31/05/09

Refugee

L’altro giorno ero in un megastore, intento a trovare delle cartucce per la stampante (notavo come la tecnica delle case produttrici somigli a quella dei pusher….la stampante te la tirano dietro…per le cartucce di inchiostro ci vuole un mutuo…). Come tutti i megastore che meritano, anche questo aveva il suo bravo reparto cd. Fatale mi sia fermato a dare un’occhiata…ho cosi ceduto e preso, d’impulso, un cofanetto con una copertina insulsa ma con un titolo promettente: "RARE BROADCAST OF TOM PETTY".

Aperto, conteneva : un cd con otto brani, e un dvd con sette.
Ora, di Tom Petty e dei suoi The Heartbreakers so pochissimo. Quello che so è che è un valido artigiano della musica, capace di scrivere canzoni che sono rimaste ben impresse nel mio immaginario.
Con una di queste ci ho fatto l’ingresso trionfante a New York, proveniente dal JFK, a bordo di una navetta con gli ammortizzatori a pezzi, in una sera d’agosto di tanti anni fa, sotto la pioggia.
Forse era la colonna sonora adeguata, l’album (anzi, la cassetta originale, all’epoca non erano ancora nati gli ipod ma si viveva di walkman) era Into the great wide open.

Ma le canzoni di Petty che mi piacciono di più attengono al primo periodo.
Su tutte questa Refugee, che è sempre un piacere riascoltare.

Per la cronaca, vorrei la stessa giacca che indossa nel video e fidanzarmi, a turno, con entrambe le coriste (sia la bianca di nero vestita che la nera fasciata con le bombe a mano in un fuseaux che grida vendetta al cielo, e con stivaletti color carta stagnola).

Topolanek

Lo sospettavo
Sin dall’inizio del suo mandato, quando il suo nome è assurto alle cronache. Topolanek.
Lo dicevo che sembra un nome uscito dalla matita pazza di qualche mattacchione della Disney,
che so, un cugino maldestro di Micky Mouse.

E chissà quando deve avercelo lungo, per giunta. Visto che questa infinita e avvelenata campagna per le erezioni europee (non è un refuso) si gioca su scatti rubati, pubbliche confessioni: in breve tutta la paccottiglia di cui è capace il mondo dell’informazione nostrana, quando ci si mette.

Nell’era segnata dall’avvento di Street view, la privacy è diventata quella cosa che fa perdere tempo alle aziende per compilare annosi questionari e liberatorie.
I titoli dei giornali, online e non, da soli meritano il pulitzer per la fantasia.
“Minorenni in topless”, recitava ieri un occhiello sul sito di Repubblica, salvo poi, ammettere nel corpo dell’articolo che le predette erano state riprese da uno zelante fotografo da tutt’altra parte fuorché Villa Certosa. Oggi è la volta di Topolanek.
Rivendico una monografia di Vincenzo Mollica (accreditato come uno dei massimi esperti di fumetto in Italia). Topolanek, santiddio, ma anche lei…D’accordo che al di la delle Alpi l’andare in giro ignudi, foss’anche in una sauna di un albergo è cosa naturale come respirare, figuriamoci in casa propria, davanti ai propri pargoletti. Ma venirlo a fare, qui, nel paese del buco della serratura, via !

Si vota la prossima domenica (se dio vuole). Abbiamo assistito alla peggiore campagna elettorale degli ultimi anni. Stiamo alla frutta. Non una parola sul cosa fare nel parlamento europeo.
Spazio invece a temi da Novella duemila. Anche chi recita la parte dello scolaretto diligente, tal Casini, scivola nel cattivo gusto generale, proponendo sotto i propri colori l’erede dei Savoia, fresco degli allori di un’ability (chiamano cosi anche le competizioni per cani) televisivo sulla danza.

Vorrei essere altrove.

Mi difendo come posso (aboliti i quotidiani, sopportati i vari tiggì nonostante gli interminabili minuti dedicati al pattume), ma consiglierei a quanti si accingono a spedire il proprio candidato in quel di Bruxelles di leggersi prima un libro del 2001, a firma Mario Giordano (il libro è scritto e ci è risparmiato il tono acuto della voce) che svela già dal titolo di che tipo di te si tratti (“L’unione fa la truffa”).
In ogni caso, non è il mio, di te.

24/05/09

Del potere taumaturgico della musica

Free-press, li chiamano cosi. Sono quei tabloid che ti regalano, se prendi la metro, o se stai in un qualche bar, o in una sala d’aspetto. L’altra mattina, mentre attendevo di parlare con delle persone, su un comodo divano, ne ho presa una copia e iniziata a sfogliare. In un trafiletto tipo…”Appuntamenti per il weekend”, c’era l’annuncio di questa iniziativa (clicca qui).

In breve, neanche a farlo apposta, qualche tempo fa sul vecchio blog, scrissi questo post.
Oggi sono stato ad assistere a questo spettacolo. I cori hanno il potere di commuovermi, meglio se di gospel. Stavolta erano tutti bianchi, quasi tutte donne e pochissimi altri uomini, fra questi il boss, che ha una voce “da copione”.

La location meritava, il piazzale antistante il polo oncologico San Raffaele, a ridosso del GRA, altezza Pontina. Un pomeriggio di sole, all’aperto, spazi enormi e una fila di sedie, sulle quali hanno preso posto, alla rinfusa, malati, parenti di malati, semplici curiosi, come il sottoscritto.

Beh, commovente. Mi attrae il sincronismo delle voci, intuire il grosso lavoro di accordatura che c’è dietro, il ritmo che sono capaci di dare, e il loro muoversi, a tempo, che è già solo quello uno spettacolo degno d’esser visto. Al tutto aggiungere la capacità vocale (ed istrionica) del boss, al quale mancava soltanto una potente voce femminile a fare da controcanto nei passaggi vocali più impervi, ma per il resto una rara manifestazione di grazia, che voglio augurarmi abbia saputo portare nel cuore di chi ivi ospitato un briciolo di felicità, foss’anche effimera.

Devo tenere d’occhio questa organizzazione che si prefigge, statutariamente, di portare la musica negli angoli più impensabili della città. Ecco una cosa che ha tutto il mio interesse.

Questo era il post…del quale, viste le circostanze, mi sono ricordato, oggi pomeriggio.

Anziani blues.
Esco dalla casa per anziani dove ho appena finito di suonare il blues, come tutte le domeniche pomeriggio.


Ho dimenticato dove ho parcheggiato la macchina e mi aggiro con aria appena disperata alla ricerca della stessa. Conduco quest'operazione con lo stesso senso di meraviglia, dopo esser uscito da la dentro, che ha, non so se lo avete presente, quel netturbino nero di New York, immortalato in migliaia di filmati, mentre si gira e guarda il carosello dal vivo di un boeing che si innesta, senza grazia alcuna, in una delle due torri.


Niente, sebbene si tratti di un quartiere simil-residenziale, alle porte di Roma, e quindi non afflitto dalla carenza di posti per parcheggiare, non riesco a trovare la mia macchina.



Cosi mi aggiro con la custodia della chitarra, in una mano, e nell'altra, il piccolo amplificatore Fender, da 15 watt….non di più mi raccomando, sa…gli anziani… . Pesano entrambi, ma dopo un paio d'ore la dentro mi sento come un pugile alla quindicesima, mentre uno, in camicia bianca e cravattino, fa finta di consultare un orologio.




Oggi li ho istupiditi, perché ho portato con me le basi di un paio di blues di Gary Moore, in particolare (per gli amanti del genere) Midnight blues, e I'll plays the blues for you, che poi infondo ha anche un titolo ben augurante, nel quale si rispecchia abbastanza fedelmente ciò che realmente faccio: suono il blues per voi (dato che mi ricordo dai tempi della scuola che con questo pronome si indica sia la seconda persona singolare che quella plurale).

In questo gioco di grammatiche confliggenti, continuo a girare, mentre rimando a memoria i dialoghi sostenuti da poco con alcuni ospiti della casa di riposo.



Astrid, è una signora distinta. Avrà novant'anni, portati alla meraviglia. Quando attacco gli effetti sulla pedaliera per eseguire le scale (andando dietro alle basi pre-registrate) dimostra di gradire le sonorità con le quali irroro la sala refettorio. Mi fa dei gran sorrisi e batte le mani a tempo, seduta sulla sua carrozzina, un plaid di quelli che ti regalano se fai benzina da qualche parte, sulle ginocchia, i capelli raccolti in una palla tenuta su con una retina e uno spillone, non ha occhiali.


Alfredo, invece, è un simpatico vecchietto, vestito come Tony Curtis in a Qualcuno piace caldo, perfetta tenuta da yacht.man, se non fosse per degli zoccoli del dottor Scholl's che indossa scalzo, anche in pieno gennaio. Alfredo scambia volentieri qualche parola, subito dopo avermi chiesto una sigaretta (ha un enfisema vasto come il lago Michighan, o quello di Bolsena, se non ci sei mai stato, mi dice. E continua a fumare, indisturbato.

Mi ha raccontato di esser stato un marittimo…viaggiavo sui piroscafi, suonavo il pianoforte, a sera, nell'orchestrina della nave, ho visto tante di quelle belle figliole, sapessi….

Perché non porti un pianoforte ? mi chiede ogni volta che vengo. Mi viene da rispondergli perché non ce l'ho, ma poi penso che ciò invaliderebe quell'aurea di rispettabilità che mi sono faticosamente guadagnato agli occhi della psicologa che mi ha trovato questo lavoro "lei deve fare qualcosa per rendersi utile agli altri, deve uscire dal suo gretto isolamento". Io poi a sera sono andato a casa e ho voluto capire proprio bene cosa volesse dire, zingarelli alla mano, la parola gretto.



Insomma, sta cazzo di macchina non la trovo. Impossibile che me l'abbia portata via un carro attrezzi dei vigili urbani. A quest'ora saranno troppo presi dal giocare con l'autovelox, sulla Colombo, per venire a perdere del tempo quaggiù, a tartassare modeste utilitarie come la mia, fossero anche state parcheggiate fuori dalle striscie dedicate. Bah.




Poi c'è Grumilde. Grumilde la trovo ogni volta truccata. Un trucco pesante, un pegno alla frivolezza, che anche a quest'età non deve averla abbandonata. Mi chiede se conosco Edith Piaff, cosi ho preparato una versione blues di La vie en rose, che lei dimostra di gradire particolarmente, soprattutto quando faccio lo stacco col wha-wha, vattelapesca, devono essere sonorità che le ricordano qualcosa. Una specie di pifferaio magico invisibile che li trasporta tutti, per una manciata di minuti, nell'Urano dimenticato che deve esser stata la loro giovinezza.

Ci sono anche ospiti stranieri. Ex diplomatici, in perfetta tenuta da cricket, che giocano, a quell'ora, snobbandomi, nel giardino della casa di riposo (devo dire, molto ben curato).



Un cuoco moldavo che suona l'armonica meglio dei Leningrad cowboy (accolita di ex tassisti moscoviti dediti al blues) e una cameriera moldava dal petto importante e dall'aria quasi sempre corrucciata, completano il mio pubblico.


La direttrice della casa di cura, una che gira con un SUV il cui pieno sarebbe sufficiente ad una tratta aerea Roma-Milano, e ritorno, ha un fare arrogante. Ricoperta da gioielli in modo esagerato, ha definitivamente chiuso con me, da quando con quella sua aria supponente, armeggiava uno stecchino fra gli incisivi con la stessa abilità di un giocatore di biliardo, rimirando, subito dopo i residui di cibo depositati sullo stesso, e continuando a biasimarmi per la precarietà del mio lavoro.

Vengo anche gratis, se occorre, ho implorato, memore di quel "gretto", che ammetto, fa bene il paio col commento alla sua acrobatica operazione odontotecnica di poco prima.



Il blues piace a questi vecchietti. Appuro questo dal fatto che sembrano tutti più felici del solito, e la televisione (alla quale abbasso l'audio per non disturbarmi mentre suono), manda in modo surreale immagini di Lucia Annunziata, Valentino Rossi che affronta curve a velocità preoccupanti, Prodi e Berlusconi che devono esser visti, agli occhi degli ospiti, come due piazzisti esperti in qualche televendita, di non si sa bene cosa.




Sono esausto quando, girando per l'ennesima volta l'angolo del muro esterno della casa di cura, intravedo la mia auto con due persone a bordo. Mi avvicino di gran fretta, mentre i due scendono in quel momento dalla macchina. Uno lo riconosco, è un ospite della casa, l'altro, un po più giovane e con un enorme t-shirt con su scritto FOR EVER YOUNG, in strasse luminescenti, completamente calvo e grasso come potrebbe esserlo Galeazzi, dopo una capatina sulla terrazza dell'Hilton. (a tutt'oggi accreditato come il miglior ristorante della Capitale).

Il primo, vedendo avvicinarmi inizia a ridere indicandomi all'altro e brandendo nell'aria il mazzo di chiavi…Abbiamo solo fatto un giro…si giustifica. Appoggio l'amplificatore e la custodia della chitarra, stremato e mi accendo una sigaretta.



Augù diglielo anche tu che abbiamo solo fatto il giro dell'isolato, dice a For ever youg che nel frattempo non ha cambiato espressione e, semmai, ha aumentato la portata del rigagnolo di saliva che gli cola da ambo i lati della bocca, dalla quale brillano per la loro assenza, buona parte dei denti che altrimenti fanno parte.



Lei è il bluesman della domenica, mi dice mentre l'altro adesso inizia a battere le mani, devo dire anche andando a tempo tutto sommato.

Si, gli dico. Ma come avete fatto con la benzina ? Ero a rosso fisso.

Ma non siamo andati lontani, è che volevo far guidare Augusto, eh ? Augù nun è vero ?

Augusto, di suo, continua a sorridere con un espressione degna di Steve Wonder, subito dopo aver eseguito Georgia. Indifferente alla domanda, in modo totale.


Augusto è cieco, dice.

Anche sordo ? incalzo

No, sentire ci sente, solo che ogni tanto schiaccia OFF ed è capace di risponderti dopo un paio di giorni, ma ci sente benissimo, eccome, non è vero Augù ?

E stavolta Augusto-foreveryoung, ci regala un sorriso ancora più convincente mentre batte le mani e muove anche la testa, a tempo, neanche fosse il lead guitar dei Canned Heat, solo un pò più bianco.

Prendo le chiavi che il vecchio mi porge, con estrema eleganza.

Li guardo. Sarò cosi anch'io, non fra molto, penso.



Càrico nel bagagliaio la custodia e l'amplificatore, e li guardo mentre se ne tornano, abbracciati, verso l'ingresso principale.

Stasera voglio telefonare alla mia psicologa. Comincio a sentirmi meno gretto.

21/05/09

After "Mumbay"

Ieri sera, al teatro Principe di Palestrina, si è tenuta la "prima" di Mumbay, uno spettacolo scritto e diretto da un mio carissimo amico, Marcello Chinca.



Caro Marcello,
ho messo qualche ora, mal dormita, fra la visione del tuo spettacolo e queste righe.
La cosa, prim’ancora che per scelta è dettata da spietate esigenze di vita: complice il bel tempo, i risvegli sono sempre prima, al mattino, e se hai idea di cosa significhi il traffico di Roma, considera che devo portare mia figlia, davanti al suo liceo, entro le otto, di stamattina.

Mumbay.
L’amicizia che ci lega, è un potente limite alla capacità di una critica onesta. Dove per critica intendi, per favore, la più benevola delle intenzioni.
Stordisce, il tuo lavoro. E lo fa sapientemente. Ricorrendo a tutto il corollario possibile delle suggestioni. Chiedi molto allo spettatore. Non lo inchiodi e basta su una poltrona, anche bene sblilenca, di un qualsiasi teatro. No, se ha un briciolo di sensibilità e attenzione, tu gli fai piovere addosso, tutto l’affresco immaginifico del tuo portato.

Hai reso, scenograficamente, benissimo i tempi della narrazione. Il ricorso al commento sonoro, mai invadente (a parte qualche piccolo bisticcio di natura tecnica fra i volumi del parlato e dei suoni, che ne limitano in alcuni momenti, la comprensione), le evoluzioni dell’unica attrice, e ancora la scenografia, “animistica”, come l’hai definita tu.

Raccontare cosi una storia, con tutto il tuo spasmodico carico, bisogno di farsi capire, finanche insistendo nell’ossessione descrittiva, mi chiedo quale scopo abbia, oltre a quello di “bloccare” la fantasia dello spettatore e, laddove possibile, fargli arrivare addirittura gli odori dei vicoli di Mumbay, dei cibi che descrivi minuziosamente.

Se un rilievo devo farti è quello di lavorare sulla leggerezza, di sganciarti da quest’overdose descrittivistica, e far giocare, una volta “libero”, il Senso. Giocandotela. Rischiando l’incomprensione, ma chiedendo allo spettatore la più preziosa delle sue risorse: quella alla quale fa appello il buon Di Giacomo, nel prologo: lavorare di fantasia, partecipare, ognuno col proprio bagaglio cognitivo, alla comprensione del testo.

Per il resto, è lo stesso limite che trapela anche dai tuoi scritti. Ma che ti salva, dall’onesto intento di darti, di concedere la tua personale e sensibile visione del mondo, delle storie fra uomini, agli altri.

Grazie per averci concesso di assaporarla.


risorse: qui il testo di Mumbay

20/05/09

Biografie stringate: Klaus Hauserling

Biografia stringata. Nato a Baltimora, nel '48 pratica i circoli cattolici sin dall’infanzia, sospinto dalla ferrea educazione dei genitori, entrambi profughi delle purghe staliniane e originari di Kiev.

Nonostante le infinite cautele dei suoi, viene ben presto attratto dal movimento hippye divenendone in breve uno dei maggiori epigoni. Renitente alla leva del Vietnam, comincerà a comporre in carcere le prime poesie che per vividezza e carattere straniante lo iscriveranno ben presto nell’immarcescibile filone della fu beat generation.

Esperienze lisergiche, le crisi mistico-orientaleggianti, pur se gli varranno diversi periodi di internamento in appositi Istituti di recupero disseminati negli stati del sud, contribuiranno a forgiarne la capacità creativa, fino a spingerlo ad una rilettura approfondita dei classici.

Misconosciuto, relegato fra un pubblico “di nicchia”, i suoi pochi testi, ad oggi, sono sopravvissuti grazie al paziente lavoro di catalogazione della moglie, Alfrida Genchi, un’italo america con passato da trapezista.

Le tematiche di codesti lavori spaziano dall’isolamento sociale degli strati più deboli della spietata società americana, al registro surreale (famosa la sua saga che vede per interpreti una coppia di detective alieni, chiamati sulla terra a dirimere improbabili casi misteriosi). Discorso a parte merita la trattazione di Hauserling del tema della violenza. Di derivazione zen, il tono delle descrizioni, anche nelle pagine più cupe, per leggerezza, per la sottesa ironia, sembrano essere dettati da un disincanto, la capacità di chiamarsi fuori, e al tempo stesso circoscrivere la portata deleteria del noir, sottraendosi abilmente dalla tentazione grand-guignol sulla quale buona parte della produzione hard-boiled ha insistito.

Hauserling, è attualmente ricoverato in un cronicario del Massachusetts. Continua regolarmente a fumare un pacchetto di Pallmall rosse senza filtro al giorno. Non scrive più nulla, e trascorre buona parte del suo tempo ascoltando il blues e leggendo, preferibilmente fumetti.

16/05/09

Colonized mind


Sono del tutto istupidito.
Non che la cosa, ultimamente, sia cosi infrequente. Ma ad un disturbo modale di sottofondo, si assommano momenti di sfarfallio totale. E capita ascoltando musica. In genere sollecito l’apparato uditivo come meglio posso. Ai confini con qualche patologia, ho semplicemente bisogno di circondarmi di sonorità. Meglio se inedite, tali cioè da catturare ciò che resta della mia attenzione.

Può succedere che una canzone mi prenda al primo ascolto. Diventa un loop, ho bisogno di risentirla come e quando posso (il festival dei supporti: minidisc, cd masterizzato fisso nell’autoradio della macchina, simil ipod con il quale vado a correre, playlist varie sul pc opportunamente amplificato e dotato di un paio di casse da 50w a tre vie, infine lo stereo "di casa" con un paio di bambinelli ESB da 200 watt cadauno agitati da un keenwood da home theatre che sostanzialmente gli fa il solletico, alle casse).

Ho preso giorni fa l’ultimo di Prince. E’ un triplo. Una ventina di canzoni. Un cd (ELIXIR) è cantato da una donna, Bria Valente gradevole, sonorità da viaggio in auto, e infatti staziona nel lettore dell’auto. Gli altri due (Lotusflow3r e MPLSoUND sono proprio “made in Prince”, nel senso che è tutta farina del sacco del principe.

Sto ascoltando a ripetizione Lotusflow3r. A parte la cover di Crimsom and Clover, celebre ballata del 68 rifatta in maniera perfetta, è la traccia 5 “Colonized Mind” che ha definitivamente mandato in pappa il cervello. Incisa in modo superlativo, è una ballata blues reinterpretata come solo Prince è capace di fare. Una vera perla, giocata su una chitarra mai prevedibile, e talmente ben incastonata da rasentare il barocco. I cori, effettati con l’echo, e la base ritmica potente ma trattenuta e la voce, magica, del principe che sembra provenire da un’altra galassia. Ed infatti proprio questo aggettivo, un’esperienza “galattica” promette la copertina del cd a chiunque si connetta su http://www.lotusflow3r.com/ .
Prince si riconferma elemento di un’attualità devastante. Anzi forse è decisamente avanti, il sincretismo fatto sound. Con solide radici nella fertile tradizione rithm and blues, contamina amalgama e reinventa scale, melodie vecchie ballads, rappresenta una delle voci più intelligenti nell’attuale panorama musicale.

Un disco destinato a un giusto successo. Il tempo di metabolizzarlo e verrà iscritto accanto agli altri capolavori che ci ha già regalato, da Sign o'the time a Purple rain.

15/05/09

La coda

Sono le 17.
Sei in giro da stamattina. Ritieni di esserti sostanzialmente pagato almeno le spese. Per lo “sciupo” come lo chiamano a Roma…fa niente, sarà per un altro giorno.
Hai dato il fritto. Macinato la solita carrettata di chilometri, visitato non si sa quanti clienti trovandoli, complice il tempo odierno, di umore variabile ma sostanzialmente vicino al cupo.
Piove una specie di sabbia che i tergicristallo si incaricano di accumulare al fine corsa delle spazzole, lungo il cristallo del parabrezza, e che conferisce un’aurea d’antan all’autovettura.

Potrebbe essere sabbia del Sahara, portata fin qui da un vento dispettoso e caldo.
Sono le diciassette. Assapori d’andare a poggiare le chiappe su un divano, posto che ce l’abbia, o al meglio, calzare pantaloncini elasticizzati e scarpette e divertirti a spremere un tre per cento d’energie rimaste nel coprire un tragitto che hai stimato, può aggirarsi sui cinque chilometri.

Sono le diciassette. O meglio erano, perché il tempo nel frattempo passa. E accetti con rassegnata compostezza il muro d’auto che ti si para davanti, stavolta all’altezza dell’Aurelia, sul Grande Raccordo (Delirio) Anulare. Sei ostaggio. Imprigionato nell’auto avanzi di due, tre metri per volta.
Ti guardi intorno, le facce delle persone a bordo delle altre auto…che tradiscono la tua stessa allegria. E cosi tenti un bilancio, non voluto, di queste giornate, spese cosi.

Oggi a Roma, come nel resto del Paese, c’era lo sciopero dei mezzi pubblici. Attribuisci il casino a questo, poi ti ricordi che gli altri giorni non è che sia poi tanto diverso.
Cosi impieghi un’ora e quarantacinque minuti per fare poco meno di venti chilometri.

Chi devo ringraziare ? Quale genio dell’urbanistica si attribuisce il merito di contanto spregio del tempo altrui ? Quale eminente figura pubblica, che sarà stata anche remunerata per il disturbo della progettazione degli svincoli, va adeguatamente e ad imperitura memoria ricordato ?
Ha tenuto conto del senso civico dell’automobilista italiano ? Ha previsto che dotare di uno svincolo nel quale a mala pena transita un auto per collegare il Raccordo ad un’arteria vetusta già decenni fa (la bellissima, un tempo, via del mare) comporta il barbaro sistema di scavalcare la fila e tentare “l’ingresso forzato” negli ultimi metri ingolfando cosi le corsie di quei disgraziati che hanno la colpa di non abitare ad Ostia, Acilia, Dragona o dove stracazzo ha voluto iddio ?

E’ un film. E mi chiedo come mai nessuno dei nostri roboanti registi non si piazzi lì, con tanto di cinepresa e riprenda, quasi senza audio, il lento carosello di carcasse metalliche che con lentezza estrema sfilano sul raccordo-Gange ?

Mi sono stancato. La mia soglia di sopportazione sento che sta arrivando velocemente. Prefiguro giudizi divini che facciano strali delle SUV degli architetti che hanno disegnato questi svincoli, che orde di berberi assalgano le loro sudate case al mare, defecandogli in ogni dove, facendo scempio dei giardini che immagino curati con i proventi del loro sudato lavoro. Ladri e criminali in cravatta, magari anche ossequiati. Delinquenti che si aggirano, impuniti, nell’entourage della borghesia nostrana, sti cazzi di quale colore…Banditi che devono aver acquisito le conoscenze del loro tristo mestiere a colpi di prosciutti ai professori che li avranno anche esaminati. E i politici con loro. Bifolchi, gente venuta su comprando voti dal popolo bue, lasciato a strafottersi, per poi lusingarlo in epoca di elezioni con una cena da “Peppino a mmare”…Incompetenti, eterni dilettanti, macchiette, improvvisati catapultati dall’anonimato in cui un dio appena democratico avrebbe fatto bene a lasciarli, nei posti di comando a fare danno.
Ingrassare la propria tasca in barba ad ogni straccio di etica.
Ecco, a costoro va detto grazie. A questa genia di galantuomini. Gente con la moquette sullo stomaco, e dallo spessore morale prossimo allo zero. Fate schifo. E spero che se esiste, una virtù divina, ve la faccia pagare sonoramente, dispensando malattie terminali per tutto l’albero genealogico, e riducendovi alla miseria più cupa, a calci in culo.

A calci in culo, ogni pomeriggio, dall’Aurelia fino allo svincolo della via del mare.
Per ben un’ora e quarantacinque minuti.

12/05/09

Del racconto e dintorni

Brevi note di giornate convulse.
La tentazione ombelicale è forte. Con questo termine viene ingenerosamente descritta buona parte della produzione letteraria nostrana (come se oltreconfine, gli esseri umani nascessero privi di codesto, importantissimo, “territorio” del corpo umano, almeno quello fin qui conosciuto).
All'ombelico, un simpaticone come Osho ha dedicato addirittura un libro, ritenendolo giustamente il nostro varco d'accesso con l'universo.

Cosi, mentre dei nostri simili, a non so quanti chilometri sulle nostre teste, si ingegneranno, a turno, a riparare il telescopio spaziale Hubble (ma chi li battezza cosi questi arnesi ?), molto più terrenamente, continueremo a spendere le nostre giornate, immersi nelle solite faccende, facendoci le sante code sul raccordo, incazzandoci come bestie nei confronti di coloro che avrebbero dovuto provvedere a dotare la città eterna di una rete stradale degna del suo nome. Di eterno ci sono solo le code, al momento.

Cosi, ci allietano cose futili, che in ossequio allo zen, abbiamo imparato a prendere nella massima considerazione. Ci sosterremo con l'ultimo (triplo) disco di Prince, appena uscito (notevole). Ci terrà compagnia in auto, aiutandoci a sopportare meglio i disagi. Oppure, a sera, stravaccati finalmente a casa, in luogo dello show dei Tg (che se presi nella giusta prospettiva rappresentano a volte la quintessenza della comicità, quand'anche sconfinino nel tragico), aprire un bel volumozzo, di quelli che ti auguri, dopo, finiti di leggerli, ti lascino qualcosa, ti cambino in qualche modo.

Ripongo queste aspettative, avendo già letto qualcosa di suo (IL BESTIARIO, su tutti) nell'ultimo di Cortazar (uscito, postumo, in questi giorni e trovato prontamente in libreria). Del racconto e dintorni, si chiama. Domenica, sul Sole24 ore, ne è uscito, come si dice, un ampio stralcio.

Cortazar è uno scrittore che sento affine. Non tutte le cose che ha scritte mi sono piaciute allo stesso modo (va detto che anche per lui, cosi come per Carver, subito dopo la morte s'è scatenata la corsa alla pubblicazione finanche della lista della tintoria) ma per chi nutre velleità narrative è da considerare imprescindibile la lettura dell'appendice del citato Bestiario, dove sono confinate due brevi lezioni, tenute dall'autore, e che hanno come tema il racconto.
Ecco, è il racconto l'arte di Cortazar. Deve aver nutrito un amore cosi forte per questa forma narrativa dall'avergli dedicato pagine di rara chiarezza.

Medito, in barba a qualsiasi denuncia per violazione di copyright, non tanto di renderle scaricabili dal blog, ma almeno di inviarle privatamente via email a chiunque ne facesse richiesta.
E' tutto. (per ora).

update: una le due "lezioni" menzionate, costituisce il primo capitolo di questo saggio. (ciò non toglie che chi volesse comunque accostarsi al Cortazar narratore si compenetri con abbandono alla lettura del Bestiario).

10/05/09

MUMBAY

Scritto e diretto da Marcello Chinca con Francesco Di Giacomo e con Andreola Rufo e Beatrice Busi musiche di Rodolfo Maltese, Sanjay Bansai scenografia di Valerio Immi

giovedì 20 maggio ore 21.00 Teatro Cinema Principe – Palestrina (Roma)Piazzale della Liberazione

Mumbay è estratto da due lavori di Marcello Chinca, una sceneggiatura ed un un volume di poesie ed aforismi raccolti tra il 1999 ed il 2008. La storia, filo conduttore dello spettacolo, sarà scandita dalle avventure di Giorgio dal giorno del suo sbarco a Mumbay, sino a quello in cui incontra Najma, una indiana francese, malata di reni. Altri luoghi del viaggio saranno il Kashmir, l'Egeo e la Cote Azul e quindi Marsiglia. Inserite nella narrazione vi saranno alcune poesie e l'intervento della chitarra di Rodolfo Maltese. Lo spettacolo vedrà la partecipazione straordinaria di Francesco Di Giacomo e di Rodolfo Maltese, storici esponenti del Banco del Mutuo Soccorso.

Marcello Chinca vive tra Zagarolo e Roma Ha pubblicato un libro nel 1988, ha partecipato a pubblicazioni e letture nel programma "Le biblioteche di Roma" tra il 1997 e il 2001. Nel 2000 è stato segnalato dal Sindacato Naz. Scrittori per una sua raccolta poetica. Sue recenti pubblicazioni di poesia e di teatro sono visibili sul Web.

risorse: qui, come si dice a Borgosesia, "more info about"

08/05/09

Together Through Life



Quando vado a correre, quando ci vado,
indosso degli auricolari che riescono a farmi sopportare la qualità degli mp3 con la stessa bonomia di chi si ritrova ammaccata la fiancata con la portiera della macchina parcheggiata accanto, con una sportellata.
Mi piace ascoltare preferibilmente blues. Sarà per il ritmo, sarà perchè ti aiuta a tenere l'andatura, e in buona misura, a sostenere meglio la fatica, concentrandoti sulla trama del brano, individuando gli strumenti che si incaricano dei vari a-solo.
Quando vado a correre scelgo orari nei quali transita poca gente. Prim'ancora che evitare cosi di respirare sane boccate di gas di scarico che stramazzerebbero, d'incanto, un elefante albino, lo faccio per tentare di restare in silenzio. Avvertire a mala pena il suono del mio passo, il fiato che va a tempo con il sound. Ti capita cosi, di “sentire” veramente bene un brano, con la dovuta concentrazione, e di poterlo adeguatamente apprezzare.

Oggi ho “messo dentro” l'ultimo di Dylan. Dylan Bob, Mr. Zimmerman per gli amici.
Tra una biografia autorizzata e non, il gusto per la musica non dev'essergli passato, con l'andare degli anni. Anzi. La sensazione è quella di un adulto signore, che guarda alle cose del mondo con il giusto disincanto, senza mai precipitare nel cinismo. E che trasmette il gusto per quello che fa, per quello che, arrivato alla sua età, è ancora in grado di comporre con indubbia originalità.
Duole non saper talmente bene la lingua, dall'esser cosi privato della spinta dei suoi testi, ma già fermandosi alla musica, al suono sul quale si innesta il canto, con la stessa valenza, alle mie orecchie sorde al senso, di uno strumento a sua volta, c'è di che ritenersi soddisfatti.

E' un disco molto bello. Spiccano alcuni brani per intensità e ritmo. Non taglierei mai la sequenza della ballad I Feel a Change Comin' On sebbene si tratti di un ritmo non propriamente vivace, e ho apprezzato l'ipnotico lavoro della fisarmonica, in If You Ever Go To Houston. Grande mestiere, e cura dell'esecuzione. La band lo segue senza sbavature, compatta e mai sovrastante. Anche gli asolo sono gentili non si impongono, prevaricando ma arricchiscono con la loro trama sussurata la melodia complessiva dei brani. Echi di vecchie song, rivisitati con quel briciolo d'attenzione all'ortodossia e impreziositi da colpi di genio, come quello di attaccare una canzone in controtempo in Shake shake mama.

Notevole, al punto da farmi ricredere circa gli intenti decisamente commerciali che subdoravo prima dell'ascolto.
Bel lavoro, Mr. Dylan.
update: da un articolo su un sito di Baltimora, il rimando ad un romanzo (poi diventato sceneggiatura) di Larry Brown, Big bad love al quale sembra Dylan si sia ispirato. Navigando ancora in cerca di news sul film, ho scoperto nel cast figura anche Susan Arquette (altra icona dei Toto).

01/05/09

Sotto un cielo cremisi di Joe R.Lansdale

la copertina del libro
Preso domenica, durante la presentazione che l’autore ha tenuto a Roma, divorato in un paio di giorni.
Che dire ? Vola, e ogni tanto spararsi un testo del genere non fa male. Risponde a quel bisogno di tenere leggera la mente e lasciarsi trasportare dal ritmo della narrazione.
Come definirla ? Avvincente ? Secca ? Probabilmente Lansdale è consapevole dei suoi mezzi e sembra scrivere cosi, senza sforzo, in una forma che risulta diretta, immediata, senza tanti fronzoli.
Un linguaggio ben reso dalla traduzione, impeccabile, che conserva la freschezza dello slang.
E’ un genere a sè. Hard boiled l’hanno classificato. Lansdale l’ha coniato in altro modo.
Ma il risultato è più che apprezzabile.

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