16/12/12

Tutto tutto, niente niente. Ma proprio niente.














Buona la prima, si dice nel mondo del cinema quando una scena risulta girata in modo da non richiedere una seconda. Lo stesso potrebbe dirsi per questo film, dopo Qualunquemente.

Al successo (?) del primo segue questa seconda prova. Sostenuto da robusti finanziamenti pubblici, ben pubblicizzato dalla RAI che ci ha anche messo soldi, il film non decolla, nonostante la moltiplicazione di Albanese, in una versione aggiornata della Santissima Trinità: oltre a Cetto la qualunque, stavolta il nostro veste i panni di un santone frikkettone, e (in ossequio ruffiano al politically correct) va giù contro la Lega, interpretando un rozzo funzionario ultrà di quel partito.

Non so chi abbia scritto la sceneggiatura. Ma il film è un continuo tentativo di agitare il nulla. Il festival dello stereotipo. E una resistenza impegnativa contro il desiderio di restare sveglio.

Questo è lo stato della nostra cinematografia.
Una satira che tutto fa, tranne che risultare graffiante nei confronti del potere.
Già detto, ma è mia particolare sensazione che questo genere di operazioni anziché portare acqua alla coscienza critica dello spettatore, si avvita su se stessa (posto che siano queste le aspirazioni recondite) risultando la solita melassa che spinge all'accettazione, supina e ovina, dello status.quo.

Si dirà, ma è un comico, che cazzo vuoi ? Si, certo. Ma allora o ti addentri nei territori dell'iperuranio della comicità, oppure funzioni da cristallizzatore. Lasci inalterato tutto.
Tranne il portafoglio. Dal quale è uscita la banconota per staccare il biglietto.

Ma per favore...

10/12/12

L'importanza di essere indipendente















L’importanza di essere indipendente. Nuovi modelli di produzione e distribuzione fra carta e rete

Sabato c'è stato questo convegno nel corso della fiera della piccola editoria Piùlibri, all'Eur.
Presenti sul palco, Andrea Cortellessa, Fabrizio Venerandi, Fabio Masi (titolare dell'unica libreria sull'isola di Ventotene), il responsabile di :due punti edizioni (casa editrice palermitana con ottimo catalogo) e il giovane responsabile di Oilproject un sito di contenuti per l'apprendimento gratuito.

Come si vede, un variegato panorama di protagonisti del mercato editoriale. I temi trattati sono stati pertanto di strettissima attualità.
Ha esordito Fabio Masi, il libraio di Ventotene (carino il nome: Ultima spiaggia). Ha prefigurato la nascita da noi, sulla scia di quanto già avviene in Europa (se non ho capito male, Francia in particolare) di un accordo con le major (case editrice più grandi) che destinano l'uno per mille a favore delle librerie cosiddette indipendenti, cioè coraggiosamente al di fuori dei circuiti istituzionalizzati delle mega librerie in mano ai brand più famosi.
L'idea è condivisibile, e in un paese che avesse a cuore la pluralità come valore, potrebbe senz'altro vedere la luce. Sulla funzione e l'importanza di continuare ad esistere delle piccole librerie si potrebbero stendere tomi. Spesso sono l'unico avamposto (immaginate su un Isola di appena 800 persone, dati ISTAT 2010) per portare una scintilla in una prateria.

Ha preso poi la parola Fabrizio Venerandi (di Quintadicopertina). Il suo, per evidenti motivi(1), era l'intervento che più mi interessava e infatti non ha mancato di sollevare una serie di spunti interessanti.
Intanto ha sgombrato il campo dall'illusione che la pratica di editare un ebook, sia di per sé sinonimo di indipendenza. Ha giustamente fatto presente come, il paradosso attuale, vede riproporsi nel digitale le stesse dinamiche del cartaceo. Ovvero, non esiste qui una “distribuzione” intesa come catena (costo) a sé stante, ma il suo posto vedi bene è stato preso proprio da coloro che hanno prima creato la tecnologia (hardware) e poi gelosamente custodita. Atterrisce quanto da lui affermato, circa la totale libertà che l'autore deve essere costretto a controfirmare all'editore-sito vetrina, pena vedersi escluso dallo scaffale digitale.
E poi ancora la guerra dei formati (che ricorda un po', per chi ha una certa età, l'antagonismo fra il sistema VHS e BETAMAX all'avvento di quegli ordigni chiamati videocassette). Ovvero, una casa (la Apple sul suo Applestore) ma anche altre, possono sbarrare l'accesso (leggi: rifiutare un ebook) adottando un formato che sia leggibile su un device invece di un altro, arrivando addirittura al rifiuto qualora questo addirittura non soddisfi i requisiti di formattazione (rientri fatti in un certo modo...etc.).

Ora, a me sembra (e se ci fosse stato tempo mi sarebbe piaciuto porre ai presenti questa domanda) che stiamo vivendo nel paradosso. Ossia, la tecnologia ha messo il turbo. La diffusione di “device” come i tablet cresce in maniera esponenziale (alla faccia della crisi) mentre langue l'offerta di contenuti. In questo risiede la limitatezza della considerazione degli ebook. Dati AIE dell'anno scorso stimavano a percentuali bassissime il numero di fruitori di questi ordigni In altre parole, dicevano, la lettura di un testo su un ebook (o tablet che sia) è prerogativa esclusiva di un cosiddetto zoccolo duro costituito dai lettori forti. Nel frattempo sono cresciuti anche da noi subito le piattaforme come Bookrepublic e altre, che vendono ebook a prezzo psicologico ovvero 3,99, 1,99 perché qualche stratega del marketing ha deciso che cosi devono costare, mutuando logiche più propriamente da supermarket o da pompe di benzina. La cosiddetta indipendenza, di cui profuma l'editoria digitale si scontra quindi dal lato vendite con queste muraglie. La visibilità sul web è condizionata dal passaggio e dalla cessione di autonomia (in alcuni contratti si dà addirittura allo store online la facoltà di modificare il testo). E in questo, a mio avviso, c'è già il de profundis dell'italian way all'editoria digitale. Per brevità di tempo nessuno ha segnalato l'altra grave incongruenza che vede gli ebook penalizzati anche dall'IVA. Mentre nel resto d'Europa viaggi a percentuali al di sotto del 10% qui da noi, mi pare bene, è il 21% venendo equiparato l'ebook ad una sorta di videogioco.

La cosiddetta autonomia dell'autore digitale (o del suo editore) si scontra contro questa regola. E se sopravvive lo fa grazie all'amore per l'avventura dei pochi che hanno intravisto in questo strumento una possibile opzione, e non una semplice alternativa alla carta. Non è una sfida, a mio avviso. Sono semplicemente due esperienze di lettura differenti. Quello che trovo strano è che nessuno si sia accorto che dalla coesistenza delle due opzioni possono nascere stimoli interessanti al mercato editoriale in toto.
Immaginate la possibilità, per me che compro un volume cartaceo importante (non importa qui dove...se in negozio o in un sito online) e contemporaneamente acquisto il diritto (tramite un codice stampato sullo scontrino) ad eseguire il download dello stesso testo in formato elettronico. O ancora, e qui siamo veramente nell'iperuranio della degenerazione da supermarket, ma tant'è la testa degli strateghi di marketing delle maggiori case editrici non è cosi diversa, se acquisto un tot di libri (di carta) accumulo un certo bonus che mi consente di scaricare dal loro sito gli ebook scelti da un catalogo.

Insomma, è sconsolante riguardare ad un anno di distanza (simili dibattiti si sono tenuto anche nell'edizione dell'anno scorso e non erano rose e fiori nemmeno allora) al panorama italiano. Siamo ancora nel mare magnum....la confusione regna sotto il cielo, è vero, ma la situazione non sembra per nulla eccellente. C'e' da lavorare e tanto. C'e' da sconfiggere quest'idea tutta “efficentista” che vede già sbarrato il mercato ebook se non si è “ostaggi” in qualche modo di questa o quella piattaforma di distribuzione online. Difficile immaginare da noi, fenomeni come quelli della absolute beginner americana che, inserendo timidamente il suo ebook sugli scaffali elettronici di Amazon si è vista premiata, prima dal passaparola, e quindi successivamente da un editore cartaceo, diventando l'ennesimo “caso letterario dell'anno”.(2)


Infine, gli interventi di Oilproject e di :duepunti edizioni. Il primo, di cui non sapevo nulla, mi è sembrato un valido modo di interpretare le potenzialità del web. Inteso qui come condivisione gratuita di saperi. Certo forte dev'essere la funzione di vigile del sito. Ma chiunque, ritenendosi sufficientemente edotto intorno ad un argomento, ha liceità di “postare” i propri contributi (vere e proprie lezioni) a beneficio di chi intenda approfondire e sopratutto a costo zero. Il sito ha vantato nel 2011 ben 250000 click. E continua a crescere. Ma voi lo sapevate che esisteva ? Io no. E ne sono felice, di aver appreso che esista una cosa cosi, che pare al solito all'estero vada già alla grande da qualche tempo.

:due punti edizioni ha invece portato l'attenzione intorno al proprio Manifesto (che ogni visitatore ha ricevuto in copia, all'ingresso). E' il grido accorato di chi, operando nel mercato in veste di editore, sopratutto medio-piccolo, tenta di sopravvivere per non restare schiacciato sotto il peso dei grandi attori (le grandi case editrici). Chiunque abbia a cuore la pluralità come valore dovrebbe leggerlo. E in un gioco economico che sembra ispirato più a logiche di un war-game, che non a quelle di un sano coesistere di istanze diverse (e da qui attingerne già solo per questo, in ricchezza di scelte) assume, il loro sforzo, il sapore di una scommessa.

(1) Evidenti perché Cletusproduction ha una sua ragione sociale. qui 

(2) Amanda Hocking, esordiente americana che ha venduto su Amazon un milione e mezzo di copie del suo “Switched” (in Italia lo pubblica Fazi), qui 

Risorse:
il sito di quintadicopertina: qui 
il sito di Oilproject: qui 
il sito di :duepunti edizioni: qui 
La libreria di Ventotene non ha un sito ma Fabio Masi ne parla qui

18/11/12

7 psicopatici, di Martin McDonagh














Staccato il biglietto sulla forza di qualche recensione letta di striscio e qualche megaposter appeso in città da qualche giorno. Pensavo fosse uno spettacolo teatrale.

Invece è un film, che mi ha lasciato perplesso. No, nessuno spoiler. Tranquilli. Chi vorrà, potrà andare a vederlo indipendentemente da queste righe. In ogni caso.

Sono uscito dalla sala perplesso. Il cast è eccezionale: attori bravissimi e famosi (su tutti mi è piaciuto Christopher Walken), il plot anche. Un meta-film. La storia di uno sceneggiatore in crisi creativa, attorniato da personaggi strampalati. La sceneggiatura che sta scrivendo narra di psicopatici, ma nella mente dell'autore (un bravo Colin Farrell) c'è un finale a sorpresa.

Sembra una parodia (mal riuscita) di un film splatter di quelli che ti aspetti sia girato dal Tarantino di Pulp fiction. Forse negli intenti del regista lo è pure. Ma qualcosa suona stonato. Forse l'epilogo, forse qualcosa è fuggito di mano. Non convince. O meglio, potrebbe farlo alla grande, vista l'idea di partenza.

Mi aspettavo un film dal quale esci con le mascelle slogate dalle continue risate. Invece in sala si ride poco....forse colpa solo delle mie troppe aspettative. In ogni caso da vedere, se non altro per passare un'ora e mezza immersi in un'atmosfera sulfurea, con ritmi incalzanti, e con un'ottima fotografia.

La colonna sonora, degna di nota.
Insomma, un ottimo soggetto, ma girato un po' frettolosamente.

Immenso Tom Waitts nel finale.

Bah.


risorse: qui oppure il trailer su youtube: qui

06/11/12

Due note al volo intorno al tema della musica Jazz.



















E’gran bagarre intorno alle dichiarazioni attribuite all’attuale Ministro della Cultura che ha definito la musica Jazz non appartenente alle nostre radici.


L’affermazione del Ministro Ornaghi suona, alla luce della contingenza economica che ha dettato lo stop ai finanziamenti ad Umbria Jazz Winter, come la classica pezza peggiore del buco.


Il governo cosi lesto ad alzare le pensioni, la corte costituzionale cosi sensibile alle ragioni di chi, guadagnando dai 90000,00 euro/anno nel pubblico impiego, dal cancellare il pur irrisorio contributo di solidarietà, ha perso un’altra occasione per tacere.


E’ vero che le radici di questa musica non ci appartengono, ma sostenere questo come motivazione all’interruzione di finanziamenti di manifestazioni al Jazz dedicate significa, sostanzialmente, non riconoscere cosa è diventata oggi la musica. Credo che al ministro sia del tutto estranea la tendenza al sincretismo, quella forza centrifuga che oggi corre da un lato all’altro del pianeta, contaminando, reinventando, in un naturale processo di sviluppo, la cosa che meno di tutte conosce confini: il suono.


Cosi il jazz, piuttosto che la classica, o ancora il Rap o il R&B rappresentano semplicemente l’uomo, la sua maniera di manifestare la sua essenza, attraverso le note. Proprio ieri si parlava di Zawinul. Per definizione era un’apolide. Sorriderebbe a leggere le dichiarazioni di Ornaghi. Poi, scrollando le spalle continuerebbe a fare quello che ha sempre fatto: conoscere, sperimentare, aprirsi all’incontenibile bellezza della musica, facendosi beffe dei commenti oscurantisti e tardo-protezionistici.


Nemmeno De Gaulle, cavalcando lo sciovinismo che lo pervadeva, sarebbe arrivato a tanto. Ornaghi, corregga, trovi un’altra motivazione ad una banale questione di indisponibilità finanziaria. Ma lasci stare la faccenda delle tradizioni. Almeno quando parla di musica.

03/11/12

Scene dal Cosmodromo di Baikonur

Изображения редкой красоты, в яркости черно-белое марочное свидетельствуют о ярко атмосферу в нескольких минутах от космодрома Байконур космический Байконур в Казахстан.

[per gentile concessione di Mario Pischedda-http://mariopischeddainmovement.blog.tiscali.it/]
[starring: Gesuino Deiana http://www.myspace.com/gesuinodeiana]

01/11/12

Elogio di Soul Sacrifice (Santana)


Per chi ha vissuto Woodstock, anche bene solo attraverso il triplo LP o il film, essendo poco più che quattordicenne, nel 69 questo nome è associato a Carlos Santana. La versione eseguita dal palco si caratterizzò per la prestazione alla batteria di un ventenne “semi-sconosciuto”, Michael Shrieve che si esibì in un assolo di poco più di 10 minuti.

L'altro giorno ero in piscina. Ho preso un miniIpod (simil) in grado di funzionare nell'acqua. E' minuscolo, non ha display. E' un aggeggio stupido nella sua semplicità. Stop, Brano avanti, brano indietro. Nemmeno il volume. Ma funziona. E ha dei bassi interessanti.
Lo porto con me nel thermarium. Mi sono disteso nella sauna e ho schiacciato PLAY. Magicamente dagli auricolari, mentre mi sono aggiustato il “cuscino di legno” sotto la nuca, chiuso gli occhi e lasciandomi arrostire nel calore del box di legno...si avvia il gioco di congas e percussioni, impreziosito dalla solida chitarra di Santana.

Beh, questo brano è magico. L'avrò sentito decine di volte. In cuffia è tutta un'altra esperienza. Forse sarà stata la concentrazione, l'assoluto relax, il calore la facile associazione con calore-sole, insomma: una festa.

La struttura del brano è sostenuta dal fraseggio delle basi ritmiche. Congas e batteria si integrano alla perfezione. Cosi come il basso, che pur su una linea elementare doverosamente si incaricano di costruire una trama che ti porta altrove. La chitarra di Santana poi, all'inizio e dopo il lungo assolo, si assume il compito di integrare il tutto, in un'amalgama riuscitissimo.

L'assolo merita una nota a se. Il batterista, appena ventenne, chissà come doveva sentirsi...a giudicare dall'espressione che ha nel video, aveva l'aria di divertirsi un mondo. E l'assolo è stato capace di stregare tutti i partecipanti, sbragati nella spianata, e il sottoscritto, a distanza di decenni, sbracato anche lui, ma sulle doghe incandescenti di una sauna di uno sporting center di periferia....

Il link (meritatissimo) è qui:

29/09/12

Fuori contesto












Anni fa, credo si chiamasse L'esercito delle dodici scimmie, poi più tardi anche ne Io sono leggenda, diversi registi immortalarono nei loro film alcune sequenze ambientate in un contesto urbano (quasi sempre post qualche cosa, atomico, catastrofe naturale, inondazione ect) animali definiti esotici.

Le scene sono suggestive. Zebre, leoni, elefanti, gazzelle a passeggio (non si sa quanto atterrite) per la quinta avenue, cosi come nemmeno il miglior dadaista avrebbe immaginato fare.

Le ho sempre trovate affascinanti. Sono la quintessenza della confusione. Animali che siamo abituati a considerare nei loro habitat, in genere molto diverso dal nostro, che con la loro semplice presenza all’incrocio di una strada circondata da palazzoni, si incaricano di squinternare le nostre certezze.

Idem per la recente triste storia della giraffa scappata da un circo nei pressi di Modena. Le scene, girate dal cameraman che è in noi (leggi, individuo umano, razza bianca, mediamente acculturato e comunque in grado di azionare tempestivamente i comandi del proprio, inseparabile, telefonino per girare un filmato al momento), sono di una crudezza unica.

Ancora, ma con minore effetto (probabilmente a causa delle dimensioni) la frequente notizia di ritrovamento di specie di rettili piuttosto rare, abbandonate sui marciapiedi di periferia da qualche collezionista pentito, che forse a causa della crisi trova impervio garantire al serpente il pasto di cui nemmeno lui è sicuro.

Eppure c’e’ qualcosa di istruttivo in tutto questo. Almeno per me. Si tratta della capacità di pensare al nostro habitat in modo meno monolitico. Avere, grazie a queste sequenze, la possibilità di leggere nel contrasto fra un essere vivente e il paesaggio che ha intorno, l’inadeguatezza dell’uno e dell’altro.

Gli astronauti vivono per lunghe porzioni di tempo in spazi angusti. Si adattano. Anche le bestie che portiamo a far vedere ai nostri bambini negli zoo, o (peggio) ai circhi. Ma per un attimo, osservando la corsa disperata della giraffa di Modena, siamo lì tutti a chiederci (senza saper trovare una risposta) “chi è fuori luogo ? Lei o noi ?”.








21/09/12

Ridi che ti passa....




















Due note veloci sull’intreccio perverso fra le "cattive azioni" e il modo col quale vengono riportate.

Penso che c’e’ un intreccio perverso e pericoloso nel modo col quale vengono riportate le notizie relative allo scandalo di turno.Buttarla in caciara è il tentativo evidente.
I fatti. Vengono a galla malversazioni. Si dira, niente di nuovo. Ok. Purtroppo è un fenomeno esteso, e come diceva qualcuno, più diffuso di quanto si creda. In altre parole, la punta dell’iceberg focalizza l’attenzione su di se, ma il “marcio” è anche (o soprattutto) a latitudini inimmaginabili.

Sono piuttosto stanco del modo con il quale si riportano queste cose, su gran parte della stampa.
Francamente, da trovare da ridere, (e fa ridere, intendiamoci) intorno alla frase della mamma di Fiorito, che col il lessico di una donna anziana vissuta in provincia di Frosinone, si esprime come può e genera umorismo involontario, intorno alle presunte precoci doti intellettive del suo pargolo, francamente non me ne frega niente.

Cosa cerca il giornalista, non lui da solo, per carità, con questo modo di raccontare adottato dalla gran parte dei suoi colleghi. Colore ? Trovare la nota comica in mezzo alla tragedia ?
Temo che questo approccio sia funzionale all’incancrenirsi del problema. E tradisca la volontà tutta beghina, consequenziale al potere, di considerare episodi questi, quando invece sono drammaticamente all’ordine del giorno.

Di vedere le foto (reperite dal compiacente di turno) dei festini…sollevare, a comando, l’indignazione (o la finta indignazione) dei disperati che con fatica tentano di arrivare a fine mese mentre costoro festeggiano a champagne…Siamo nella Francia del 1789 ?

La cosa che temo, è che di sottotraccia la ridicolizzazione depotenzi e ammannisca la giusta incazzatura della popolazione. Susciti al momento, se va bene, un sentito vaffa per poi subito dopo rientrare nell’alveo di una rassegnata accettazione del fato, mai come in questo caso “cinico e baro”.

Vorrei ridere di meno (e detto da me è singolare…avendo “fondato” un’officina che ha il precipuo scopo di pubblicare e produrre contenuti umoristici…), e veder piangere, questi signori, di più.
Compresi i giornalisti.

16/09/12

Take the money and run !




















Puntualmente, all’apparire sui giornali dell’ennesimo scandalo “periferico” appaiono i peana di penne importanti (Rizzo, Gramellini ieri sabato sulla Stampa).

Roba sterile. Verrebbe da pensare che si tratti di un gioco. Tu, politico in vista o meno, commetti un qualche illecito, io, giornalista di punta ti cazzio e ti espongo al pubblico lubridio.

Tutto qui, finito, avanti il prossimo.

Sono mesi che in Parlamento giocano con l’approvazione del salvifico decreto anti-corruzione.
Chissà se in dirittura finale, in modo da potersene fregiare (è tutto oggetto di propaganda) questa o quella forza politica lo riterrà conveniente e lo utilizzerà per farsene bella agli occhi di un elettorato piuttosto nauseato.

Eppure, nel paese della culla del diritto, nel paese dove il proliferare di leggi compete col tasso di illegalità nell’amministrazione centrale e non, basterebbe applicare quelle che già ci sono.
O, al meglio, inventarne una nuova, l’ennesima ma che forse avrebbe la capacità quantomeno di costituire un monito.

E cioè: una che consentisse la class-action nei confronti di chi, chiamato ad amministrare la cosa pubblica (a qualunque latitudine e a qualunque livello) dimostrato che abbia fatto un uso quantomeno disinvolto, se non fraudolento, dei beni pubblici, ne risponda con il proprio patrimonio.

Sarebbe una rivoluzione epocale. L’unico linguaggio comprensibile da parte di chi ha frainteso l’assunzione di responsabilità pubbliche, con il proprio, illecito tornaconto.

E ci scommetto, da sola, sarebbe il più potente dei moniti.

qui l'omonimo pezzo della Steve Miller Band...

25/08/12

Hai dato uno squillo e stai per tornare (alla casa del Padre)
















Ciao Neil, fa buon viaggio.

Voglio ricordarlo cosi, in una veste inusuale rispetto al suo aplomb di integerrimo ufficiale di aviazione. Neil Armstrong in uno dei suoi rari momenti di ilarità amava raccontare il significato di una frase sibillina profferita subito dopo lo sbarco sulla luna. La frase era Buona fortuna Mr. Gorsky. Impazziti per tentare di decrittarla, alla fine la spiegazione, a lui attribuita fu che da piccolo
 aveva dei vicini con questo cognome. Un giorno senti la signora rispondere ad una richiesta per una prestazione sessuale inusuale..."te lo farò il giorno che il figlio dei vicini passeggera' sulla luna". La frase poi, stando ad un sito antibufale americano pare fosse poi inventata, e resa nota da un comico americano, come risulta qui (http://attivissimo.blogspot.it/2007/01/antibufala-lunare-buona-fortuna-signor.html). Ricordo di averla letta su una biografia dei dodici uomini che la Nasa ha mandato a camminare lassù, che si chiama (romanticamente) Polvere di luna. http://www.libreriauniversitaria.it/polvere-luna-storia-uomini-sfidarono/libro/9788860520326


http://www.nasa.gov/topics/people/features/armstrong_obit.html

Poligono a cielo aperto















Dice...sei stato tre giorni a NY che cazzo vuoi aver capito di una città ?

Sabato 11 agosto, sulla settima, un homeless di 51 anni brandisce un coltello, è fatto di marijuana, magari ha esagerato. Arrivano i NYPD (New York Police District) come orgogliosamente recitano i loro distintivi, e incuranti del traffico e dei turisti si divertono ad impallinarlo come nemmeno fosse Dillinger. Notare, l'assoluta noncuranza con la quale i “nostri” ingaggiano una sparatoria in mezzo a gente la cui unica colpa è di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Come i poveri spettatori della prima di Batman, caduti sotto i colpi di un folle, giusto un paio di settimane prima anche se non proprio a NY city, ma a Denver, Colorado.

Ieri, sotto l'Empire State Bulding. Un uomo che era stato licenziato un anno fa, trova congruo attendere sotto il suo ex ufficio, il direttore che l'aveva mandato a casa. Non appena lo vede, gli spara in testa e amen. Ne nasce una sparatoria, anche qui con diversi feriti fra gli incolpevoli passanti...si dirà, al contrario del povero homeless della settima, costui era armato, oltre che di una pistola, anche di non proprio sane intenzioni tant'è che ha cominciato a sparare a caso ai passanti (stando a quanto ne dicono alcuni organi di stampa), prima di essere “freddato” a sua volta dagli zelanti agenti di cui sopra.

Ora, a me colpisce la naturalezza con la quale si spara. Nemmeno fossero degli emuli di Cechov che ammoniva, in merito all'arte di scrivere racconti, “quando compare una pistola, questa deve sparare”. Il sindaco e le autorità esibiscono il solito biasimo di facciata del giorno dopo. In ogni caso la facilità con la quale ci si procura un'arma rende le cose più semplici. E stante il disagio sociale c'è da credere che la scultura che ho fotografato giusto sotto il Palazzo che ospita la sede dell'ONU sia, come dire, poco più che una pia illusione.

risorse: 
l'esecuzione dell'homeless sulla settima, qui
l'episodio di ieri sotto l'Empire SB qui

07/08/12

Memorial (Down Zero, NY)













Undici, un numero che difficilmente i newyorkesi dimenticheranno. Domenica mattina, c'è un cielo adatto a questa visita. Quelle bianche giornate estive, velate da uno strato di nuvole, che contribuiscono a dare alla luce un colore surreale. Il tempo. Quello meteo e quello scandito dal passare degli anni.

Sono passati 11 anni da quella ferita. Non so quanto ci vorrà a rimarginarla. Jonathan Franzen, chiedendosi come raccontare ad un bimbo che nel 2001 ancora non era nato questa tragedia, suggerisce di prendere a paradigma la storia del cuoco di uno dei ristoranti situati nella vetta di una delle due torri, la seconda.

Avendo assistito all'impatto dell'aereo sulla prima, prese il telefono e telefonò a casa. A casa la moglie non c'era. Era in lavanderia, si quelle a gettone. Provò più volte, senza successo. All'ultima telefonata lasciò detto alla figlia, ditele che la amo.
Ditele che la amo. Hai la consapevolezza che di li a breve non ci sei più. Non hai ancora ben recepito cosa diavolo è successo. Ma conservi la tenerezza di fare una telefonata a casa, per poter dire ancora una volta, forse l'ultima, a tua moglie “ti amo”. Ecco, questa struggente scheggia raccontata da Franzen, sintetizza bene il modo di prenderla, da parte della gente di questa città.

Anche il memoriale, non ha nulla, o poco, della retorica dei monumenti. Minimalista all'ossessione. Lì dove sorgevano le torri, al posto delle loro immense fondamenta, due mega vasche. E l'acqua. L'acqua che scivola da pareti di marmo nero inclinate verso il fondo, dove ancora, al centro, un'altra piccola vasca si incarica di raccorglierla e di risospingerla, attraverso i condotti, dall'alto, per lasciarla scivolare di nuovo dalle pareti, in un moto continuo. L'acqua. Un elemento positivo, la vita. L'acqua che si muove, che non sta ferma per definizione. L'acqua il cui rumore è l'unico che si percepisce, nonostante la gente, gran parte turisti, che affolla quest'angolo di New York che è una sceneggiatura venuta male. La città sutura la ferita. Ai margini un grattacielo, stavolta uno solo, si staglia verso il cielo. Ancora in fase di costruzione. Mancano gli ultimi piani. Come dicevo in uno dei primi post da questo viaggio, una maniera camuffata di stabilire una relazione con Dio.

I nomi, ancora. I nomi di tutte le vittime, uno per uno, incisi sugli spessi parapetti di metallo (sembra ottone, lavorato al laser). I caratteri sono dei vuoti sulla superficie della lamiera. Anche questo, a volerlo leggere, un modo attraverso le parole, per ricordare chi, da quella maledetta mattina, non c'è più. Ma rimane l'amore. Quello si. L'amore della gente che vive in questo angolo di mondo, verso la propria città. La voglia di ricostruire, e insieme, di non dimenticare. Poi, poi, per una volta, si lascia da parte la retorica e si bada, anche solo muovendo i propri passi in quest'area immensa che ha ancora l'aspetto di un mega-cantiere, a capire. Capire quello che è successo. E da lì, ricominciare.


il sito ufficiale del Memorial: qui
Se volete potete scaricare una visualizzazione (rendering) dell'intera area quando sarà ultimata: qui

06/08/12

A caccia di aragoste (NY estate 2012)




















Laboratorio di idee, concentrazione di cervelli o semplice attitudine per il business ?
La cosa funziona cosi: poniamo che tu sia a NY in vacanza. Poniamo anche che tu sia lì residente, abbia il tuo stimato lavoro, prendi la tua metro, percorri i metri (pochi o tanti che siano non importa) che ti separano dalla stazione fermandoti da uno Starbucks qualsiasi e ti gongoli portando per mano il bicchierone cerato con il tappo anti sbrodolamento (non è vero: ci vuole una certa qual maestria, sono stato capace di sporcarmi anche cosi). 

Ecco. Mettiamo che, diciamo verso l'ora di pranzo, tu venga preso da un insopprimibile desiderio di aragosta. Si, quel grande crostaceo il cui costo si aggira su quello per un pieno, in questo periodo, al distributore. Che fai ? Compulsi la prima guida che ti capita a tiro per stimare quanti e a che prezzo sono i ristoranti più vicini in grado di soddisfarti ? Antiquato!

Basta uno smartphone, e una connessione al web (wifi o diretta che sia). Digiti accuratamente un indirizzo (vedi poi sotto) e ti rendi edotto di dove sosta e in che orario un furgone, che dispensa sandwich a base del nobile crostaceo a chiunque abbia la pazienza di intercettarlo.

La trovata pare che funzioni. Una sorta di caccia al tesoro, dove a far leva è l'elemento di marketing dell'interattività. Lo mangi solo se mi raggiungi, e ogni giorno cambia posto. In breve è diventato un fenomeno. Servizi analoghi stanno nascendo anche per altri generi di leccornie. Ma l'idea non è male.



Il sito: (che viene manco a dirlo aggiornato quotidianamente, e ci si puo' iscrivere alla mailing list cosi non si deve nemmeno cercare, te lo dicono direttamente loro, con un email o un sms). (qui)

05/08/12

The blues, o almeno...




















La fretta della partenza ha impedito un'accurata ricerca dei luoghi dove si suona il blues a New York. Il sogno nel cassetto rimane quello di raggiungere Chicago e farsi del male al Mama's Lounge, dove si esibisce almeno un paio di serate a settimana un mio mito Melvin Taylor.

Incurante della massima che recita “mai chiedere consiglio alla concergie di un albergo”, commetto per puro gusto dell'imprevedibilità l'errore. John o come si chiama, ci indica entusiasta il BBKing, a due passi da Time square. Taxi d'ordinanza, consueto traffico, ma ce la caviamo con poco. Davanti al locale, come qualsiasi Procasma che si rispetti, un uomo, nero, in uniforme con le spalline (come quelle dei domatori che hanno tutti fronzoli dorati che dondolano), ci accoglie con un sorriso...dandoci il programma.

Credo di essere uno dei pochi che hanno avuto il coraggio di leggere, per intiero, la biografia di B.B.King...anni fa, durante una vacanza al mare in Calabria. Ho appreso, da quel testo, che il nostro detiene due significativi primati:: è l'uomo (il bluesman, verrebbe da dire) che ha percorso più chilometri al mondo in tournee e il secondo che risulta essere il papà (a ottanta anni suonati) di circa un'ottantina di figli, avuti ovviamente da donne diverse. Ora, il secondo motivo spiega il primo, e questo locale pure.

Entriamo scendendo le scale a elica...arriviamo al botteghino. Una ragazza si sta facendo le unghie (giuro!) e senza nemmeno quasi guardarci ci sibila “Grill or show?” Mi guardo intorno. In effetti ci sono un paio di ingressi. Da uno proviene della musica...dall'altro, odori di cucina e vedo una sala piena di gente seduta ai tavoli. Concerto dico, pago ed entro. L'atmosfera è come quella immortalata in tantissimi film...tanti tavoli, gente che beve e mangia, al buio, e l'unica cosa di illuminato è il palco e un bancone chilometrico dietro al quale cameriere in immancabile gilet rosso su camicia bianca, attendono alle consumazioni degli ospiti che non hanno trovato posto seduti ai tavoli. Fuori, scendendo dal taxi ho intravisto il titolo del concerto...For ever Ray Charles...recita...(mi piace ma non mi fa morire...ammetto) cosi entro un po' prevenuto...sarà la solita roba per turisti. In effetti sul palco c'e' una band composta da una dozzina di elementi. 

Tutto come si deve, per carità...ad un certo punto...al terzo o al quarto brano entrano le coriste...tre donne nere, di altezza (e di età) a scalare che subito accendono la temperatura del locale. Sono al Procasma e non me ne sto rendendo conto, penso...Dopo pochi minuti, e uno chardonnay ben ghiacciato, abbandono tutte le riserve e mi lascio contagiare dal clima generale. Che è di festa...la gente qui è di bocca buona, e costoro sono degli onestissimi professionisti che si stanno guadagnando le rate dei rispettivi mutui...cosa ho da storcere il naso ? Depurata dall'ansia di incontrare dei fenomeni, mi godo il concerto che alterna brani di Ray Charles, in una serie di cover più o meno sapientemente dosate in modo da far crescere il ritmo quanto basta a che le cameriere si diano un grandaffare.

Accanto al mio posto, siedono due ragazzotte. Hanno l'Ipad d'ordinanza e non paghe, anche smartphone con l'inconfondibile template acceso di facebook. Non fanno che bere, e scattare foto, e chattare. Tutto il tempo. Al punto che mi sento di dare ragione, per una volta, ad Umberto Eco del quale ho letto pochi giorni fa un articolo nel quale stigmatizzava quest'ansia di fotografare che poi non ti fa godere ed apprezzare debitamente quello che stai facendo, rimandando semmai il momento ad un “dopo” non meglio collocato, quando mettendo mano ai ricordi digitalizzati si diranno magari...ma che cazzo ho visto quella sera ?

Le ragazze sul palco sanno il fatto loro. Si alternano. Se c'e' qualcosa che mi piace del blues, e di conseguenza del jazz, è il concetto di democrazia che ne è alla radice. C'e' un tema, generale, e poi a turno ogni strumentista si cimenta nel proprio assolo. La più giovane delle tre, oltre ad essere di un'avvenenza notevole...e' dotata di voce da tigre, graffia e si muove con la grazia di un'agile gazzella, magnetizzando il pubblico (sicuramente quello maschile). Valanghe di applausi...Viene il turno dell'assolo del chitarrista (che in un tale gruppo voglio credere non abbia propriamente un ruolo secondario). Lo esegue senza infamia e senza lode...dando prova di qualche scala chissà quante volte provata, dopo di che, lasciandomi incredulo, stecca con una nonchalance che ha del vergognoso...Subito intervengono gli altri strumentisti a coprire il momentaneo flop, validissimi devo dire...A parte questa nota...lo spettacolo dura un'ora, forse un'ora e mezzo. Consueti bis...applausi...poi si riaccendono le luci in sala e la gente comincia a defluire...Tocco finale: siccome ci attardiamo al tavolo...Il cantante scende dal palco e viene a stringere la mano ai pochi spettatori ancora presenti....Sei un grande, gli dico, convinto. Per me vale il cuore che ci ha messo, turisti o non turisti...e in fondo sono stato bene.

Uscendo mi vanno gli occhi a una parete tempestata di locandine. Di colpo mi ricredo su tutto. A scendere in questo procasmino nelle prossime settimane, mesi, c'e' gente di tutto rispetto, Keb Mo, il redivivo George Thorogood, Robben Ford (che ho visto in concerto un paio di volte qui a Roma) e ancora Buddy Guy. Da non perdere, se mai ci sarà un'altra domenica a Manhattan, sabato devo ripartire, l'Harlem Gospel Choir..che sta lì fisso tutte le domeniche alle ore 13,30...(tanto c'e' pure da magnà...accanto...).

Torniamo verso l'albergo. Stavolta i taxi non ci considerano proprio. Mentre siamo fermi un nero simpatico (e scoprirò dopo, leggermente figlio di puttana...) ci chiede se vogliamo un passaggio a bordo del suo taxi risciò...Acconsentiamo e ci godiamo un pezzo del centro di NY a bordo di questo veicolo di certe origini cinesi...Arrivati a destinazione (va detto nemmeno un quarto d'ora) mi sento chiedere il doppio della somma pattuita....”it's for person Sir...” mi dice con la faccia di chi è consapevole di starci a provare. Si, ma tu non me lo hai detto, amico...e gli lascio poco più di quanto richiesto alla partenza...Va via senza nemmeno maledirmi...con un sorriso. Io faccio altrettanto...non ho voglia di incazzarmi. E' stata una serata carina. Da turisti, d'accordo, ma mi sono divertito.

Risorse:
Il sito del BBKING....qui
Il sito della band (Forever Ray) qui


04/08/12

New York, ancora
















Scrivo per non andare a dormire.
Tornato alle 8 locali di sabato mattina. Dormito quasi tutto il volo, grazie anche a potenti barbiturici che hanno avuto la grazia di farmi sopportare le 7h50' del tempo.

Quando stai per avvertire che manca poco tempo al rientro devi tenere a bada la malinconia. Cosi, complice una guida (meravigliosa) sui cimiteri di New York, e l'incrocio con un micro pezzo di Paul Auster sui ritagli di una rivista provvidenzialmente portata dietro, giovedi comincio a fermare dei taxi, in quel di Manhattan, con la prospettiva di guadagnare Green Wood Cemetery a Brooklyn.

Il primo tassista mi guarda come si potrebbe guardare un alieno, bofonchia qualcosa e invita a scendere dalla macchina. Ne fermo un altro. Stavolta accetta. L'uomo è anziano, parla un americano comprensibile, tipico degli immigrati ed infatti durante il tragitto racconta che è rumeno e che apprezza Lobont e la scelta di Zeman che al momento sembra preferirlo come titolare per la maglia di portiere della A.S. Roma.

Senonchè il tassista si sbaglia...deve aver digitato una W di troppo (errore che in USA è fatale: è capace di portarti da tutt'altra parte). E infatti, sebbene l'errore sia valsa la possibilità di vedere the dark side of Manhattan, una sequela di case sgarrupate di Brooklyn come quelle intraviste in Grand Torino (fatale, girando per questa città associare i luoghi ai set dei film più famosi, come la passeggiata con le balaustre e le panchine, con la skyline di Manhattan davanti ad uno specchio d'acqua), alla fine dopo circa un'ora (e una cifra improponibile sui led del tassametro) giungiamo all'ingresso del cimitero.
Avete qualche parente sepolto qui ?
No, gli dico.
Ci guarda attonito.
All'ingresso del cimitero un uomo in uniforme ci chiede chi siamo e cosa vogliamo. Sbandiero la guida e gli dico che sono lì per fotografare le cappelle in art-decò. Stavolta apprezza e mi elargisce, carico d'entusiasmo (non devono essere molti i matti come me che ci vanno per questo motivo), una piantina e un opuscolo con una mappa delle tombe dei personaggi più celebri. Ne conosco appena due tre su una dozzina. C'e' la tomba di Basquiat (famoso pittore) quella di Leonard Bernstain (compositore e direttore d'orchestra) , Samuel Morse, si lui, l'inventore del telegrafo e una serie di gangster. Chiedo al tassista di aspettarmi un'ora. Dietro compenso, accetta e si mette buono buono all'ombra di un grosso albero (va detto che fortunatamente non mancano, vista la giornata afosa), con il motore acceso e l'aria condizionata (“tanto la mia auto e' elettrica” dice orgoglioso). "In 45 anni che sto a New York, non mi è mai capitato di venirci prima, qui". Dice

Beh, il posto è folle. Una distesa di verde, circondata da alberi. Colline su colline lapidi che spuntano dall'erba (curatissima, c'e' tanto personale quanto quello che presiede la tenuta presidenziale di CastelPorziano). La storia. Comincio a scattare, scatto a lapidi le cui epigrafi sono state flagellate dal tempo, rendendo indistinguibili i caratteri. La quiete, manco a dirlo, sovrasta, rotta solo dal rumore del passaggio di qualche camion di servizio che trasporta operai sorridenti, quasi tutti di colore. Passo il tempo, con la piantina in mano, cercando non so nemmeno io bene cosa. La zona delle cappelle, ma che risulta, almeno quella vicino a dove il taxi sta sostando, troppo moderna. Mi inoltro in questo ghota delle anime belle, quasi tutte morte a cavallo del 19° secolo. Alla fine, procedendo per una discesa una vista mozzafiato: un lago con ninfee e fontane al cui limitare si snodano una serie di cappelle che brillano, nei loro marmi bianchi, sotto il sole cocente di mezzogiorno. Fotografo tutto, giro anche con la fedele cinepresa digitale. Uno spettacolo.
Riprendo alla fine, mezzo sconsolato per il poco tempo avuto a disposizione, la strada verso la zona dove sta sostando il taxi, e con lui il tassametro assassino del mio portafoglio. Quando una tomba di una certa famiglia Mattews mi si staglia davanti. Ha i gargoyles, ben 4 agli angoli della sua pianta quadrata. Scatto una quantità di foto. Dettagli, zoom, panoramiche. Uno spettacolo nello spettacolo. Già questa da sola ha meritato il viaggio. Torno, manco a dirlo sudato, verso la macchina. Devo indossare un previdente giubbino antipioggia che ho imparato a portare con me, per entrare ed uscire dai negozi, o anche solo per ripararsi da improvvisi scrosci che nel pomeriggio NY regala.

Stavolta il viaggio di ritorno verso NY è più breve. L'auto ci lascia, non senza aver preteso addirittura la mancia, non pago della lauta corsa, in piena Little Italy. Qui, sul marciapiede è pieno di tavolini di ristoranti italiani. Scendo ancora intontito dall'auto, che essendo stata pagata, lesta se ne va. L'unico stronzo che ho incontrato in questa vacanza, manco a dirlo, un connazionale. A fronte del mio diniego di mangiare da lui, alla stregua di un qualunque cameriere di trastevere, per altro garbato e giustificato...”guardi...non ho ancora fame, sono rintontito, magari più tardi...” pensa bene di apostrofare...in un italiano venato da inflessioni che nemmeno il buon Amendola quando doppiava il Padrino...” ...i soliti italiani senza una lira”. Meritandosi il mio
sarcastico...”Ma quanto costi ? Me te compro a te e tutto il locale!!!”  allontanandosi lesto facendo spallucce. Per inciso, alla fine mi sono seduto ai tavolini sul marciapiede di un altro ristorante, giusto difronte al suo, non senza essermi assicurato di essere visto.


risorse:
un bellissimo sito con le foto dei gargoylles di new york (qui)
il sito ufficiale del Cimitero di Green Wood (qui)
un sito dove è possibile vedere un breve video (durata 6') delle più belle tombe del cimitero (qui)

02/08/12

New York 2,3,4



















1
Ieri passeggiata "doverosa" sulla High line. Il tracciato sopraelevato di una vecchia ferrovia, un nastro di acciaio largo 5,6 metri sospeso ad una decina di metri da terra, lungo un paio di chilometri, completamente rimesso a nuovo e ospitante un giardino pensile. Famigliuole, anziani, alternativi. Da sotto la copertura- sta piovendo- costituita da un'altra ferrovia?- arrivano le note di Henry Mancini (theme of Pink panter) soffiate da un sax, fuori luogo per niente.
Piu' avanti, in un concerto di cantieri, una zona spianata dove ferve l'attivita' di deolizione e ricostruzione. E'un quartiere (l'ex zona dei mattatoi, dove ti aspetti di vedere Rocky andare a prendere le bistecche dal cognato scemo) del quale si stanno impossessando le griffe per farci dei mega store alternativi, in ossequio ad una ossessione bizzarra che vede l'imperativo a vendere farsi filantropo, urbanista, rinascimentale. Se ho i soldi ristrutturo, altrimenti lascio tutto all'abbandono.

2
Su una facciata nuda e imponente di un vecchio edificio scorticato e con a vista l'ordinata trama di mattoni resi neri dal tempo, l'occhio va a un minuscolo cestello sospeso ad un'altezza impossibile, che contiene due poveri cristi che dondolano paurosamente dentro questo cestello sospeso ad un'altezza importante. Stanno posizionando un mega poster che reclamizza il Moet Chandon. Ecco, in un'immagine il condensato di migliaia di trattati sociologici.

3
Il mercante antiquario ebreo (di origini italiane) che condensa in dieci minuti di conversazione la summa dei manuali di tecniche di vendita. Portando il prezzo di un oggetto del quale mi sono innamorato passandoci davanti all'alba in tutte queste mattine fatte di ricerca rabbiosa di espresso quando ancora tutti o quasi i negozi sono chiusi, da circa 2600$ a 1000$ di meno, lasciandomi pero' ancora perplesso intorno alla necessita' dell'acquisto.

4
Il blues. Nel tempio di B.B.King (del quale anni fa ebbi anche il coraggio di leggere un imponente biografia)...Dove la necessita' di mantenere un'ottantina di figli costringe l'uomo che ha fatto piu' chilometri al mondo per eseguire concerti a mettere su un paio di locali, uno emblematicamente chiamato Lucilla grill, prendendo il nome della sua fedele chitarra, l'altro un luogo dove ospitare in una cornice da sagra un locale per lo piu' destinato ai turisti di bocca buona (anche se va detto che in calendario ha nomi di tutto rispetto (peccato per date che mi vedranno dall'altra parte dell'oceano). Un gruppo onestissimo, una decina di elementi dall'eta' media in quota INPS, che si chiama For ever Ray esegue in modo piu' o meno pedissequo il repertorio del mito del R&B, Peccato che il chitarrista, quand'e' il momento del suo a-solo, stecchi come posso farlo io quando inforco la Fender per scacciare la malinconia. Rimane da apprezzare la bravura delle coriste (e l'avvenenza della piu' giovane di queste), insieme con la visita, tavolo per tavolo, del cantante che passa a salutare come fosse nel salotto di casa, gli ospiti che ancora si attardano ai tavoli prima di defluire nel caotico traffico della sera, distribuendo calorosi "God bless you".

5
Scrivo queste note in una mattina freschetta, seduto agli sgabelli di un caffe' (l'immancabile Starbucks) mentre  ho davanti in un unico colpo d'occhio, degli operai intenti al restauro dell'atrio di un importante albergo, la sfilata dei grattacieli e la torre del Chrysler, che a quest'ora riflette il sole dalla sua guglia art deco' bellissima, mentre Jonis Joplin canta dalle casse del caffe'.  Ho raccolto materiale per documentarmi meglio sulla NY dell'art deco'. Mi piacerebbe scrivere una roba semi seria con lo stesso tono usato da Landis per il suo Ghostbusters per rendere omaggio alle decine di gargoilles che ornano i migliori edifici del periodo (che sono tanti). A corredo un bellissimo libro fotografico, una sorta di guida, sui cimiteri di NY, con lapidi ed epigrafi. Se ci riesco oggi ci vado. Chiaro che lascio in camera anche altri due testi, asmacccatamente commerciali, ma che fanno bibliografia empirica, dedicati ai fantasmi di NY. Spero di non trasformarmi in uno di questi.


29/07/12

New York 1

Non sono molto ferrato sulla biografia di Roberto Bolano. Probabilmente non ha mai messo piede negli States. O forse si. In ogni caso, sono portato a credere che nessua accezione di America (La letteratura nazista in America), egli abbia voluto fare un riferimento esteso, al continente tutto intendo, e non sbrigativamente ai singoli States.

New York in ogni caso si sarebbe ben prestata ad ospitare una qualche sua narrazione. Contrariamente a Garcia Marquez che non vi puo' mettere piede per via di un qualche suo bisticcio, Bolano avrebbe avuto titolo diciamo cosi, "d'ufficio". Non foss'altro per le pene patite ai tempi di Pinochet.

Egli in altre parole, avrebbe letto negli occhi delle persone che camminano, smarrite di prima mattina (non ricordo chi diceva...se vuoi capire una citta' percorrila all'alba) nei volti di coloro che come te hanno ritenuto di alzare il culo dal letto in orario non convenzionale.

Nei tratti, negli sguardi, nei modi di camminare capisci di piu' e molto meglio dell'architettura, dell'urbanistica, della maniera di vivere un luogo meglio che dai frontoni di un edificio, per quanto ben realizzati.

Metteteci un'aria da pioggia, di quelle "ferme", di quelle che ti impongono di camminarci dentro solo per sentire qualcosa che si muove (altrimenti sarebbe tutto statico). Dai vetri chiusi dei negozi. Dall'ansia tradita da un profluvio di informazioni, evidentemente ritenute indispensabili, da chi le ha prima pensate, poi scritte e infine apposte su ogni superficie leggibile da un passante distratto come me.

Girare a quest'ora ti accomuna ad un vojeur. Sei qui, piuttosto lontano da casa,. Stai ritagliando a fette una zona del tuo immaginario e assapori, non facendo nulla per evitarlo, quel piacevole stordimento che puo' procavocarti un sogno lucido. Qualcosa a meta' fra un affresco, composto da tante piccole tessere di un mosaico, le perle cha hai raccolto ed infilato, collegate da un filo lungo di ricordi e l'iper-realta', quella statica, come quella che ti puo' provenire dall'osservazione, insistita, di una polaroid.

Cosi, le storie. Le immagini. Una Sinagoga debitamente chiusa di domenica mattina. Oppure il cuore asettico di un grattacielo. La cavea svuotata che presiede a delle fondamenta grosse come un monolocale ed in grado di sostenere diversi materiali in verticale: acciaio, vetro, cemento esseri umani che lo abitano per qualche centinaio di metri in direzione del cielo.

Sono piu' o meno certo che Bolano avrebbe definito questo l'inevitabile frutto della versione statunitense di stabilire una relazione con Dio. Offrendogli, alla stregua dei templi degli Atzechi, un succedaneo di un ascensore, per sentirsi in qualche maniera piu' vicini a Lui ed emendarsi, gia' solo per questo dai propri peccati.


domenica mattina, sul presto. fine luglio 2012. New York.







26/07/12

A cosa andiamo incontro ?























C'e' crisi, è il ritornello che ci sentiamo ripetere, che ripetiamo a noi stessi tentando, come fosse un mantra, di esorcizzarla.

Eppure. Qualche considerazione su una tendenza che sta prendendo piede, riguardo al territorio, alla sua tutela, alla necessità di doverci intervenire non foss'altro che per manutenerlo.
La mancanza di risorse delle casse pubbliche, ritarda, annulla, dilazione e intanto l'incuria avanza. Lesti, si profilano scenari non del tutto tranquilli.
In altri termini, vedrete, sull'onda dell'urgenza si renderà necessario per tutto ciò che è stato fino ad oggi pubblico e che diventa giocoforza insostenibile alla luce del contenimento dei costi e del mancato gettito (vedrete, arriverà...questione di tempo...) la tentazione di dare in affido a terzi, leggi: privati, sarà sempre più forte.
Gli enti potranno farsi belli e muovere a loro parziale discolpa...”...non avevamo soldi...dovevamo intervenire, cosi (affidandolo a privati) a costo zero il bene rimane formalmente pubblico ma i costi per risanarlo li ripianano i privati...”. I quali ovviamente, in ossequio ad un minimo di logica commerciale debbono trarne il loro adeguato tornaconto.

Non è fantascienza. E' lo scenario prossimo venturo, il corollario triste che si porta dietro questa crisi. E qui conviene affondare lo sguardo. Piuttosto che affidarsi ad una visione fideistica del tutto, la capacità di controllo sulle effettive ricadute per la collettività potrebbe, da sola, fornire la barra dritta al timone di questo tipo di operazioni. In assenza, e qui il pericolo concreto, le logiche “mafiose”...del qualcuno che è più uguale di altri, che si aggiudica benefici in forza della mera capacità economica ecco questo diventa il rischio.
Con buonapace del bello, e regalando la solita versione trita e ritrita del malcostume imperante: il beneficio di pochi ai danni dei molti.


13/07/12

Femminicidi due














Vorrei che leggeste questo post, di Ezio Tarantino.
Subito dopo vorrei che lasciaste da fare tutto. Un attimo. Interrompere il flusso dei pensieri, per un momento. Staccarvi dagli impegni e lasciare che la lettura faccia il suo effetto.
Quando Ezio scrive cosi è impegnativo. Ma è una fatica ripagata. Invita a guardare oltre.
E io a questo post ho continuato a pensare, nel corso dei giorni successivi alla sua lettura, quasi per caso: era linkato in un suo quasi timido post su facebook. Una di quelle rare perle che si perdono nel mare magno delle cazzate...nel teatro dell’effimero.

Partiamo da Bolano. E’ vero, anche io ne la parte degli omicidi, anzi dei femminicidi ho arrancato. Mi faceva fatica il leggere pagine e pagine piene di verbali e dolore. All’epoca spontaneo, non ancora corroborato dall’informazione che erano tutti omicidi realmente avvenuti e che quelli sui quali si basava la asettica ricostruzione del ritrovamento dei cadaveri e quasi da brogliaccio da questura, erano in effetti qualcosa a metà fra un mattinale e un rapporto scritto da qualcuno dotato almeno dei fondamentali: scevro da sovrappensieri, e scarno al minimalismo. Semmai è la collocazione di questi rapporti, cosi, accostati ad alcune fra le più belle pagine di letteratura del resto di 2666, a farle brillare ancor di più per manifesta esposizione alla violenza.

C’è stato Giorgio dell’Arti che anni fa pubblicò un testo “Il coro dei morti ammazzati”. In quel caso, qualcosa di analogo, l’autore come scandendo una giornata, volendo conferire un ordine anche lì ad una cruda sequela di delitti, li iscrisse (presumo prendendo a prestito il momento effettivo della giornata nei quali si erano consumati) in una scansione misurata nel tempo di una giornata: mattino, pomeriggio, sera, notte.

Pagine di inchiostro sono state spese sulla funzione catartica dell’esposizione alla violenza. Siamo tutti Alex, si quello di Arancia meccanica, terapeutizzati a nostra insaputa. E il nostro rapporto col male, dice anche molto del modo col quale lo gestiamo.

All’apprendere dell’ennesimo dramma familiare, la dicotomia oscilla fra l’indifferenza (ma quanti sono e con quanta frequenza si ripetono questi “femminicidi”), e l’immediata archiviazione fra i fatti che accadendo ci ricordano che fra i nostri simili c’e’ gente cosi. Lasciamo alla fredda statistica il compito di questa contabilità necrologica. Prendiamo il discorso di Ezio. Ezio è come lamentasse la mancanza di un Atlante ragionato del male. Un volume che un po’ tutti faremmo bene a leggere.
L’esposizione alla violenza produce in modo immediato la sua ripulsa. Ci immunizza dall’anche solo pensare a riperpetuare gesti simili. Eppure, il rischio, volendo accettare (si passi il verbo) anche questo nel novero delle cose possibili fra una coppia di individui di sesso diverso, che quel lampo di pazzia, chissà a fronte di un momento di annebbiamento sia possibile non controllarlo e trovarsi d’amblè sulle cronache di un giornale, con la nostra brava faccia di cazzo della patente di anni fa.

Non so. L’argine è la conoscenza. Chiaro che il frettoloso archiviare, sospinto dall’ennesimo e più recente fatto di sangue, collabori a considerare “normale” che tutto questo accada, possa accadere fra un uomo e una donna che vivano un qualche disagio nel loro rapporto.

No, non è solo affare di sociologi, di terapeuti della coppia ansiosi di documentarsi meglio circa le dinamiche e divertirsi successivamente nel gioco dell’interpretazione. La scrittura, anche bene quella di un articolo di giornale, per quanto attenta possa dirsi già contiene in sé i prodromi dell’accettazione. Ed è probabilmente questo il fienile disposto a prender fuoco non appena una scintilla si incarichi di scoccare nei dintorni.
Ci siamo abituati, ma l’escalation delle ultime settimane, di adesso, di questo 2012 condito dal culo di Belem, della sua farfallina tatuata, ci dice che qualcosa non torna. Ne stanno accadendo troppi.
E allora delle due l’una: o al di là della tanto sbandierata crescita della cultura del rispetto, il rapporto con la donna discende ancora-e pesantemente- da riti arcaici che chissà da quanto ci portiamo dietro, oppure è la fragilità dell’uomo, inteso qui come maschio. Messo in ombra da una determinazione che già anche solo in chiave biologica richiederebbe il massimo del rispetto di ogni individuo senziente,  ma che rivela la paura, mai sopita, di un abbandono. L’incapacità a restare soli, prim’ancora che la perpetuazione di un dominio inconsapevole sull’altro sesso.

Rimedi ? Non ci sono. Salvo quelli di insistere, in ogni ambito sociale, sull’eliminazione della paura, sull’accettazione del se, sulla disponibilità a rimettersi in gioco, in una nuova relazione, suscettibile di diventare amore, altrettanto forte, sano e rispettoso.

Non puoi chiedere questo a chi per primo non si ama, e sceglie la soppressione come unico illusorio e risolutore strumento per tacitare (e stavolta per sempre) la propria e l’altrui ansia d’amore.



01/07/12

CLETUS PRODUCTION: Nuovo progetto estivo

CLETUS PRODUCTION: Nuovo progetto estivo: Siamo del tutto consapevoli della follia dell'operazione. Ciò detto, abbiamo in animo l'intenzione di pubblicare un nuovo, esilarante, ebo...

04/06/12

Brevi cenni intorno alla teoria dei covoni.














La depressione è il mal sottile. Il demone oscuro, che sta rivivendo, in quest’epoca governata dalle incertezze, dalla precarietà, una rinnovata primavera.
Non so se esistano strumenti di misurazione della felicità sociale. Certo mi piacerebbe approfondire quest’aspetto, che pure rappresenta una costitutiva importante per il carattere dell’homo-erecto, in relazione alla qualità della vita cui è inchiodato.

Auspico studi più esaustivi, in materia. Nell’intanto, volendo divertirsi a tracciarne delle linee guida, ed in forza al solo sviluppo concentrico del pensiero (quindi, non corroborato da alcuna legge o teorema), vorrei qui evidenziare tratti distintivi di quella che potrebbe chiamarsi teoria, in nuce, dei covoni.

Come ogni anno, in ciò che resta delle nostre campagne (posso assicurare: esistono, basta allontanarsi per qualche chilometro dagli immensi alveolari di cemento che ci ospitano), in questa stagione si raccoglie il fieno. La generosa messe, favorita dalle pioggie e dalle giornate di sole, viene raccolta mediante appositi macchinari in enormi balle a forma per lo più circolare, aventi un diametro variabile dal metro e mezzo ai due metri. L’aspetto della gran parte dei campi, subito dopo quest’operazione, è quello di vaste distese gialle sulle quali, in modo random, sono disposti questi enormi cilindri di fieno. La loro semplice presenza, sui campi, ha favorito in molti bambini metropolitani, complice l’irrorazione del loro cervello da parte dei cartoons giapponesi, l’insorgenza della suggestione che a depositarli qua e la, in giro per le campagne, se ne possa esser occupato qualche volenteroso equipaggio d’alieni, sbarcati ad hoc, da qualche astronave (molto forte, al proposito, il rimando ai misteriosi circoli falciati nella campagna scozzese, attribuiti dalla fantasia popolare proprio alla laboriosità di altri esseri viventi, generati al di la del nostro sistema solare). Per inciso, fra coloro che sono disposti a sospendere la propria incredulità, ed aderire in toto a tale fantasia, va annoverato anche l’autore di queste note.

Quand’anche, per evidenti motivi di mancanza del dono dell’ubiquità degli alieni (impossibile trattarsi di tali soggetti, essendo gli stessi troppo presi con gli scranni comunali e regionali), non si volesse cedere a tali, facili, suggestioni, la risposta più aderente alla realtà, è che ad occuparsene siano gli uomini che si dedicano al lavoro dei campi, chiamati, appunto, contadini.

Che relazione può esistere quindi fra la disposizione di questi covoni e l’umore dei contadini ?
Semplice rimando di geometria ed un pizzico di capacità introspettiva. Alla stregua delle considerazioni che si fanno, in merito all’individuazione delle dominanti del carattere dei proprietari di scrivanie. Dal grado di ordine, ne discendono alcune moderne teorie psicologiche, volte a disegnare i tratti distintivi dei legittimi proprietari.

Cosi, segnatamente allo studio psicologico dell’ordine (o disordine) delle scrivanie, potremmo mutuarne i tratti distintivi anche per l’osservazione del modo nel quale i covoni sono disposti nei campi. Da qui ne discende quella che potremmo definire : LA PRIMA REGOLA DELLA TEORIA DEI COVONI.

Più la loro dislocazione è random, maggiore è il grado di benessere psichico dei contadini. Di contro, maggiore è l’ostinazione con la quale vengono raccolti e costipati in mucchi ordinati e contigui, più alta è la propensione a credere ad un carattere ossessivo-maniacale, votato alla soppressione di qualsiasi elemento di disordine, tipico dei tratti distintivi del depresso.

Stuoli di psicologi, antropologi, via via in un crescendo interdisciplinare fra diverse figure professionale, nelle quali annoverare anche periti agrari, agrimensori, costruttori di macchine per la realizzazione dei covoni, addetti al facchinaggio degli stessi, si stanno confrontando, da tempo, circa le origini sociali della patologia. Non è escluso che a breve, qualche prestigiosa sede universitaria, cogliendo il nuovo che da questo approccio si manifesta, non addivenga alla creazione di appositi corsi di laurea (magari breve) con i quali formare nuove figure professionali, in grado di gestire l’insorgenza di queste patologie già al loro timido apparire (in genere, subito dopo la semina).

E’ tutto, per oggi, dal sito di Rai educational surrealistic-pillow, l’appuntamento è per la prossima puntata.

01/06/12

Soprannaturale














Il Terremoto.

E’ l’impatto con qualcosa che potrebbe essere definito “sopranaturale”.
Se non fosse che come termine è uno dei meno adatti.
Ma nella mente razionale, quella abituata ad allinearsi al comune sentire, quella assuefatta da anni in modo impercettibile ad una rigida schematizzazione della vita, andrebbe indagato il perché lo si vuol ritenere qualcosa di non naturale.

Che la terra possa tremare, forse è cosa che appare normale, solo a poche menti elette. A coloro che ne hanno fatto materia di studio e di lavoro. Non sono poi molti.
Il resto, forse, prende atto ed elabora in ragione direttamente proporzionale ai chilometri di distanza dal luogo dell’ennesimo evento, o se trattasi di persona dall’animo sensibile, ne compartecipa il disagio mediante l’assorbimento passivo di immagini e voci che provengono dalla televisione, quando va bene, dalla carta stampata.

Ecco, è questo a rendere labile il nostro rapporto con la terra. Altrove hanno imparato a conviverci, e forse sono un pezzo avanti, se non altro nell’aver serenamente accettato l’idea che questo tipo di eventi sono “nelle cose”, nel novero delle possibilità. A partire da questa (serena ?) accettazione hanno messo in moto, presumo, anche quelle difese psicologiche che mai come in queste occasioni risultano preziose per non “andare via di testa”.

La relazione fra la naturale evoluzione della vita, scandita dal tempo (sarà banale, ma tutti con il passare di questo “invecchiamo”, e aggiungiamo cementificandole ulteriori certezze, che ci sono necessarie, sono le nostre ancore) e i luoghi.
La casa è uno dei totem che chissà da quanto ci portiamo dietro.
Vederla distrutta, in un attimo, produce effetti nell’immediato e a “lento rilascio” difficili da quantificare.

Quello che un evento del genere si incarica di insegnarci è che a poco vale la dissimulazione delle incertezze, procedendo per ancoraggi. E’ vero, i rapporti, gli affetti, le motivazione economiche ci legano ai luoghi. Ma la “catena” con questi si spezza, indipendentemente da quanto grossi ne abbiamo fatto gli anelli, nel nostro immaginario.

Non avere più niente, e rimettersi in gioco, prim’ancora che essere il sussurrato suggerimento di qualche santone zen, deve fare i conti con questo “bagaglio” psicologico.
E di impazzire, rimanendo vittima del perfido gioco dell’immedesimazione, consentire che il nostro orizzonte esistenziale coincida con il mero possesso di un bene (la casa) fa ancora capire quanto ci sia da lavorare, nelle coscienze, per dirsene liberati.

Gli americani convivono con i tornado, da anni. Cosi i giapponesi con i terremoti.
Forse per questo la loro società non riesce comunque, pur con tutti i guasti che si porta dietro, a fronteggiare la paura, opponendovi una “sana” maniera di reagire e prevenire ?

Qual è il danno quindi che si portano dietro questi eventi?  Il danno è nelle teste. E’ il farsi largo dello scoramento, il disorientamento. Ma se anche dalle parole (argomento al quale ultimamente hanno addirittura dedicato una trasmissione) non cominciamo a modificare il nome delle cose, le paure resteranno tali, e il soprannaturale (che ci rifiutiamo di smascherare) anche.


25/05/12

L'uomo con la mano in tasca.

















A Melissa/ dopo una settimana.
L’uomo con gli occhiali vicino all’edicola.
Ha anche una mano in tasca.
Come chi affetta indifferenza,
aspettando magari arrivi un taxi.
L’uomo che porta occhiali scuri,
e che ancora non sa che di lì a qualche giorno la sua foto,
sfuocata, sarà dappertutto.
Il ritratto di un’attesa.
L’uomo ha una mano in tasca,
come chi affetta indifferenza.
L’attesa è per le sue vittime.
L’indifferenza pure.
Non importa il nome (Melissa)
Ma poi un nome c’è.
Chissà a quale ha pensato, se ci ha pensato.
Come avrebbe voluto si chiamasse.
E cosa ha pensato, del dopo.
Avrà immaginato lo strazio di
Chi le sopravvissuto ?
Dei suoi familiari,
un letto vuoto, mai più da rifare,
cosi come un posto a tavola,
il suo.
L’uomo con la mano in tasca, fuma.
Osserva l’evanescenza di quella Nuvola,
con lo stesso distacco
Verso ciò che sta per fare.
E’ un attimo, il suo traguardo.
Chissà da quanto ci stava
Lavorando.
E l’impegno e la fatica per
Portare fino a lì 100 kg. di bombole di gas.
L’uomo con la mano in tasca e gli occhiali,
sa che ha fatto un buon lavoro.
Che il suo impegno è stato ripagato.
I giornali parleranno di lui.
Forse lo desiderava fin da piccolo.
Fin da quando andava a scuola,
se c’è andato, anche lui.
 E la mattina faceva strada, per arrivarci,
Come le ragazze che a poco a poco
Si accalcano davanti all’entrata,
due parole con le compagne,
i resoconti dei rispettivi amori,
i programmi per la domenica,
imminente.
L’uomo con la mano in tasca ha atteso il sabato.
Magari l’ha scelto con cura.
Il sabato ha il potere di deflagrare.
Chissà se ha pensato che del suo gesto
di lì a qualche ora, avrebbero parlato
le radio dentro i supermercati,
dentro le auto di chi,
intento alle cose del sabato,
avrà pensato cosa ?
Brindisi è un puntino sulla carta d’Italia.
L’uomo con le mani in tasca, lo sa.
Brindisi diventerà famosa,
per questo suo gesto.
Chissà l’orgoglio,
chissà l’appagamento.
E insieme,
la noncuranza per i “danni collaterali”.
L’uomo con le mani in tasca,
affetta indifferenza.
Verso gli altri, senz’altro.
 Soprattutto verso se stesso.

27/04/12

...e grazie per tutto il pesce (To Rome with love)

Sono prevenuto ? si, lo sono. Cosi sgombriamo subito il campo da ogni qualsiasi inutile equivoco. Lo sapevo, me lo ero ripromesso, ne avevo già detto. Non voglio più andare a vedere un film di Woody Allen. Eppure ci ricasco. Ogni volta è cosi. Pena il dover rompere con l’amata. Non pago delle delusioni patite (l’ultimo degno di nota rimane Match point, infatti degenere, e Vicky Barcellona e socosaltro…).

Ieri sera staccato il biglietto. Spettacolo a tarda sera (mai fare quest’errore…). Poltrone scomode, nonostante sia un multisala molto gettonato. Comincia il film, dopo la consueta sequenza di spot interminabili (che per favore, e magari, ha anche stufato). La storia sembra volersi ammantare di credibilità ricorrendo all’abusato strumento della voce narrante (che poi, dev’essere un tic dei recenti film dei registi americani, pazienza se sparisce per riapparire alla fine).

Uno strazio, poche le battute (alcune, poche che riescono a scuotere il torpore di un onanismo fine a se stesso), narrazione come si usa, a grappolo…tante microstorie che si dipanano…esercizi di postlavorazione, elegia del montaggio. Per il resto il vuoto totale. Un depliant di Roma. Dove una Roma da cartolina fa da sfondo inconsapevole allo sguardo di un regista spento, prigioniero del suo modo di girare, che ricorre ai soliti cliché la coppia in crisi, la parodia sulla psicoanalisi, proprio a volerlo riabilitare, un tentativo goffo di rifare Fellini che è bene però subito dimenticare.

Una lagna, a stento sono rimasto sveglio, non riuscendo a stare dietro al rimestamento soporifero di tutto l’armamentario alleniano. Ora mi chiedo, tenuto conto che non ci fa fare nemmeno una bella figura (pervaso com’è di quel birignao che vorrebbe- non senza una qualche ragione- stigmatizzare tanti tic nostrani), l’incedere su uno stereotipo o risponde ad esigenze di cassetta (qualcuno ne dovrà pur parlare, qualcuno ne dovrà pur dire bene) ma chi me lo ha fatto fare ?

Dopo la marchetta di Benigni da Fazio, con spezzoni sapientemente estratti da un polpettone lungo quasi due ore, ci si aspetta un colpo d’ala, un ritorno al cinema che pur ci ha fatto amare. Macchè, esci dalla sala col sospetto di esser stato preso per culo per benino. Lo vedi ? Sono Woody Allen, riesco, come i vostri politici, a fare un discorso di due ore, senza dire assolutamente niente.

Lo giuro, è l’ultimo. Grazie di tutto, Mr. Allen, per quel che mi riguarda è davvero tutto.

Altre pellicole del "Maestro" alle quali non mi sono sottratto (ma delle quali ho scritto): qui, qui e qui