvo a Roma, e farlo diventare un uomo libero. Nel frattempo la madre e la sorella di Ben Hur vengono ingiustamente carcerate in Galilea. Il Generale fa di Ben Hur un capo-popolo, poi non ho ben capito come, si rincontra con il suo ex amico Messala e sono scintille. Ben Hur fa ritorno, non chiedetemi come, devo essermi distratto, in Galilea dove sfida in una corsa con le bighe, su suggerimento di un ricco mercante arabo, il suo ex amico Messala. Immaginate pure come va a finire, Ben Hur vince e quando sta per finire con la dacia in mano il suo ex amico si rammenta delle parole di un uomo strano, incontrato per caso anni prima, che andava predicando peace and love fra le genti della Galilea. Lo salva, e di riflesso, un miracolo fa guarire dalla lebbra, come nemmeno Veronesi saprebbe come, la madre e la sorella che l’avevano contratta mentre pativano ingiusta detenzione.

I quadri sono suggestivi, lo sforzo coreografico degno di nota (ingegnose alcune soluzioni su trabattelli mobili). La voce guida è di Luca Ward, che mi dicono sia un apprezzato attore italiano di soap-opera. I titoli del testo sugli schermi sono in inglese e gli attori parlano un mix di tedesco e giudaico. Ce n’e’ per stare svegli tutto il tempo. Anzi tutti e due.
Cosa che ho fatto, non riuscendo però nemmeno ad incazzarmi per l’amabile modo col quale imboccato nella sòla (per i non romani: fregatura). Lo spettacolo dura in tutto due ore. Intervallate da un lungo intermezzo necessario a ripianare la sabbia con un trattore a motore. La corsa delle bighe merita il biglietto non foss’altro per la bravura degli stunt-man che le conducono. La cantante ha qualità modeste, e le musiche, sebbene di Copeland (ma chi ? quello dei Police ?) non indimenticabili.

Considerazioni: Uno spettacolo cosi, prodotto da tedeschi, viene proposto a Roma. Ora io non so quanto l’organizzazione sia “rientrata” dall’investimento. Le comparse costano, la biada per i cavalli pure. I biglietti a giudicare dagli spettatori presenti, a malapena giustificherebbero una cena elegante per due sul roof garden dell’Hilton. Forse andava meglio come location il nostro vero Circo Massimo ? Rientreranno con le immancabili “gite scolastiche” ? (probabile che un adolescente resti stupito e abbia di che incuriosirsi decidendo, dopo, di prendere in mano o un testo di storia dell’antica Roma o un Vangelo, o tutte e due). Insomma, chi me lo ha fatto fare ?
Direte che l’animo arido di chi si approssima ad una vecchiaia accidiosa come quella del sottoscritto è incapace di scaldarsi per siffatte produzioni.
Contavo in qualcosa di più lisergico, e statene certi, dovendo mettere mano prima o poi ai miei insani propositi, sarà quello l’orizzonte praticato.

Quanti DVD dell’Istituto Luce si comprano con quarantadue euro ?

23/09/11

Antologia ebook sul Calcio Astrale (e non)

Momentaneamente preso da questo progetto: http://cletusproduction.blogspot.com
Coming soon...

15/05/11

Dell'incapacità (o dell'inutilità) di descrivere il reale

Grandi affanni intorno. Tq lungi dall'essere una formula di trigonometria è la risultante di un tentativo di un nutrito gruppo di intellettuali che ha trovato spazio su una delle più prestigiose testate culturali: l'inserto Domenica del Sole24.

Non mi interessa. Trovo la letteratura, quella passione personale, coltivata leggendo nel tempo di tutto, prendendo sonore cantonate emozionandomi per rari, inaspettati, capolavori non sia riducibile ad una sorta di riedizione del tristemente noto minculpop.

Sono un outsider. Scrivo quello che voglio, quando voglio, non ho contratti. Non sono tenuto a seguire mode culturali. Sono arrivato a Carver alle prime edizioni, in forza di un puro gusto personale, anni luce prima che divenisse un mito.

Non ho filoni da cavalcare, terrorismo od ombelico, passo le mie giornate fra la gente, percorrendo strade, immergendomi in scorci che la natura è capace ancora di regalare ad una manciata di chilometri da quell'inferno chiamato Roma.

Non credo più a nulla. Mi muore la gente intorno. La vita, col passare degli anni, si incarica di donarti insieme profondità di pensiero e cinismo, lasciandoti il compito di non lasciar prevalere nessuno dei due. Vado avanti, mica so bene verso dove, ma cammino.

Cammino la domenica mattina, a piedi su viali deserti battuti dal vento finalmente caldo e da un sole incerto, cammino, dandomi un pretesto per uscire di casa e camminare, verso l'edicola.

Compro il giornale (almeno la domenica) e sorrido. Sorrido nel vedere come le narrazioni del presente, per il fatto stesso di essere stampate su carta che vanta milioni di copie tentino di presentarsi come il reale. Il REALE. Necessità di sintesi, bisogno di condensare, e pazienza per chi ci crede. L'approccio alle notizie è sempre più dubbioso. Non credo più a niente. La mia considerazione per chi ci amministra si consolida nei chilometri che percorro in coda, prigioniero in una macchina, costretto cosi da anni di malaffare. So questo. Del resto non mi importa.

So che pago la corrente una cifra importante, la benzina idem. So che l'energia è la moneta di questa gente. E la cosa, più di tutte, che gli da potere. So che la vita e la morte, per costoro, sono valori relativi. Che interessano in misura di quanti interessi sono in gioco. Centinaia di morti in Siria non valgono le vite perse in Libia, dove invece i giacimenti ci sono. E so che a costoro, in fondo, va bene cosi. Costoro se scrivono, lo fanno su fogli che paga qualcuno. Qualcuno che ha interesse a che le cose vadano cosi. E “smoke into your eyes” vorrei tanto che restasse solo il titolo di una canzone.

21/04/11

Signora Borman ?

Frank Borman














C’era Carver che sosteneva che l’incipit per i suoi racconti era qualcosa di inspiegabilmente legato a fattori non importanti. Famoso quello in cui citava…”c’era una donna che stava passando l’aspirapolvere quando suonò il telefono”.
Chiaro che tutto ciò si traduca, per chi scrive, in un inconsapevole miniera di spunti per lo sviluppo della narrazione.
Bene, a me è capitato mentre ero seduto nella reception di un centro benessere di ascoltare queste innocenti parole da parte di una segretaria (non importa qui quanto avvenente: non la vedevo neppure).
“Signora Borman ?”
Ora, da queste semplici scarne due parole si è scatenato l’inferno, come amava dire Russel Crowe, ne il Gladiatore. Intanto le sinapsi, come tanti topi dietro il flauto magico, si sono messe in moto per lanciare un search nel cervello malandato. Borman, ci giurerei, è classificato in qualche file della memoria nella cartella LUNA.
Sissignori, è il nome di un’astronauta. Vattelapesca cosa ne sia stato di lui, al momento.
Qui è in gioco la fascinazione, la potenza evocativa di un cognome. La capacità di attingere all’enorme patrimonio cognitivo della nostra storia recente.
Signora Borman !
Cosi potrebbe cominciare un racconto che narri, chissà, della consorte di un’astronauta. Se non ricordo male era anche il titolo di un film. Ma da solo, quel cognome, ha il potere di suscitare ricordi, fantasie, e perché no ? paure.
Destrutturiamo la frase. Intanto il tono è interrogativo. Signora Borman ? sta ad intendere che la persona che pronuncia la frase non sappia chi realmente sia. Non l’ha mai vista prima, ma chiama, sta chiamando proprio lei, non un’altra. Lei sta chiamando proprio la Signora Borman, non c’è alcun dubbio. Chiarito questo, resta da chiedersi perché la sta chiamando. Io lo posso sapere, essendomi trovato nel contesto, e lo posso anche rivelare: la signora in parola aveva evidentemente prenotato qualche trattamento estetico ed era in attesa la chiamassero per iniziarlo.
Ma quella frase, con quel tono, si presta (alla mente del narratore) per essere trasportata in ogni dove.
Certo, non è automatico, il collegamento alla professione del marito. L’omonimia, in questo caso, è la più potente dissipatrice di certezze. Ma ho pensato al mestiere del marito per connotare anche lei.
Perché la stanno chiamando ? Hanno da riferirle qualcosa intorno al di lei consorte ! E se si, cosa ?
Che ha avuto un incidente (a memoria mi pare di si, anche se non so collocare in quale delle dodici missioni dell’Apollo). Oppure che ha da ritirare la pensione ? O che gli hanno portato via la macchina, parcheggiata maldestramente fuori da qualche centro NASA, oltrechè dalle immancabili striscie blu (parcheggio a pagamento). Ed è lecito domandarsi se il rango di astronauta consente di parcheggiare senza troppa grazia al di là degli spazi consentiti (e riservati) ?
Sta di fatto che la chiamano, questa signora, la moglie di un’astronauta. Quale sia stato il motivo per il quale la stanno chiamando, di una cosa sono piuttosto certo: queste due parole, da sole, hanno avuto il potere di farmi prendere una penna, un foglio, e scrivere queste frasi seduto in una rigida mattina di primavera sotto un cielo ingombro di nubi, seduto su un cuscino che un addetto mi ha caritatevolmente elargito, per non inumidirmi le chiappe, sulle sedie bagnate dalla pioggia di stanotte.
Signora Borman, chiunque ella sia, mi scusi ancora.

18/04/11

la potenza della luce (la sua velocità)

luce










L’altra mattina mi sono alzato. Era ancora buio. Per scendere dalla stanza da letto devo fare una rampa di scale. Su queste scale “insiste” un’asola, una finestra fissa, lunga, che dà luce alle scale e dalla quale si intravede, quando sorge, il sole che illumina uno scorcio di strada, e in lontananza i campi.

La prima cosa che faccio è accendere la luce. So che prima o poi ci cadrò da quelle scale. Sensazioni, mica altro. Cosi per scaramanzia accendo sempre la luce. E’ un gesto meccanico, insignificante, fatto quasi automaticamente. Uno allunga la mano e con le dita “commuta” l’interrutore. Di colpo la luce.

E cosi pensi, ho pensato, la luce, l’energia elettrica, ma che bella invenzione. Mi è tornata in mente un’immagine forse sfruttata da qualche pubblicità: una città che si accende, tutta insieme.
La velocità. L’energia è lì, pronta, piegata al tuo comando, al comando di ognuno di noi che è in grado di azionare un interruttore. Click, e tutta la potenza, docile, addomesticata, si riversa nei cavi e va ad accendere le lampadine, ovunque, di qualsiasi fatta.

Una cosa cosi, a soffermarcisi su, mi fa venire i brividi. Non l’ho mai considerato prima da questo punto di vista. L’energia che scorre, sottotraccia, in chilometri di cavi che qualcuno si è disturbato a stendere e portare un po’ dappertutto. E basta un click. Ecco, l’aver inventato questa cosa mi commuove. Mi commuovo davanti all’ingegno, e davanti alla velocità. Fai click e accendi una città: lampioni, insegne, vetrine, finestre delle case. Fai click e tutto si spegne, tutto insieme, subito, simultaneamente. La velocità di questa forza sbalordisce. E fa strame di ogni consuetudine.

La potenza, l’atto rappresentato dal muovere un dito, un gesto in grado di essere compiuto anche da un bambino, e che come in un bambino, per il tempo di un risveglio, e di una rapida rampa di scale,
ha occupato, in modo prepotente, i miei pensieri appena sveglio, solo qualche mattina fa.

04/04/11

Primo amore ed altri affanni di Harold Brodkey

Ieri, domenica 3 aprile, nelle pagine interne dell'inserto del Sole24 è uscito un articolo a firma Christian Raimo, nel quale si dà notizia dell'imminente uscita per Fandango di una delle più belle raccolte di racconti degli ultimi 60 anni.
Si chiama Primo amore ed altri affanni.

Questo pezzo l'ho scritto su un altro blog, nel 2005. Lo riposto qui per la gioia dei grandi e dei piccini:


Ho comprato questo libro nel lontano 1985, dai banchi di un remainders di Roma.

Come spesso accade, per magia, pura fortuna o cosa diavolo altro, non so bene, deve avermi intrigato il titolo, il fatto che fossero racconti (una mia "malattia"), la copertina scarna, un titolo in font bianco su sfondo nero lucido. Sta di fatto che l'ho comprato senza sapere nulla sull'autore.

Lo lessi, ricordo, con piacere, rimanendo sorpreso dalla scrittura. Rimase, in compagnia di pochi altri testi, fra i vari traslochi che da allora ho fatti (pochi, in verità), fra le mie cose. Un compagno di viaggio.

Anni dopo con Marcello, un mio amico che scrive poesie e a tempo perso fa l'avvocato, parlavamo di Brodkey. Lo devi leggere, mi diceva, tenendo in mano STORIE IN MODO QUASI CLASSICO. Misi in moto quella manciata di neuroni che allora mi sosteneva, e trovai il link a quel primo volume nero, già sbrindellato, spaginato a forza di riletture (e qualche prestito…ndr). C'è la descrizione di un cunnilingus che dura una ventina di pagine, devi leggerlo. Mosso da morbosa passione per l'argomento, lo divorai in una estate, poi lo regalai ad una donna con la quale avevo una relazione, poco più grande di me, di robuste letture, che irrise ai miei ammiccamenti….minimizzandone l'effetto "scandalo".

Ancora anni dopo, su una bancarella vicino Piazza S.Giovanni, per allora un'inezia (3000 lire), trovai nuovamente il volume. Inutile dire che ora campeggia su uno scaffale in compagnia della "prima perla nera", come la chiamo io…PRIMO AMORE E ALTRI AFFANNI.

Brodkey, ha avuta strana fortuna qui da noi. Fuori catalogo, pressochè introvabile in diverse librerie, c'è qualcosa di suo nelle librerie online. Non so se definirlo autore di culto. So che più di qualche critico si chiese, soprattutto all'indomani dell'uscita del suo ultimo QUESTO BUIO FEROCE, perché nessuno lo avesse candidato al nobel per la letteratura.

La sua prosa, anticipando Carver, se possibile ancora più carica di grazia. E le sue parole, pacate, cesellate, hanno il potere di una voce calma, anche nel descrivere la disperazione. Nulla è mai statico, anche la più trita solitudine, rimanda ad echi, evoca "quello che c'è dietro", il non detto appunto. La sua bravura forse proprio questa. Lo rileggo spesso, volentieri. Lascio ad altri definizioni che non gli rendono giustizia "il Proust americano", "il più grande prosatore del novecento americano". Balle. Brodkey sussulterebbe nella tomba, all'accanirsi di questo sport di definizione. Leggetemi, prima, coglioni ! potrebbe rispondere, e a buon diritto.

Scomparso dopo aver lasciato "solo" 4 testi….da come ho reperito da notizie sparse per la rete, a causa dell' AIDS contratta molti anni prima, rappresenta una voce insostituibile, ad oggi, per quel mix stratosferico fra leggerezza, profondità, e poesia.

16/03/11

Libia: scenari possibili

Non ho alle spalle lavori prodotti da Ufficio Studi di alcuna categoria.


Quelli che vengono a ruota libera sono pensieri in ordine sparso, sollecitati dalle notizie che arrivano da altri quadranti della “Palletta” (Mondo).



Libia.


Complice lo spazio occupato sui media dal disastro giapponese, le notizie che arrivano “dal piano di sotto” (geograficamente parlando) dicono di una indisturbata rappresaglia (controffensiva, la chiamano) del Rais e dei suoi aficionados. Non so quanto siano vere le notizie di bombardamento sui civili inermi (conoscendo il soggetto forse ci credo pure). In ogni caso poveracci coloro che hanno inteso opporsi ad un regime che di democratico ha ben poco. Quello che avvilisce (e che dannatamente non cessa di stupirmi) è che gli affari sono affari. Esemplare il comportamento dell’Europa. Questa entità monetaria (voluta dalle banche e dai loro epigoni ai posti chiave negli organismi che contano) sta assistendo impassibile a quanto va accadendo colà. Il massimo del sussulto è intorno alla gestione dell’emergenza profughi: preoccupati in altre parole di rimbrottare la domestica perché non nasconde a dovere la polvere sotto il tappeto.



L’Italia, di cui devo capire ancora bene cosa si celebra domani (un revanscismo d’antan ? le prove generali per un improbabile mondiale vinto a mani basse ?) deve decidersi. Schizzati dall’Europa, trattati alla stregua di domestici (i profughi ? cazzi vostri !) siamo gestiti da dilettanti che hanno a portata di mano la possibilità di smarcarsi e riprendere finalmente in mano le redini di un ruolo guida per i paesi che si affacciano, insieme, al Mediterraneo e alla democrazia.



Valgono bene i silenzi imbarazzati delle altre nazioni europee, nel silenzio i barili di petrolio vengono assicurati. Nessuno che intraveda in ciò che sta accadendo una formidabile opportunità.


Agevolare il passaggio da regimi tanto anacronistici quanto spietati alla democrazia (per pessima che sia la nostra tv viene captata anche là, contribuendo chissà a fare un quadro idilliaco del nostro way of life…un mio amico diceva, cosa cazzo vuoi che pensino di una nazione che manda spot per cibo a base di salmone per i propri gatti quando lì si sta alla fame ?).



Il web è già roba per classe media, forse dagli internet point di mezz’Italia gliela raccontano bene, diversa a come noi sembra. Ma c’è davvero da chiedersi come va la nostra diplomazia, perché è cosi incapace di intravedere in questa area del nord africa qualcosa che somigli all’opportunità che per la Germania Ovest ha rappresentato l’annessione (il ricongiungimento) con quella dell’Est.


Perché lo hanno fatto, voluto ? Perché hanno intravisto un mercato. Un mercato composto da persone, non più da sudditi da tenere sotto la mordacchia di leggi assurde. Sono paesi ricchi di risorse naturali. Dalla loro ridistribuzione e dal ruolo guida di una nazione che sappia come valorizzarle, per costruire infrastrutture, dotarli di capacità produttiva, collegarli ad un mercato globale, dipende il loro e il nostro futuro.



Si dirà una visione allucinata di un capitalismo che non c’e’ più. Eppure, tutte le teste pensanti stanno lì a dirci che o il capitalismo, nel mercato che cambia, saprà vestire i panni buoni del motore di sviluppo, concedendo implicitamente grosse occasioni di crescita (economica, democratica) a popolazioni ancora antistoricamente legate a retaggi coloniali e subito dopo a decenni di dittature più o meno populiste, se non soggiogabile dalle lusinghe dell’estremismo islamico.



Non c’è altra strada, è una scommessa. Salvo perderla, giocando al ribasso, e cogliere l’unica opportunità nello sfruttare malignamente il carico di disperati che arrivano e ai quali concedere come unica prospettiva quella di venire adeguatamente sfruttati nella Rosarno di turno, e continuare ad ubriacarsi di petrolio. Fa niente se striato di sangue.

26/02/11

Perchè non ballate ?

from tv ALJAZEERA








Ha concluso il suo discorso esortando la folla: "Andate a ballare !"

24/02/11

Il ruolo del web in nord Africa

disordini in Libia









Due pensieri veloci su cosa sta succedendo al di la del mare

Sono giorni che ci arrivano notizie, lascerei da parte qui volutamente gli aggettivi, intorno a quello che sta avvenendo dall’altra sponda del Mediterraneo.

Siamo assorti nei nostri, rispettivi, quotidiani. Queste storie ci arrivano e ci svelano l’incapacità di incasellarle come il nostro automatismo ci ha abituato a fare davanti, che so, ad una sciagura (tsunami, terremoto, conflitto) che arriva da un altro capo del mondo.

Stavolta lo spettacolo ce l’abbiamo sotto i piedi. A due passi da noi.
E’ già successo, è vero. Ai confini terrestri. Quindi saremmo in un certo senso allenati avendo assistito a quanto e’ successo, giusto pochi anni fa, nella ex Jugoslavia.

Eppure, mai come questa volta lo scenario ci impone di prendere atto che si tratta di una cosa diversa. La dove ad accendere la rivolta e la violenza sono state le odiose motivazioni etniche, qui assistiamo ad una sollevazione dettata dalla necessità di porre fine a regimi fortemente caratterizzati da personalismi. Le figure cadute erano al potere da decenni. Non sappiamo quanto l’insofferenza sia cresciuta in tutto questo tempo. Di certo ad accendere la scintilla stavolta è stato un insieme di motivi, fra i quali voglio mettere (da inguaribile ottimista quale sono) anche la potenza, il ruolo giocato dal web.

Dove la censura ha potuto edulcolorare scenari idilliaci, intrisi di aspetti messianici, la rete ha fatto piazza pulita di qualsiasi ostacolo, contribuendo, quasi in modo virale, alla diffusione delle informazioni. Cosi un cittadino libico ha potuto apprendere di quanto accaduto a due passi da lui, in Egitto, giusto poche settimane fa, e ancora, fare cassa di risonanza per renderlo edotto di tutto ciò che accadeva, e accadde, nell’area.

Ecco, la nostra indifferenza si scontra o non considera appieno ancora la potenzialità di questa grande invenzione, capace, quasi da sola, di regalare, col fatto stesso di informare (lasciamo perdere qui il derivato dei commenti, atteniamoci alla fornitura dei fatti) di aprire, la dove sembrava impossibile, elementi di conoscenza, di consapevolezza.

Condivisione. E’ questa la parola chiave. Condivisione in luogo di un’elargizione monodiretta, ridicola (ma nonostante ciò, mortifera ugualmente) riedizione del già visto minculpop. Condivisione che scardina regimi, assetti sociali improntati ad un antistorico e inattuale accentramento di potere (in questo caso di controllo dell’informazione). Depurata da tutte le tare, e i rischi di imprecisione, dovute alla proliferazione incontrollata di notizie, lo storytelling stavolta è l’arma di cui si riappropriano categorie desuete come le masse, che saranno ancora care alle vecchie scuole di sociologia, ma che si rivelano drammaticamente inadeguate a concepire il presente.

10/02/11

Shining in Appennino

scena tratta da Shining, dialogo fra Nicholson e il barman immaginario







Oggi mi ha telefonato un amico. Un amico che sento ogni tanto, sempre con grande piacere perché ha un senso dell’umorismo che mi è prossimo.
L’amico mi ha raccontato di una sua gita in bicicletta su una vetta (non me ne vorrà: non ne ricordo il nome) comunque definita come una delle più impervie a memoria di ciclista (è stata tappa, m’ha detto, di numerose edizioni del giro d’Italia).
Non indago qui il livello di preparazione alle corse in bicicletta del mio amico. Mi basta sapere che è uno competente quanto basta per poterla definire “Piuttosto ardua”.

Raccontandomi di questa salita, confortata dall’allegra temperatura intorno ai meno tre gradi, si è soffermato sull’incontro con il gestore di un bar (che definire poco frequentato è eufemismo che rasenta il british), circondato veramente da quattro-case-quattro, posizionate sulla vetta.

La descrizione che me ne ha fatto, considerando il livello di convivialità che può nutrire una persona collocata lì con quella opportunità di contatti, è stata piuttosto precisa. Al punto che ho potuto immaginarmelo. Omone, occhi che ti guardano seri mentre spara battute condite di cinismo senza cercare compiacenza, ne nella mimica ne nello sguardo che anzi, come detto, incuteva un che di timore. Il dialogo è stato surreale quanto basta. Il tipo si è attardato a descrivere le caratteristiche dei pochi altri avventuratisi fin lì in bici (ovviamente non professionisti ma amabilmente definibili "della domenica" anche se commettono questi errori di feriale). Salvo sentenziare…”...in natura tutto torna…sai quanti ne sono dovuto andare a riprendere, spompati, da raccogliere col cucchiaino…fortuna che la zona è piena di lupi, tutto torna…è un ciclo”, si, a pedali ! avrei aggiunto…ma mi sarei trattenuto non volendo dare a costui l’impressione, nemmeno lontana, di una sfida al suo senso dell’umorismo un po’ noir.

Comunque il dialogo è andato avanti su questi registri ancora per un po’ dopo di che i due si sono salutati. Non senza che il barista gli abbia sibilato l’ultima, sinistra, profezia…”Ma dove va ? A quest’ora trova tutto ghiacciato mica ce la farà a scendere…”.

Ecco, come se questo amico inconsapevolmente avesse acceso un interruttore, subito ho avuta la visione di un altro, celebre, barista. Quello col quale Jack Nicholson colloquiava amabilmente in Shining, frutto vattelapesca se delle sue visioni sostenute da robuste dosi di alcool, ma mi pare di ricordare, avendo avuto cura di leggere anche il testo (di Stephen King, il cottimista dell’horror) che non fosse un’invenzione del buon Kubric buon’anima.

Ho talmente amato questo tipo di situazioni da averle forzosamente inserite in qualche puntata del Procasma. Dove il topos del dialogo col barista si ammanta di complicità, dettata dalla consapevolezza che entrambi, avventore e barista, non abbiano posto in essere il loro rapporto intorno all’assunzione di tisane ecologiche ma sostanzialmente di bevande a base alcolica, con tutte le conseguenze del caso.

Quel’atmosfera torbida e complice quanto basta, dettata, quasi per stridore, dall’osservanza di una rigida etichetta (la prassi vuole che il barman sia in uniforme da barman, in genere giacche rosse sgargianti sopra camicie rigorosamente bianche e l’immancabile farfallino nero che sigla, e connota, l’addetto alla somministrazione di drink come uno che sa fottutamente il fatto suo).

Nulla mi vieta di pensare, che in occasione di una prossima visita, l’uomo avendo appreso (hanno una memoria formidabile i barman professionisti) ormai le abitudini del mio amico non lo lasci nemmeno parlare (non tanto per mancanza di fiato da parte di quest’ultimo a causa dell’impervia salita) e lo ammicchi, appena entrato, con il più consumato dei sorrisi….”il solito, Dottò ?”

06/02/11

L'Eco della battuta (o la battuta di Eco ?)

il profeta








Con il dovuto risalto che si deve a tutto ciò che esce dalla bocca di questo faro di cultura, i giornali hanno riportato la battuta che ha profferito ieri davanti ad una folta platea.
Il nostro tentava di ironizzare sulla similitudine del nostro premier con il presidente egiziano, sottolineando che in comune avessero non soltanto la “nipote” (la famosa Ruby al centro dell’ultima campagna di fango mediatico) ma anche la riluttanza a concedere le dimissioni.

Presa a sé, non fa neanche ridere. Vale però la pena di ricordare, a chi ha cattiva memoria, che costui aveva minacciato di abbandonare l’italico suolo qualora, all’indomani dell’ultima tornata elettorale (quella del 2008) sarebbe uscito sconfitto.

Ora, lecito ognuno professi ciò in cui più crede, ma sottolinerei il tic di questo ceto intellettuale radical chic di sinistra, che non riconosce alcuna validità al suffragio elettorale, ritenendosi (magari non del tutto a torto) superiore ma cimentandosi nello sport nazionale dell’esternazione ad effetto.

Perché però non portano alle estreme conseguenze questo principio ? Perché, pur allignando da anni nell’empireo della cultura italiana, si ritrovano con un popolo di “coglioni tv-diretti” e catatonizzati dalle televisioni commerciali del cavaliere ?

Forse non saremmo messi come siamo se questo ceto, al di là di sentenziare stronzate antidemocratiche, si fosse adoperato a che il livello culturale del paese si potesse immunizzare dal suono suadente delle sirene dell’easy way of life imperante.

Sia.

[continua, sicuramente]

e infatti: è continuata : clicca qui

28/01/11

Hai bisogno di blues ?

la copertina del disco

















Poi, dice, hai bisogno di blues.

E la dose è via via sempre più alta. Per sopportare gli ingorghi, gli insulsi jingle della pubblicità alla radio, per rimanere indenni dal fiume di merda che sta seppellendo gli addetti ai lavori di questo posto. Ecco, come uno di quei momenti nei quali, fra colline di nuvole minacciose, e grondanti pioggia, si fa strada un piccolo squarcio di luce che è in grado di aprirti ad altri, nuovi, orizzonti e ricordarti che esiste il sole.

Il sole, in questi giorni, per me è un cd consigliato (sempre da Piero) di Gregg Allman.
Un'insolita mistura di blues, che al primo ascolto lascia indifferenti ma che si lascia apprezzare mandandolo in loop, dallo stereo della macchina, ogni qual volta ritengo insopportabile l’ordinaria amministrazione (tg, talkshow, chiamate alle armi e pippe culturali).

Gregg Allman è stato uno degli Allman Brother. Sti cazzi, verrebbe da dire. Eppure se vi capitasse ora di riascoltare un brano che si chiama Jessica, e negli anni 70 eravate nel pieno della tempesta ormonale, potreste capire di cosa sto parlando.

La bellezza del disco risiede nella maniera nella quale è inciso, certo: al di là dell’indiscussa attitudine al blues del protagonista. Una chicca, un piccolo gioiellino la cui sonorità, come detto, è in grado di ristorare, e di aprire una piacevole parentesi nel grigiume generalizzato.

Ottimo il brano 6 , Just another rider con chitarre che sembrano sprigionare energia a piene mani.

Uhm….grazie (ancora)a Piero.




Risorse:
qui un paio di recensioni (la prima, la seconda)

25/01/11

Romanzo de che ?

La copertina del libro












Note, confuse, intorno all’epopea di Romanzo Criminale.


Premessa: non l’ho letto. Ho visto di striscio qualche spezzone in tv, subito dimenticata: come direbbe Branduardi “non è il mio te”.
Dati verificati. A mia figlia (16 old) piace. Ha rivisto in streaming, su qualche sito, tutta la serie.
Altri dati, in due importanti librerie di Roma l’omonimo libro è andato esaurito. Altro dato ancora, (si dice, tre dati fanno un indizio…?! O com’era ? Tre indizi fanno una prova ?). Sia come sia, ieri parlavo con Piero. Piero è un mio amico che lavora in una grossa libreria qui di Roma. Mi diceva, piuttosto sorpreso, che il Dvd della serie (in vendita, per gli aficionados intorno ai 20 euri) durante le ultime feste è andato esaurito. Sold out.

Ora, sono piuttosto refrattario alla fascinazione esercitata da queste tematiche. Per un insieme di motivi, tutti leggermente fuzzy. In primo luogo: l’autore, certo De Cataldo è un magistrato, o ex tale. Diciamo che la categoria non è che mi sia particolarmente simpatica, cosi, a pelle. (diciamo anche che accomuno al concetto anche l’altro “caso editoriale” di Bari…Messer Carofiglio).
Trovo che ci sia una sottile perversione di sottofondo: è come se uno si portasse il lavoro a casa.
Estremizzando: “dopo averti condannato, adesso ci faccio anche i soldi sopra”. Non mi pare elegante. Ma ripeto, fin qui, sono ancora nemmeno ad un’analisi articolata. Sensazioni epidermiche.

Piero invece ha acceso una torcia la dove regna il buio (ma fermentano i pensieri) e ha esteso quello che ho solo abbozzato. Quello che non va è la percezione. “Cletus, questi erano dei criminali”.
Eccerto. Mica dame di carità. La violenza, declinata a mille. La percezione, confermata da Piero, è che venga alimentata una sorta di simpatia verso questa congerie, a partire dal titolo al quale forzosamente si vuole annettere una valenza quasi da epopea. Romanzo, pomposamente si chiama. Mica Cronaca. E le parole hanno un peso, nel nostro immaginario, per come vengono recepite.
Già dal titolo, si ammicca. Cosa vuoi dirmi ? Sono io che sto al palo di retaggi catto comunisti ?
Romanzo de che ?

La parte razionale ancora non condanna, almeno non del tutto, l’operazione. Diamo per buono una valenza omeopatica al tutto. L’esposizione alla violenza, chissà, nell’intento dell’autore (che pure è stato, od è, uomo di legge) non può che essere interpretata come l’antidoto a che non si ripetano tali efferatezze. In altre parole, guarda lo so che all’epoca non eri nemmeno nato. Forse non hai strumenti a sufficienza per interpretare correttamente il senso di tutta l’operazione, ma io non voglio farne degli eroi. Vorrei, semmai, farti capire che questi sono modelli da non seguire.
Ecco. Ma non è, almeno stando a Piero, e anche a mia figlia (d’accordo non sono le tavole della legge) la percezione è non già di condanna, semmai di malcelata compiacenza.

Ancora. Sul tema. Ieri sera, lunedì, su Rai Uno hanno mandato in onda un’altra puntata di una serie televisiva (fatta in casa) chiamata Caccia al Re. Scritta come potrei farlo io (con una punta di presunzione: forse anche peggio) anche qui si narra delle gesta di un commissario alla caccia con una potente organizzazione malavitosa della capitale. Sono rimasto sorpreso (chissà, in un impeto di voler dare autenticità al tutto) dal linguaggio. Parlo della cosiddetta “prima serata”, quando è presumibile che fra coloro che bivaccano dinnanzi ad uno schermo, l’età sia piuttosto variegata.
Linguaggio definibile crudo è poco. Scene di violenza, anche piuttosto mal recitate (ma questo è un altro discorso).

Non mi sento un moralista, o forse si. Nel tramonto delle definizioni, in questo alfabeto cacofonico (in questo si, perfetto specchio delle dinamiche sociali al tempo della crisi) queste narrazioni rappresentano il punto focale pericoloso intorno al quale gira l’acquiescenza. Metabolizzare la violenza, posto che questo sia l’intento, non significa esaltarla, anche bene ridonando, intorno ai protagonisti, quell’aurea di contestualizzazione. Al contrario, iconizzarla, fissarla, tornare a riproporcela, dopo che la storia recente si è appena incaricata di metterla in soffitta, col rischio di farne un modello, va a fare leva su istinti non molto ben controllabili. E’ il trionfo, sotteso, dell’ineludibilià, lo vedete cosa hanno fatto ? Mica perché, mica come mai, mica cosa cazzo c’era in giro per il “Paese” in quell’epoca (che già sarebbe a modo suo un tentativo onesto di farne almeno una cronaca). Macchè, scoperchio incautamente il vaso di Pandora, e chi se ne fotte delle conseguenze. Non cauterizzo un bel niente, e tollero che il tutto venga pericolosamente interpretato come un avvallo. Confortato dai fatturati, e dai diritti d’autore.

L’altra domanda allarmante, alla quale non so dare una risposta, è perché ha successo ?
Davvero si tratta del risultato di un abile operazione di marketing mix ? (prima la serie tv su Sky, poi il libro, adesso addirittura gli accendini, trovati guarda caso vicino alla cassa in un bar di via della Magliana).

update: in calce a questo post si è scatenata una discussione (civilissima peraltro) con Davide Malesi (persona che stimo) su Facebook.
Tento di riportarla qui, essendo negato col copia Davide L. Malesi Guarda che il romanzo di De Cataldo (per inciso, secondo me uno dei migliori romanzi italiani di questi anni, una pietra miliare) ha avuto successo molto prima della serie tv. Già sei-sette anni fa aveva un suo nutrito seguito di appassionati, nato da un intenso passaparola: ricordo che lo salutammo entusiasticamente, come - subito dopo "Q", altro momento epifanico - l'avvento di un romanzo italiano che riuscisse ad essere epico, maestoso, avvincente, senza sperimentalismi o intimismi.
martedì alle 8.32 · Mi piaceNon mi piace più.Cletus Alfonsetti Davide, parlo dell'influsso (malefico) della fascinazione che un taglio acritico può generare. Non discuto la qualità della scrittura. Non qui.
martedì alle 8.41 · Mi piaceNon mi piace più.Davide L. Malesi Dovresti però indignarti anche perché Achille, iracondo e violento com'è, spicca sugli altri greci nell'Iliade. E condannare Shakespeare perché ha reso così affascinante Riccardo III, un personaggio spietato e amorale, mettendogli in bocca tutte le battute migliori. Eccetera eccetera.
martedì alle 8.47 · Mi piaceNon mi piace più · 1 personaCaricamento in corso....Cletus Alfonsetti Davide, ribadisco, l'effetto è perverso. Anche facendo salvi gli intenti letterari. Non è sufficiente la violenza "aggratis" nella quale navighiamo ?
martedì alle 9.13 · Mi piaceNon mi piace più.Davide L. Malesi Cletus, puoi segnalarmi casi accertati, verificabili, di persone che hanno scelto di intraprendere professionalmente attività criminali perché suggestionate dal Freddo o dal Libanese? Via, siamo seri.

Ribadisco a mia volta: perché non te la ...prendi anche con Omero e Shakespeare?Mostra tutto
martedì alle 9.19 · Mi piaceNon mi piace più.Cletus Alfonsetti No, Davide, non habet. Mi basta registrare che un autore che professionalmente si sarebbe occupato di reprimere attività criminali (a norma di legge) nel decidere di narrarle abbia assunto un tono compiaciuto, di la dalla cronaca. Punto. Con buona pace di Shakespeare, che al confronto, non scomoderei.
martedì alle 9.21 · Mi piaceNon mi piace più.Davide L. Malesi Un romanzo non è cronaca. Richiede che venga ossequiato il principio di immedesimazione, altrimenti non è un romanzo (cfr. Otto Ludwig, "Il racconto scenico"). Quello che chiami erroneamente "compiacimento" è l'esito che il principio di imm...edesimazione funziona in modo corretto nel romanzo: noi non siamo estranei alle vicende narrate, ma sentiamo partecipazione emotiva.

Ma scomodiamolo, invece, Shakespeare. Perché il principio che asserisci valere per Dandi e per il Freddo non vale per Riccardo III?Mostra tutto
martedì alle 9.31 · Mi piaceNon mi piace più · 1 personaCaricamento in corso....Cletus Alfonsetti Appunto, un romanzo non è una cronaca. Fosse stata quest'ultima avrebbe ottenuto i cosidetti onori. A me pare, in tutta franchezza, un'operazione della quale, visti i tempi, non si sentiva alcun bisogno.
martedì alle 10.34 · Mi piaceNon mi piace più.Davide L. Malesi Cletus, continui a non rispondere alla domanda. Perché il principio che asserisci valere per Dandi e per il Freddo non vale per Riccardo III? Secondo il principio che sostieni, anche Shakespeare avrebbe dovuto astenersi dallo scrivere quel dramma, visto che i suoi tempi erano ben più violenti e travagliati dei nostri.
martedì alle 10.38 · Mi piaceNon mi piace più.Cletus Alfonsetti Per i motivi che ti ho detto. Non ho letto Shakespeare, sto ragionando intorno al fatto che un'opera (anche bene con velleità letterarie) insista su un tema in modo compiacente (o compiaciuto). Mi chiedo quale ne sia l'utilità. Prima ancora che dal punto di vista letterario (dove sia chiaro ogni confine è da abbattere) proprio dal punto della fascinazione che sembra esercitare sui giovani.
martedì alle 10.54 · Mi piaceNon mi piace più.Davide L. Malesi Non devi aver letto Shakespeare per rispondere alla domanda: ti basti sapere che Riccardo III è un personaggio fascinoso, fornito di tutte le battute migliori del suo dramma, e al tempo stesso violento e amorale. Come lo sono sempre i grand...i antieroi letterari, d'altronde. Questo non è compiacimento, termine che insisti a usare erroneamente: serve a coinvolgere chi fruisce dell'opera, affinché egli senta che le azioni dell'antieroe non ci sono estranee, anzi ci appartengono, fanno parte di noi. Non ne siamo estranei.

Tu asserisci che uno scrittore dovrebbe astenersi dallo scrivere un'opera in cui siano presenti queste caratteristiche, come è "Romanzo criminale". Quindi, per estensione, affermi che Shakespeare non avrebbe dovuto scrivere il Riccardo III, né Stevenson "L'isola del tesoro" (dove c'è Long John Silver, altro "cattivo" fascinosissimo che ruba la scena al protagonista). Eccetera eccetera. Se sì, prendo atto che vorresti cancellare un bel pezzo di storia della letteratura per ragioni di censura moralistica. Se no, devi dirmi dove sta la differenza. Perché il principio che asserisci valere per Dandi e per il Freddo non vale per Riccardo III e Long John Silver? O per l'Achille omerico?Mostra tutto
martedì alle 11.06 · Mi piaceNon mi piace più.Cletus Alfonsetti Davide, anch'io, nel mio pezzo, sospetto un intento omeopatico (come lasci intendere tu): parlo di violenza, non nascondendola, affinchè parlandone si possa poi sfuggirne. Perfetto. Cosi come perfetti sono gli oliati meccanismi (sui quali i...mmagino il gran lavorio della critica letteraria) della narrazione. Resta il fatto che il modo di parlarne, indipendentemente dagli intenti dell'autore, leggittima più di un dubbio circa la necessità di esplicitarla ancora. Non credo, e non tranciarla come moralistica, che tutta questa esposizione mediatica (serie TV, romanzi- che comunque qualcuno, come la mia ex- è contenta che i minori leggano piuttosto che stare davanti ad un video) sia NECESSARIA. Avevamo già dato. Ci eravamo lasciati alle spalle le gesta "memorabili" della Banda della Magliana, non sentendone (personalmente) alcuna mancanza. Ora un magistrato ce le ripropone. Una TV satellitare, (ah ma qui Orwell non funziona ?) ne fa una serie di successo. La TV di Stato che si sente leggittima a sfruttare il filone (finchè è caldo) ed io, perdonami, cominicio ad averne abbastanza.
Poi, ognuno si tenga i riferimenti e i modelli cui crede.Mostra tutto
martedì alle 14.11 · Mi piaceNon mi piace più.Davide L. Malesi Quando dico che stai facendo del moralismo, mi riferisco proprio ad asserzioni come:

"Ci eravamo lasciati alle spalle le gesta della Banda della Magliana, non sentendone (personalmente) alcuna mancanza"

in cui passi dal tuo gusto personale, d...ai tuoi bisogni, a un contesto complessivo. Se quel romanzo e quella serie tv hanno successo, si vede che le gesta dei personaggi sono gradite al pubblico. Tu, per quanto ti riguarda, non le apprezzi in quanto violente? Benissimo: puoi non guardare la serie e non leggere il romanzo, o puoi criticarli - come stai facendo - additandoli come violenti. Sta di fatto che la violenza è un ingrediente di base della drammaturgia dai tempi di Omero, e che la gran parte della narrativa è impostata sulla narrazione di conflitti violenti. Sinceramente, spero che "Romanzo criminale" stia a indicare una svolta nel modo di fare fiction tv in Italia, iniziando a lasciarci alle spalle i buoni sentimenti, la carità cristiana e tutte queste stronzate per mostrarci un'Italia laida, avida, piena di gente di merda, di arraffoni e cafoni e puttane, di imprenditori ladri, sbirri corrotti, politici mafiosi, quale in effetti è. Quanto dovremo aspettare ancora per vedere serie tv davvero crude, feroci, amare, prive di speranza o di pietà come "The Shield" o "The Wire"? A ben pensarci, "Romanzo criminale" è ancora poco, troppo poco. Bisogna andare oltre. Spingersi più avanti. Serve più durezza, più coraggio.Mostra tutto
martedì alle 15.50 · Mi piaceNon mi piace più.Davide L. Malesi Peraltro, continui a non rispondere alla domanda, che ripropongo. Perché il principio che asserisci valere per Dandi e per il Freddo non vale per Riccardo III e Long John Silver? O per l'Achille omerico?
martedì alle 15.52 · Mi piaceNon mi piace più.Cletus Alfonsetti Perchè le prime mi sembrano operazioni nate al tempo nel quale non c'era la televisione. Da un uomo di legge, mi aspetterei maggior distacco. Ma tant'è...Certo che mi astengo dal vederle, di solito sto poco davanti alla tv.

Ah, per la crona...ca, a Roma, con quello di oggi, sono salite a 6 le vittime di ammazzamenti violenti negli ultimi 10 gg. (fonte TGR3)Mostra tutto
martedì alle 16.02 · Mi piaceNon mi piace più.Davide L. Malesi Sei in grado di stabilire un legame indubitabile, certo, tra "Romanzo criminale" e gli omicidi di cui parli?
martedì alle 16.06 · Mi piaceNon mi piace più.incolla del link di FB)

24/01/11

Due parole su Bolaño

Mi capita di leggere sempre di meno. Ultimamente sto incontrando molta fatica a mettere mano alla pila di libri da leggere (o da finire di leggere). Fasi. Mi riservo di farlo non appena messe a posto un po’ di cose, mi dico. Sono altresì consapevole che si tratta di scusa classificabile come pietosa.

Tuttavia (adoro questa congiunzione) il tempo per leggere i quotidiani (limitatamente il Tuttolibri del sabato e l’inserto del Sole24ore la domenica) lo trovo, sarà anche in forza del fatto che escono, entrambi, nel fine settimana cosa che consente, almeno qui, di disporsi a leggerli (ma nemmeno sempre…) con un po’ più di calma.

Questa settimana accade un fatto strano. Sabato mattina esco all’alba (di ritorno da un viaggio piuttosto lungo in auto) sotto la pioggia e arrivo all’edicola. Metto in macchina la Stampa.
Nel pomeriggio, dovendo trovare un testo per la figlia di una mia amica, entro in una fornita libreria del centro. Il testo non si trova (“è fuori catalogo, signore” mi ha detto con finto dispiacere una commessa molto presa dalla parte). In compenso, ho individuato sul banco l’ultimo di Bolaño: Terzo Reich. Wow. Preso a scatola chiusa.

Sto finendo di leggere Amuleto (di cui ho regalato una copia ad un amico, giorni fa). Per quanto letto finora, Bolaño non si smentisce: stessa scrittura intrisa di ironia, felici trovate narrative, in due parole: autentica goduria.
A sera, metto mano alla Stampa. Apro la pagina centrale e trovo una recensione di Voltolini su Terzo Reich. Bingo ! (ecco, sono queste le cose che mi piacciono, il sincronismo involontario, inconsapevole).

Ieri, domenica, stessa storia per il Sole24. Apre l’inserto una puntuta analisi si Salis. Fu vera gloria ? potrebbe condensarsi. A parte l’infelice impaginazione, il pezzo si attarda sull’analisi della facile ascesa nell’Olimpo della Letteratura (notare le maiuscole) interrogandosi sulla natura di Fenomeno Editoriale. Accostando Wallace e Bolaño. Di spalla altri due interventi di La Gioia e di Recuperati.

Morale: di Bolaño si parla intensamente. A torto, o a ragione. Ma sta di fatto che l’attenzione a questo scrittore è condensata nella battuta, citata, di un lettore (immagino “forte”) americano, sentito richiedere, in una libreria, è uscito qualcosa di nuovo di Bolaño ? (Probabilmente ignaro del fatto che nel frattempo sia morto).

PS. In uno di questi articoli del Sole, adesso non ricordo quale, si paventa il fatto che a determinare questo successo di Bolaño (ahimè, come detto, postumo) sia l’indiscussa bravura del suo agente (tal Andrew Wylie). Ora, dando per buono, che anche per altri scrittori lo stesso (ma anche altri agenti) non siano rimasti con le mani in mano, ridurre al merito di un agente il successo di una scrittura la trovo, francamente, un’idea piuttosto riduttiva.


Risorse: qui un omaggio a 2666 ospitato in bottegadilettura 2,0
Qui il link al tuttolibri di Sabato con la recensione di Voltolini su Terzo Reich.

04/01/11

Grazie Bandini

Potresti finalmente decidere che puoi evitare di fare il galante accompagnando al cancello la tua amica che ti e’ venuta a trovare mentre ti stavi facendo una doccia, ancora non del tutto asciugato e con una spavalda quanto incosciente tshirt sulla pelle bagnata, mentre fuori è ormai notte e ci sono tipo sei gradi.

Potresti ancora arrivare alla risoluzione di evitare di ingerire dosi significative di champagne, anche bene accompagnate da una scodella di fragole fuoristagione (chissà dove le coltivano, e soprattutto dove hai messo gli occhiali per leggere l’etichetta i cui font size sono presi a specchio per visite oculistiche coi controcazzi).

E ancora, potresti fare in modo di astenerti dal volerti cambiare se poi la notte, anche a seguito dell’ingestione di un bollito che era nella zona ibernata del tuo vecchio frigo chissà da quanto, sudi come un cammello che non incrocia un oasi da un semestre.

Poi però, fa niente se è il cuore della notte, sono solo le quattro e venticinque, plani su questo blog (http://zonadeumanizzata.blogspot.com/) e rimani incantato.

Grazie Bandini.