30/08/09

for ever and ever

Orchestra Mantovani
Mi hanno sempre affascinato le grandi orchestre.
Un vezzo, come uno di quegli amori che, avendolo sempre fra i piedi, ti accorgi, alla fine, che non puoi farne a meno.
Sopravvivo benissimo anche senza, ovvio.
Trovo però che hanno sempre esercitato un certo fascino su di me. Ho provato a sondarne il motivo.
L'ammirazione per gli arrangiamenti, l'esecuzione diversa dall'originale, l'esercizio automatico che il mio orecchio musicale mette in moto non appena individua, alla velocità della luce (pardon, del suono) tre note coincidenti.
Intuisci il grande, paziente, lavoro che c'è dietro. Le ore di prove, l'arte di accordare strumenti (e persone) cosi diversi. Dai fiati, agli ottoni, agli archi, ai tratteggi dei pianoforte. In breve, un esercizio intelligente che può, anzi riserva, il suo sporco tre per cento di felicità.

Ammetto che in tutto ciò, abbia giocato pesantemente, la passione di mio padre per questo tipo di musica. Magari, anzi senz'altro, quand'era giovane ci avrà sballato sopra. Va a capire.
Anni fa, quando qualcuno mi chiedeva di cosa mi occupassi, trovavo interessante rispondere: il compilatore di selezioni musicali per compagnie di volo. Alla faccia perplessa dell'interlocutore, aggiungevo...hai presente quando sali a bordo di un aereo ? Hai mai sentito la musica che si ascolta a bordo ? Si, proprio quel genere che assolve ad un paio di funzioni: colmare il silenzio e il brusio di chi sta per prendere posto, e insieme, stemperare la tensione mandando appunto brani che per la loro leggerezza, e la perfezione dell'esecuzione, in genere ad opera di grandi orchestre, contribuisce a sopire l'ansia per il decollo imminente.
Mi davo un tono, e più di qualcuno, a fronte di tanta autorevolezza, credo sia stato disposto a crederci davvero.
Questo tipo di musica, che rappresenta una versione colta dell'arte di fare cover tutt'ora imperante, è stata territorio indisturbato, per anni, di una cosa chiamata filodiffusione. Di sottofondo in studi medici (appena impercettibile), cosi come nelle lunghe notti insonni (alla guida, o su qualche libro) sospinta nell'aria dai canali radio nazionali, magari intorno alle cinque di mattina. Non so cosa mi piaccia di più, se il suo essere demodè, la preziosità degli arrangiamenti, o semplicemente l'ottima qualità delle esecuzioni.
So che si tira dietro un mondo. E so che quel mondo, fatto di gente che ha vissuto in Italia, da gente che si è fatta il culo, e che si ritagliava a stento, in tutto questo culo, porzioni di felicità le ha potute condire con questa musica, che in qualche modo mi appartiene, in quanto figlio di qualcuno cosi.

28/08/09

Saper stare agli scherzi











Gli olandesi mi stanno simpatici.
D’accordo, in un desolante panorama di stati europei, ci vuol poco ad emerge quanto a originalità, coraggio nelle decisioni impopolari, e distinzione dal piattume clerico-destrorso.
Dall’eutanasia, alla tolleranza circa le personali inclinazioni sessuali, l’idea che me ne sono fatto è di un insieme di persone che hanno trovato un equilibrio, impostato un modus-vivendi improntato al rispetto dell’individuo, e che fa perno su un concetto di libertà che mi trova più che concorde.

Tanta felice combinazione di caratteri sociali, porta inevitabilmente ad accettare gli eventi della vita con singolare estensione del senso dell’umorismo.

La notizia è questa. Nel 1969, a pochi mesi dal mitico sbarco sulla Luna, la Nasa pensò bene di mandare in tour (alla stregua di un importante gruppo rock) l’equipaggio di Apollo 11, in diverse capitali europee. Nel corso di tali visite, come si conviene, i nostri pensarono bene di utilizzare a mò di cadeaux dei reperti del suolo lunare. [ricordo ancora, bambino, una visita col mi babbo nella sede di un museo, fra i bianchi marmi dell’EUR, per osservare, da dietro apposita teca blindata, la prova provata del viaggio del secolo].

Apprendo, da articoletto di spalla pubblicato sul sito del corriere, che l’indomita curiosità olandese, a costo di innescare un'empasse diplomatica, ha portato un gruppo di mattacchioni ad analizzare uno di questi reperti, stabilendo che si tratti non di pietra di origine lunare, quanto di banalissimo legno adeguatamente fossilizzato.

Immaginate fosse successo da noi ? Interrogazioni parlamentari, convocazione dell’ambasciatore per non meglio precisati chiarimenti, tensione nelle relazioni internazionali (come se non bastassero quelle già in tavola) importanti tromboni, chiamati ad esecrare tale, vile, comportamento. In Olanda no, lì alimentano ancora, insieme ad un sacco di altre belle cose, anche un discreto senso dell’umorismo. Lo terranno esposto, al Rijksmuseum di Amsterdam comunque.

Bellissimo il commento attribuito alla signora Xandra van Gelder, portavoce del museo nel quale il reperto è esposto: «È una bella storia, con molte domande che non hanno ancora una risposta. Comunque possiamo farci una risata».

22/08/09

Tre testi

dettaglio ornamento frontale basilica S.Croce a Lecce







Il lato positivo della vacanza è interrompere. Fermare il ciclo infernale di giornate scandite dall'affannosa produzione di reddito che piega al suo dispotico volere ogni singola attività del quotidiano.
Contrariamente a quanto facevo da giovane, in vacanza i risvegli arrivano sempre prima. Andando a letto prima evidentemente l'organismo ha bisogno di meno ore di riposo, oppure, le stesse sono sufficienti e ti consentono di svegliarti, come si dice, “al levare del sole”.
Sono gli attimi più belli della giornata. Seduto fuori, in fronte alla direzione di quella palla arancione che lentamente sale senza ancora scottare, debitamente munito di Autan (di cui a breve diverrò titolare di quote, visti i robusti consumi), ho dato fondo a tre testi, dei tanti che mi sono portato dietro.




L'ultimo scapolo, di Jay McInerney.
Sono racconti. Per chi avesse letto, a fine anni '80, l'altro suo “Le mille luci di NewYork”, lo spaesamento, appena finito di leggere il primo racconto, è grande. “Che cazzo fa ? Ripete il finale del primo romanzo ?”. McInerney ha una mano felice, e insieme, deve nutrire una qualche ossessione per il pane. All'uscita del tunnel da una notte colorata, al solito, da droghe, pompini esigiti, pin up e drag-queen, immortalati (ancora oggi) nelle notti senza fine spese fra un locale e un altro, fra restroom dove la cocaina scorre a fiumi, il nostro arriva nei paraggi di un forno. Ha le tasche vuote, e trova congruo scambiare la propria giacca griffata, per un pezzo di pane appena caldo.
Il resto dei racconti sono un caleidoscopio dell'umanità (quasi sempre dell'Upperclass) che informa l'America. Scritti in maniera impeccabile, cosi altrettanto tradotti e resi dall'abile lavoro di Paolo Bianchi, i racconti si sorreggono di fulminanti dialoghi, aventi di volta in volta per oggetto, rapporti di coppia alla frutta, beghe familiari e tutto il corollario cui ci ha abituato fino a poco tempo fa un altro grande “fotografo” della società america, Truman Capote.
Letto d'un soffio. Consigliabile a chi volesse capire come si confeziona un racconto.



Poi ho approcciato una raccolta di racconti di Paolo Cognetti (Una cosa piccola che sta per esplodere). Edita da minimumfax, la raccolta contiene una manciata di racconti. Mi ha colpito la cura con la quale sono scritti. L'attenzione al dettaglio che non risulta mai stucchevole, il passo, l'incedere della narrazione, dalla quale arriva la voce dell'autore: mai perentoria, non affrettata, quasi sussurrata. Un insieme di ritratti che colgono gli aspetti magari meno vistosi, ma degni del lavoro di ricerca di chi, come l'autore, dotato di occhi incisivi, esplora derive sociali come l'anoressia (splendido il finale del racconto di un gruppo di ragazzine della buona borghesia internate in apposita clinica svizzera), cosi come della degradazione delle periferie, viste con gli occhi di due adolescenti. Stilisticamente perfetto.



Infine, superando l'invidia per aver visto come il filone Fringberger è stato trattato, come si dice, “molte leghe più avanti” ho attaccato da dove avevo interrotto (pag.50 circa) il tomo uno di 2666 di Bolaño. Beh, ne è valsa la pena. Non avevo mai letto nulla di suo, prima (sebbene, in paziente attesa alberghino sugli scaffali in giro per casa gli altri suoi testi editi da Sellerio). Merita. Mi ha colpito, una volta finito, e tornando alla disponibilità di una connessione internet (ah, la salutare astinenza per qualche giorno....) aver letto da qualche parte che il lavoro (che consta di due volumi) sia stato scritto da Bolaño, consapevole della gravità della sua malattia (era in attesa di un trapianto di fegato) per lasciare alla famiglia (evidentemente in non floride condizioni economiche) una sorta di eredità, in termini di diritti d'autore. Bolaño è un maestro del montaggio. Se avesse fatto il regista se la sarebbe battuta con Fellini. Leggerlo è un'esperienza che consiglio a chi vuole capire come si padroneggiano i tempi di una narrazione. Sovrapposizioni, rimandi, digressioni, un torrente che ti investe e nel quale non hai paura di perderti, essendo appunto grande la capacità di gestire più livelli narrativi. In altre parole, ti fa fare ginnastica, mentre lo leggi, ma la fatica è ampiamente ripagata. Su tutte, la parte dei critici (le prime 200 pagine del volume) meritano la lettura per l'ironia che è bravo Bolaño a far trasparire, senza ricorrere ad alcuna “strizzatina d'occhio” al lettore.
Va da se, che compatibilmente ai tempi della ripresa (ahimè per problemi familiari ho dovuto anticipare il rientro) tenterò di dar fondo anche al tomo due dell'opera, confidando nella comprensione di una trama tanto complessa.

Ed è tutto, per ora.

21/08/09

Lecce



Lecce è un bar dove ti capita di entrare la mattina, presto, per un caffè ed essere accolto dalla musica di Mantovani che esegue Smoke gets your eyes, cosi, soavemente.

Poi anche il caldo, certo. Ma lenito da una brezza che non smette mai. E poi ancora la luce delle albe e dei tramonti, con i suoi raggi lunghi, che infiammano le mura costruite con questa vecchia pietra che hanno intorno, un giallo che si ammanta di tonalità diverse ad ogni ora.

Il cibo, e il colore ancora, della terra. Rossa e pietrosa, e uliveti tirati a lucido come nemmeno boutique del centro.

20/08/09

schegge


immagini dalla troposfera.
update: ieri, 20 agosto,
il N(m)ostro si è ripetuto sui 200 mt. WR anche lì.
La Giamaica, che posto !

08/08/09

Libri in valigia

Staccare la spina, si dice cosi, con una espressione non molto felice, ma che rende.

L’altro giorno ero in centro. C’è stata una simpatica scenetta, nell’atrio di un importante negozio di biancheria per la casa (dovevo trovare da regalare una tovaglia per un tavolo circolare monumentale di un amico). Trilla il cellulare, esco dal negozio e mi soffermo nell’atrio. Sull’esiguo marciapiede il frastuono del traffico mi impediva di comunicare correttamente con l’interlocutore.
Nel mentre, un’avvenente signora, evidentemente per le stesse ragioni, si introduceva nell’atrio del negozio per poter sostenere adeguatamente la sua conversazione telefonica. Il rimbombo delle nostre voci, lei che sollecitava qualcuno ad avvalersi di un medico, la mia che chiedeva di ripetere, ad alta voce, quanto aveva appena detto la persona con la quale ero al telefono.
Finite le rispettive telefonate, ci siamo guardati. C’è stato un attimo da intesa profonda, come nemmeno due coniugi alla vigilia delle nozze d’oro. “Era mia mamma, non ci sente molto bene” è scoppiata a ridere. Anche la persona con la quale parlavo, non sta messa molto bene ad udito, le ho risposto. Mi ha sorriso. Le ho sorriso anch’io.

Visto che ero nelle vicinanze, sono passato da Remainders. Per chi volesse ci sono 3 o 4 copie de Il Culto dei Morti in Italia, di Giulio Mozzi (che altrimenti è prelevabile qui, gratuitamente e in pdf).
Ho vagato un po’ per gli scaffali e ho preso:
Scritti di viaggio, di combattimento e di sogno di Antonio Moresco, Collages di Anais Nin e a prezzo pieno, Una piccola cosa che sta per esplodere, di Paolo Cognetti.

Ho intenzione di portarmi dietro, per finirlo, L’ultimo scapolo di Jay Mc Inerney e 2006 di Bolano (secondo tomo).

Sono cinque volumi, sebbene in vacanza e alcuni non molto lunghi, dubito possa finirli tutti nel giro di pochi giorni.

E con questo è (quasi) tutto.

Buon Ferragosto.

Cortesforza



Nel giro di pochi giorni, è la seconda.

05/08/09

Esplorazione del concetto di sequestro collettivo.

Ad opera di non meglio precisati “pirati somali”, da diversi mesi (11 aprile scorso), una decina(*) di nostri connazionali, marittimi imbarcati su un rimorchiatore di nome Buccaneer, sono tenuti in ostaggio sulle coste del Corno d'Africa (come si chiamava una volta).

Pochi giorni fa, la teutonica e granitica compagnia proprietaria di un'altra nave mercantile, che ha subito stessa sorte, carica d'ogni bene tecnologico (telefonini, computer, tv et altre mirabilie) destinate al Kenia, ha acconsentito al pagamento di un riscatto e liberato l'equipaggio. Non ho difficoltà ad immaginare come possa aver ingannato il tempo (aprire le confezioni e leggere, in tutti gli idiomi del mondo, imparandole a memoria, le istruzioni per l'uso di ogni singolo apparecchio).
Dubito che costoro rimpiangano, in luogo della scelta sciagurata dell'imbarco, il non aver cercato di acquisire una più tranquilla licenza da tassista, in qualche capitale occidentale.

Quello che andrebbe sondato è il rapporto con il disagio della privazione della propria libertà individuale , condiviso con gli altri, sfortunati, compagni di viaggio.
La bizzarria del codice di navigazione, consegna uno status particolare al comandante. Un equilibrio sofisticato di diritti e doveri. Il resto dell'equipaggio, ai sensi del codice, sostanzialmente ha le stesse responsabilità di un gruppo di trichechi, chiamati ad eseguire un numero, dalla gabbia di un circo.
Come si sta a bordo di una imbarcazione, sotto il sole cocente, aspettando che le diplomazie, come si fosse al mercato, stabiliscano la congruità della contropartita per la loro liberazione ?
E la consapevolezza di non essere soli incide sul livello di fiducia in un esito positivo o no ?

Il recente caso del signor Vagni, lascerebbe intuire che no, non è necessario essere una squadra di calcio, puoi, potresti farcela anche da solo. E' tutta questione di ? Culo ? Soldi ? Condizioni ambientali ?

La negoziazione, ci dicono, è un'arte. Oggetto di adeguati corsi di studio presso le più prestigiose università del globo.
Certo, mentre sei sulla tolda, o nella stiva, o a dormire in una branda, all'interno di una cabina, dando di tanto in tanto un'occhiata a qualche foto di familiari lasciati in Italia, non deve costituire un gran conforto sopravvivere in quella condizione, con l'acqua da bere razionata, con cibo di pessima qualità, vedendo passare giorni e giorni, sempre lo stesso ciclo (a quelle latitudini, per disposizione astronomica la durata della luce è perfettamente uguale a quella delle tenebre. 12 ore a testa) di giornate immagino tutte uguali, spese nella speranza che l'incubo finisca.

Nessun moto di compartecipazione per le vicende delle soubrette di corte. Nessun sussulto di compiacimento per il ritorno in formula uno, per i colori del cavallino, del tedescone pigliatutto, totale assenza di pathos per lo Strega, andato a Scarpa. Ignoro, se e quanto, abbiano la possibilità di tenersi aggiornati su quanto accade nel bel paese.

Quello che sospetto è che la condizione di sequestrati collettivi, non appartenga solo a loro.

* (10 italiani, 5 rumeni, 1 croato)

02/08/09

La differenza

Ci sono tre libri italiani importanti in giro

Cosi si intitolava un post sul blog vibrissebollettino, di Giulio Mozzi, uscito qualche settimana fa.
A vario titolo, e mai espressione fu più calzante, i tre libri in parola sono
Il tempo materiale, di Giorgio Vasta
L’ubicazione del bene, di Giorgio Falco e
Il mio nome è Legione, di Demetrio Paolin.

Mozzi sa il fatto suo. Se ritiene che questi tre testi siano dei "libri importanti” c’è poco da fare: vanno letti !
Cosi ho fatto.
Condizionato dalla possibilità di reperimento, i primi di giugno, mi sono messo a cercarli e li ho trovati. Quello di Falco e Vasta, con una certa facilità, quello di Paolin l’ho dovuto invece ordinare in quanto la sua casa editrice (Transeuropa) non risulta essere, almeno qui a Roma, nelle librerie più grandi, ben distribuita.

Con tempi dettati dalle incombenze del lavoro, intervallati da altre letture “spot” come le chiamo io, quelle cioè che ti “impongono” (non so bene in forza di quali meccanismi mentali) di essere letti subito, li ho terminati, tutti e tre, in poche settimane.

Ora, mi piacerebbe conoscere il criterio col quale, secondo Giulio Mozzi, questi tre sono “tre libri importanti”. Perché proprio questi tre ?

Questa la mia interpretazione.
Nel panorama letterario italiano, inflazionato dai Camilleri, dai Faletti, dai Moccia (stando ai primi tre autori italiani nelle classifiche di vendita fonte Tuttolibri-La Stampa) questi sono tre libri a-tipici. Non è in discussione, qui, il loro potenziale di vendita (credo, conoscendolo, che non fosse questo l’obiettivo del discorso di Mozzi). Allora penso piuttosto alla “qualità” della scrittura.
Ed è un criterio che condivido. Se volessimo tracciare una riga, ipotetica, fra vendita e qualità, questi tre lavori, ciascuno per la propria parte, sono dei segnali più che incoraggianti circa lo stato dell’arte della capacità di narrare oggi in Italia.

Nessuna competizione o scomodo paragone fra loro. Sono, ripeto, ognuno per la propria prospettiva, tre autorevoli punti di vista sull’attuale, o ancora meglio, sul nostro recente passato.
Se volessimo capire, per altre vie, cosa è stato l’ultimo quarto di secolo, nello Stivale, questi testi risulterebbero imprescindibili. Hanno, in altre parole, la capacità di cogliere, con gli strumenti propri della narrazione di ciascuno, il “rumore-sordo” che ha pervaso questi ultimi anni, più che con i logori strumenti della sociologia, con quelli, lasciatemelo dire, della poesia.

La loro qualità è tanto maggiore, quanto (sebbene depurati dalle inevitabili assonanze con autori stranieri, penso a Houellebecq per Vasta, a Cheever o certo Carver per Falco e al miglior Cortazar ma anche Izzo, per Paolin e indipendentemente dalla forma narrativa scelta: romanzo per Vasta e Paolin, racconti in forma di romanzo per Falco) sono sviluppati da “giovani” scrittori, oggi quarantenni che hanno vissuto “di striscio”, essendo appunto all’epoca adolescenti, gli sconvolgimenti dell’ultima parte del secolo scorso.

Ecco allora, il distillato di questo discorso è una consegna, dura e inappellabile. E’ la denuncia di un disagio che ha informato le loro esistenze, come quelle di tanti altri. Un rimprovero, nemmeno tanto garbato a quelli che gliel’hanno fatto subire, e che contribuisce, per la freschezza del modo di narrare, per l’autorevolezza della loro scrittura, al tentativo di metabolizzare quello che è stato, in Italia l’ultimo scorcio secolo.

01/08/09

Il mio nome è Legione, di Demetrio Paolin

la copertina del libro



Se qualcuno arrivasse per caso su queste pagine, e si prendesse la briga di scorrere i nomi, in basso a destra, dei “Bottegai” potrebbe facilmente trovare, debitamente inserito in ordine alfabetico, il nome dell’autore di questo testo, pubblicato da Transeuropa.

In base già solo a questo, scrivere qui in bottega, intorno ad un testo scritto da un sodale, fa un certo effetto. Questo è il primo libro di Demetrio che ho letto. E che mi ha incantato.

Lasciando da parte un retrogusto di invidia per la sua intrinseca bellezza, trovo che si tratti di un testo complesso, che l’autore (qui il suo pregio) ha saputo rendere con una prosa leggera, anche se dura. Dandogli il peso che meritano, ho sentito dietro il suo incedere il profumo del miglior Cortazar, certi echi di Izzo. Ma sono paragoni che suonano sempre ingenerosi, diciamo assonanze, che in alcuni passaggi hanno saputo evocarmeli.

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