31/10/09

Il pasticcere, non trotzkista

Cabina della domenica.
Sto passeggiando da solo. Ho lasciato tutti gli animali a casa. Fanculo. Oggi non ho voglia di guinzagli. Transito vicino alla parrocchia, sul marciapiede c'è una cabina telefonica densa di annunci sconci scritti con pennarello indelebile, di vari colori.

Suona il telefono, giusto mentre sta uscendo un oceano di gente dalla consueta funzione domenicale.


Pronto, dico con tono professionale e senza pensarci su (alla stregua di un condannato cui hanno appena letto i suoi diritti, prima dell'ultima passeggiatina verso la sala dell'elettric-chair).


Si, pronto, è la pasticceria ? -una voce di ragazza, fresca come il bucato di marsiglia.

No, guardi ha sbagliato numero, questa è una cabina telefonic…

Non mi interessa, le avevo ordinato una Saint Honorè per le 12 di oggi, è pronta ?

No, le ripeto, cerco di sembrare più persuasivo ed amichevole possibile per prevenire altri attacchi…infondo sono solo di passaggio, ecchecazzo…

Poche storie, senta. E' pronta o no ?

Ma che cosa ?

La torta, quella che le ho ordinato.

Quale ? dico rassegnandomi ed entrando nella parte (controvoglia)

Come quale, quella con la scritta "Come oggi, per sempre, tua Fliflì" ha capito ?

Fliflì ? chiedo io, perplesso.

Si, Fli flì che c'e' di strano ?

No, nulla è insolito, non trova ? chiedo…

Lei non è tenuto a fare considerazioni, lei deve aver preparato questa torta, è pronta o no ?

Sto per mandarla al diavolo quando decido di entrare nella parte.

Si, appena uscita dal forno, dico, ignaro di tecniche di pasticceria.

Dal forno? Mi chiede se possibile ancora più inacidita. - Ma mica si fa al forno quella torta lì !

Ah no? Dico per prendere tempo, convinto d'essermi andato a cacciare da solo nel classico vicolo cieco, intanto un pensionato con pochi denti sbatte le nocche della mano sul vetro della cabina facendo cenno di sbrigarmi…

No, ma lei è sicuro di essere un pasticciere ?

E lei è certa dell'amore che giudica eterno, Fliflì ? (rendendole pan per focaccia…)

Mi passi il titolare, lei è un incompetente.

Piano con le offese io ho solo risposto alla sua chiamata, vuole parlare col titolare, bene, glielo passo, ne ho abbastanza.

Faccio cenno al pensionato con il vestito della domenica che bussava sul vetro…."E' per lei" gli dico, porgendogli la cornetta.

Esco dalla cabina, nel sole incerto della domenica mattina. Devo arrivare al bar all'angolo dove mi aspettano le paste della domenica. Fliflì ne sarà contenta. Cazzo di tipa…nulla è per sempre, o no ?!

20/10/09

Another snake in the wood


D’accordo, come parodia è pessima, ma davvero il succedersi di ritrovamenti di pericolosi serpenti a sonagli in quel della pineta di Ostia, comincia a preoccupare i frequentatori, e fra questi anche lo scrivente.

A distanza di pochi giorni, sono stati rinvenuti da impavidi appartenenti al Corpo Forestale dello Stato (CFS per gli amici), due esemplari definiti “molto pericolosi”, di serpente a sonagli, il cui antidoto, nella patria di Rita Levi Montalcini, non è presente ma va richiesto, a quanto ho capito, in Belgio (ah, il fulgido periodo coloniale…) o in qualche altro paese europeo di sicuri trascorsi coloniali.

“Generi coloniali”, fino a qualche anno fa, la scritta ancora resisteva in qualche sperduto paesino dello stivale, a testimoniare, su qualche bottega, gli antichi fulgori dell’Impero. Ora, se recitata a degli studenti di un qualsiasi corso di media superiore, potrebbe, al meglio, strappare un sorriso, venendo scambiata facilmente, per una bizzarra maniera di chiamare, che so, una profumeria.

Il fatto che a distanza di pochi giorni, siano stati avvistati tali esemplari deve costituire motivo d’apprensione fra coloro, che a vario titolo, frequentano detta pineta. La cosa non manca di assumere un risvolto erotico. Innumerevoli sono infatti i tratti di detta pineta (aggredita con metodica costanza, da anni, da incendi dolosi), infestati da prostitute e trans, soprattutto nelle ore pomeridiane e serali. La presenza di serpenti, prim’ancora che reminescenze bibliche, rimanda a fantastici giochi erotici con essi, praticati dalla mai dimenticata Cicciolina (in arte: il vero nome Ilona Staller) dalle pagine di qualche rotocalco porno, che deve aver a mestiere irruvidito la mia adolescenza (e con essa la capacità ottica delle mie diottrie).

I serpenti, ci mancavano. Antichi mestieri verranno rispolverati. I famosi incantatori (oggi agilmente sostituiti da telepredicatori d’ogni sorta e colore, che vomitano le loro sentenze dagli schermi televisivi ad ogni ora del giorno, e della notte), torneranno a popolare i vialetti, una volta alberati, di ciò che resta della Pineta (un tempo, al suo interno si tenevano gare di automobilismo…).
I serpenti che conferiranno la giusta dose di thrilling alla dichiarazione del pensionato di turno, alla moglie imbigodinata e dalle calze calanti immortalata da Aznavour “cara, vado a fare due passi in pineta”.
“Hai preso l’antidoto ?” si sentirà rispondere, come una di quelle false cautele che insieme, liberano l’animo dalla speranza che gli capiti a tiro il rettile, e tacitare la propria coscienza con la più comoda delle coperte (psicologiche) “ma io, infondo, glielo avevo detto….” (di non andare).

Ecco, chiunque li abbia depositati lì, al di la delle intenzioni, andrebbe ringraziato. Sta regalando porzioni consistenti di brivido (e con essa la dovuta attenzione massmediatica che comporta) agli ignari praticanti (nell’ordine) di footing, bike o semplice camporella.

qui "more info about" come dicono a Camisano Vicentino

18/10/09

Linguaggio piano (massacrare, prima coniugazione)

dal sito corriere.it:













(poi ha un senso invocare la tessera del tifoso con giornalisti che titolano cosi una pesante sconfitta ?)

ps. ignoro chi sia l'emulo di WALL-E, ritratto nella foto.

16/10/09

Perchè non agli Ostrogoti ?


L’altra sera, mentre ero intento alla preparazione di un frugale pasto, ho tenuta accesa la televisione per rendermi edotto circa le condizioni del mondo, ascoltando un tiggi.

In ossequio ad una moda consolidata, esaurite le “highlights” (come vengono chiamati in gergo gli eventi più importanti della giornata) e obbedendo a quella legge non scritta che recita che le previsioni meteo siano l’elemento principe di conversazione fra estranei, dalla redazione del tiggi hanno pensato bene di inserire un servizio su questa precoce ondata di freddo, indagando le abitudini degli italiani circa il loro atteggiamento su quella simpatica operazione che prende il nome di "cambio di stagione".
Cosi l’alacre intervistatore, calato nelle vie del centro (non importa qui di quale città) ha aperto i microfoni e intervistato (a caso ?) i passanti.

“E’ stancante”, “non l’ho ancora fatto”, “Mi faccio aiutare da mia madre…e si che non sono più una ragazzina” ha detto, ridendo, una donna. Ma la dichiarazione, a dir poco agghiacciante, e che indurrebbe a riprendere in mano i manuali di storia, l’ha resa una signora, in età avanzata, che alla domanda “cosa ne ha fatto degli indumenti dismessi ?” ha candidamente dichiarato: “Li do ai mongoli”.

14/10/09

Sono l'ultimo a scendere, a Roma (2)

Giulio MOzzi e Gaja Cenciarelli al 433 di Roma, 13.10.09

E’ una costante che alla collettività letteraria vengano assegnati spazi definibili da carbonari. Nel sotterraneo di un bel localino (il bar-ristorante 433) di via del governo vecchio, in Roma, si è tenuta l’altra sera una presentazione dell’ultima fatica di Giulio Mozzi.

Presenti i bei nomi della nostrana produzione letteraria, non nell’ordine: Leonardo Colombati, Monica Mazzitelli, Peppe Fiore, Michele Governatori, con la leggera ironia di Gaja Cenciarelli che ha condotto, dando ottima prova di entertainer (chissà…ce la vedo bene come conduttrice di un talkshow finalmente “intelligente”), Mozzi ha esposto, da par suo, le tesi portanti del lavoro, sottoponendosi (volentieri) al fuoco di fila e alle punzecchiature che pure la Cenciarelli non gli ha risparmiato (a partire dal garbato rimprovero per aver storpiato il suo nome, proprio nell’ultima pagina, quella dei ringraziamenti---fra i quali, a sorpresa, si è ritrovato anche lo scrivente). Ha trovato anche modo di sovvertire i clichè classici di questo genere di eventi, regalando all’attenta platea, anziché letture dal libro in oggetto, il capitolo due “work-in-progress” del suo “famoso” romanzo in via di completamento.

Nelle chiacchiere prima dell’inizio, però, sono emerse le considerazioni più stringenti su questo lavoro. Che tento di esporre, riassumendole qui, in forma di punti di considerazione.

Intanto: la mia curiosità di necrofilo si è soffermata sul momento creativo. Forse vale a poco, ma mi interessava sapere se, nati dalla mano felice di chi li ha scritti in primis per il web, questi racconti (o miniracconti o semplicemente “gag” come li chiama l’autore) abbiano goduto, anche nella trasposizione su carta, della stessa “freschezza”. Salutando questa, qualora fosse acclarata, come una forma di scrittura sulla quale andrebbero rivisitati tanti tabù e luoghi comuni che la vogliono ridicolmente confinata nel perimetro di uno schermo di un pc.

L’altra osservazione, è legata invece alla novità “strutturale” di questo “ordigno letterario”.
Non è propriamente un romanzo. Non è nemmeno una semplice raccolta di racconti. Azzardo la battuta che forse è un libro “palindromo”, nel senso che il lettore può, a suo piacimento, prenderlo, aprirlo a pagina 150 e cominciare a leggerlo da lì, per poi tornare eventualmente indietro, senza che questo alteri minimamente il senso complessivo del lavoro.

Sono novità non da poco. Credo che a costituire tali fortunate coincidenze, Mozzi debba essere compiaciuto. L’assoluta novità del lavoro, va oltre la spicciola fruiibilità del libro, che si presta, forse al di là delle sue stesse intenzioni, a fare da “apripista” verso una nuova struttura letteraria,
che crea in qualche modo un precedente. Indubbio che sia la qualità intrinseca della scrittura, quale che sia il “mezzo” sulla quale si declina, ma resta forte il sospetto che con tale operazione si possa aprire una nuova stagione e che, al pari di altre scritture “pensate” per l’esclusiva pubblicazione su carta, si faccia spazio, in un’ottica di reciproca contaminazione, anche questa maniera di raccontare, coraggiosamente spinta, da chi si definisce, con immensa modestia e un forte retrogusto d’ironia, “sono un prosatore veneto”.

12/10/09

Il faraone












Il faraone riposa nel suo letto.
Per sempre. O per un po'.
Ha chiuso gli occhi.
Sembra che dorma.
E' maestoso, nel suo regale aspetto.

Il faraone ha chiuso gli occhi.
Il respiro che si è fatto più lento,
si è fermato del tutto.

Il faraone incute rispetto,
la sua è una corsa finita.
Il faraone riposa,
lo vestono, lo compongono,
pietosamente gli chiudono la bocca,
fermata nell'attimo dell'ultimo respiro,
come a cercare altra aria.
Il faraone.

Il faraone rimane tre giorni in casa,
cosi.
Lo piangono, nell'ordine, un po' tutti,
i figli, i nipoti, gli amici.
Il faraone è bello, maestoso
anche nel suo riposo.

Il faraone finisce la sua corsa,
cosi.
I risvegli nel mare,
verso l'Africa,
forte dei suoi vent'anni,
a bordo di una nave.

Il faraone che incontra chi
sarà capace di rubargli il cuore,
ci scappa, e nascerò io.
Poi altri figli,
e viaggi, e ritorni
e fallimenti e rapide
riprese.

Il faraone che si rimette sui libri,
a quarantacinque anni,
quattro figli, un lavoro.
Riprendendo gli studi,
lì dove si erano interrotti,
per la morte del padre,
e per la necessità di
sostenere la famiglia.

Il faraone, chissà perchè,
sembra non sia affine all'idea
di una fine.
Vivrà oltre, e starà in giro,
o a casa sua, o magari
anche qui, intorno.

Il faraone.
Il faraone ha lasciato
una radiosveglia che si
attiva tutte le mattine,
all'ora che aveva impostato.
Rientrando nella sua casa, vuota,
mi sorprendo ad ascoltarla.
Una presenza che gli prescinde.
Un atto, consacrato nei chip
di un transistor, come ultima
volontà, da rispettare.

Il faraone l'hanno portato via
in quattro. Sono usciti da casa,
un sabato mattina,
con la sua bara in spalla.
Tre di loro alti un metro e ottanta,
uno, più piccolo, forse un metro
e sessanta, sessantacinque.
Uscendo ho detto a mio fratello:
lo vedi ? hanno montato il ruotino.
Avrebbe riso anche lui,
il faraone.

Il faraone è mio padre.